La nuova posizione della Siria nello scacchiere russo

Tra le nove basi militari oggi in uso alla Federazione Russa, l’unica in Siria era fino ad oggi quella di Tartus, una struttura navale che i russi classificavano come “punto di supporto tecnico e per i materiali”, operante fin dal 1971 grazie ad un accordo con la Siria baathista di Hafez el Assad.
La base aerea di Humaynim è però siriana, e comunque vi stazionano aerei e sensori russi.
Un necessario punto di rifornimento e riparazione, Tartus, per le navi prima sovietiche e poi russe che dovevano passare, dalla base in territorio siriano, verso il Mediterraneo e il Mar Nero.
La base di Tartus può ospitare tre navi contemporaneamente e vi staziona un vascello-officina classe Amur PM-138, ma non è ancora adattata a ricevere, proteggere e riparare le nuove grandi navi da guerra di Mosca
Ma il nuovo accordo tra il governo russo e quello siriano, siglato nel gennaio di quest’anno, prolunga la concessione alla Federazione Russa per altri 49 anni della base, permette i lavori per rendere Tartus capace di riparare e rifornire undici navi contemporaneamente e, la cosa più importante, concede a Mosca la sovranità sul territorio della base e il suo specchio d’acqua.
E Tartus potrà, soprattutto, ospitare navi sia armate che propulse dal nucleare.
Se mettiamo questo dato in congiunzione con la base russa programmata dalla “Operazione Dignità” di Khalifa Haftar sulle coste della Cirenaica, una operazione che intende ridicolizzare le potenze europee e nordamericane che hanno scommesso sul cavallo sbagliato, Al Serraj, un vero “profeta disarmato” machiavelliano, allora abbiamo tutta la dimensione geopolitica della nuova proiezione di potenza russa nel Mediterraneo.
E a ciò dobbiamo aggiungere la conferenza per la mediazione, gestita dal Cremlino, tra Hamas e Fatah, che pone la candidatura della Russia a unico vero power broker mediorientale; mentre gli USA divengono gratuiti strumenti della politica saudita contro l’Iran e il Qatar, peraltro ancora sostenuto dalla Turchia, seconda forza armata della NATO.
Alla Citadel di Mons-Bergen avranno i loro problemi a sintetizzare una politica mediorientale dell’Alleanza, con la Francia e la Turchia che sostengono Haftar, gli altri Paesi europei della NATO che mantengono inutilmente il governo di Al Serraj, secondo le preferenze dell’ONU, la Russia che sta con l’”operazione Dignità” del generale libico che controlla già la Cirenaica, la Sirte e gran parte della mezzaluna petrolifera libica, oltre poi agli USA, che non fanno nulla.
In altri termini, la Federazione Russa si propone, nel Mediterraneo, di ristrutturare da sola tutta l’area maghrebina, dopo l’evidente fallimento USA delle “primavere arabe”.
La strategia di Mosca è presto detta: una serie di basi militari o di concessioni, che espellano progressivamente gli USA e i loro alleati europei dall’area mediterranea.
Inoltre, la Russia proporrà presto un accordo possibile, di mutua alleanza e sostegno bilaterale contro il terrorismo che sarà offerto da Mosca a tutti i Paesi mediterranei della NATO e della UE, sempre meno sedotti da Mons-Bergen e, soprattutto, da Washington.
Ma veniamo alla nuova base russa in Siria, che chiude il cerchio di questo progetto strategico.
Oggi, i corpi di ingegneria delle FF.AA. russe stanno costruendo una nuova base, che sarà probabilmente il vertice del nuovo triangolo mediterraneo di Mosca, a Kirbet Ras Al-Wa’r, nel distretto siriano di Bir Al Qasab.
L’esercito arabo-siriano, la forza principale a disposizione di Bashar Assad, ha recentemente riconquistato tutta l’area, da Kirbet fino a Arinbah e a tutto il deserto a sud-est di Damasco, battendo le forze para-jihadiste, ma sostenute dagli USA, di Assud Al Sharqia.
Gruppo, quello di Assud Al Sharqia, che operava agli ordini promanati della base statunitense di Al Tanf, al confine siriano con l’Iraq.
Base ormai resa inoffensiva, e vedremo come.
Il materiale bellico lasciato dagli sconfitti “ribelli” anti-Assad è certo rilevante per quantità e qualità: moltissimi RPG-26, lanciarazzi “usa e getta” contro i carri, arma di fabbricazione russa, ma probabilmente di origine giordana, altri missili tipo GRAD BM 21, lanciarazzi di fabbricazione russa di amplissima e efficace utilizzazione, molti KONKURS, in codice NATO AT 5 “spandrel”, un missile guidato anticarro anch’esso di fabbricazione sovietica e di, anche in questo caso, vastissima utilizzazione.
E’ evidente che la nuova base russa di Khirbat Ras al Wa’r, al centro del settore meridionale della Siria, fa perdere agli USA l’unica possibilità concreta di attaccare le forze di Bashar a nord di Al Tanf e, comunque, di allontanare l’Esercito Arabo-Siriano del governo alawita dal confine con l’Iraq, fonte primaria del sostegno ai jihadisti e a quelli che gli USA chiamano, con termine orwelliano, gli “islamisti moderati”.
La nuova base russa è a 85 chilometri da Damasco, 96 da Deraa, 185 chilometri dalla base Usa di Al-Tanf, che sarà accerchiata tra poco, da sud, con le operazioni dell’Esercito Arabo Siriano di Bashar el Assad, che sta anche aprendo la sua via verso Deraa e Idlib in direzione del confine giordano.
La recente operazione americana nei confronti della base russo-siriana di Shayrat, nella Siria centrale, era poi intesa come rappresaglia contro l’attacco, che era stato ipotizzato con l’uso del gas nervino, da parte dei siriani, sul villaggio di Qan Shayqun.
Anche l’intelligence statunitense aveva chiarito che, malgrado le scarsissime fonti, l’attacco siriano era stato diretto contro una riunione jihadista tenutasi colà il 4 Aprile, un attacco messo a segno per mezzo di un missile guidato russo contenente esplosivi convenzionali.
La reazione Usa, basata sulla falsa informazione che i siriani avevano utilizzato il Sarin, si basò su una batteria di lanci di Tomahawk, ma buona parte degli aerei siriani era stata già trasferita in basi lontane da Shayrat.
Tutto questo per dare l’idea della scarsa qualità dell’intelligence operativa e tattica degli Stati Uniti sul terreno siriano e del particolare livello di sconnessione tra la raccolta dati sul campo e il decision making di Washington.
La nuova base, asse informativo dell’impegno di Mosca in Siria, sarà finalizzata a controllare il confine sud-est siriano, dove entrano sia le forze sostenute dagli Usa che quelle iraniane.
Fare questa nuova base militare, a soli 50 chilometri da Damasco, significa proteggere la capitale siriana da ogni vera minaccia presente e futura, ovvero quella che proviene oggi dall’area di Al Tanf e, quindi, dalle forze speciali giordane, da quelle Usa e dei loro alleati “jihadisti moderati” operanti sul terreno siriano.
Si avvicina, quindi, la definitiva stabilizzazione del regime di Bashar el Assad sotto la protezione russa; e la conseguente espulsione del jihad sunnita e filoamericano dal territorio siriano.
E’ questa l’operazione che diventerà la base di partenza per una nuova egemonia russa nel Grande Medio Oriente, dove Mosca non ha veri e propri nemici, ma che intende ristrutturare secondo i suoi interessi: prima la proiezione sul Mediterraneo e poi la correlazione strategica tra il petrolio russo e quello OPEC.
La costruzione della base è iniziata, nelle sue attuali tipologie, quando sono ripresi i contatti segreti tra Usa e Federazione Russa ad Amman, in Giordania.
Contatti utili per definire, principalmente, la “zona di de-escalation” nel sud della Siria, soprattutto nell’area di Deraa.
Le quattro “de-escalation zones” sono state già definite, per varie parti della Siria, durante i colloqui di Astana nel maggio scorso, in un accordo specifico tra Russia e Iran.
Naturalmente, Washington non accetta un accordo con l’Iran, ma propone a Mosca una nuova zona di depotenziamento dello scontro, senza passare da un rapporto con Teheran.
Le due delegazioni sono dirette da Michael Ratney, per Washington e da Aleksandr Lavrentiev per Mosca.
L’inviato di Mosca ha già trattato con Israele, alla fine del gennaio scorso, le linee centrali della prossima pace in Siria.
Al Tanaf, la base Usa che la nuova struttura russa potrà rendere inoffensiva, era una delle due punte del piano statunitense, consistente nel dichiarare unilateralmente una “zona di deconflitto” tra la stessa Al Tanaf fino alla valle dell’Eufrate, nella direzione di Deyr al-Zur.
Il progetto che sottostava a questa operazione era quello di spezzare la “mezzaluna sciita” che avrebbe collegato, sul terreno, l’Iran al Libano per il tramite della Siria meridionale.
Ma è probabile che tale piano fosse, in realtà, quello di costruire un più ampio corridoio sunnita, ai lati della mezzaluna sciita, un corridoio che vada dal confine saudita-iraqeno, ovvero da Al Anbar, attraverso l’area sunnita della Siria e a quella occupata dai curdi, fino al confine turco.
Le forze siriane, da sole, hanno bloccato questo piano collegando l’area occidentale del loro Paese al confine iraqeno, a nord-est di Al Tanaf e avanzando proprio a Nord-Est verso Abu Qamal e la valle dell’Eufrate.
La base statunitense-giordana di Al Tanaf è stata chiusa in una morsa, dai siriani come dalle forze iraniane a sud-ovest; e questa è la premessa del passaggio dei siriani di Bashar el Assad verso Deyr al Zur e la valle dell’Eufrate, anche se oggi Deir è ancora circondata dai jihadisti.
Gli Usa stano quindi riconoscendo il loro ridotto margine di manovra in Siria.
Il 22 giugno scorso, infatti, è stato raggiunto un accordo trilaterale, ancora riservato, tra Stati Uniti, Russia e Giordania per creare una vera zona demilitarizzata nella Siria meridionale, che coprirebbe anche i confini israeliani e giordani.
L’accordo prevede, secondo le nostre informazioni, che gli Usa continueranno a gestire la base di Al Tanaf.
In cambio, Washington non reagirà nei confronti delle operazioni siriane, iraniane e di Hezbollah contro il Daesh-Isis per riconquistare la città di confine di Abu Kamal, a nord di Al Tanaf.
Di converso, Mosca garantisce il ritorno a casa delle forze iraniane, di Hezbollah e delle milizie ai loro comandi, in una fase non ancora definita della prossima stabilizzazione dell’area siriana.
Sarà poi definita una amministrazione congiunta russo-americana per gestire gli affari civili della Siria meridionale, compresi le zone ai confini con Israele e quelle con la Giordania.
La Russia, a cui Damasco non può certo negare una ampia ingerenza in alcune aree della Siria, garantirà la stabilità a nord dello Stato Ebraico, al posto e comunque in modo ormai egemonico rispetto agli Usa, che Mosca vuol tenere in Medio Oriente, ma senza il vecchio ruolo di power broker che aveva prima del conflitto in Siria.
Scontro che ha rivelato chi è il nuovo, vero gestore del Medio Oriente, dopo lo sconsiderato appoggio di Washington alla guerriglia jihadista contro Bashar el Assad, l’ultima casella delle “primavere arabe” e il punto definitivo di caduta della egemonia americana in tutta l’area.
Intanto, le Forze Democratiche Siriane, legate agli Stati Uniti, hanno accerchiato Raqqa; e Damasco prevede che la liberazione dell’ultima “capitale” del Daesh-Isis durerà almeno tre mesi.
Il nastro geopolitico statunitense si riavvolgerà: quindi prossima stabilizzazione, anche con il sostegno americano, della tensione tra le varie organizzazioni palestinesi, una probabile pace tra Israele e i Territori dell’ANP, la collaborazione russo-americana contro il jihad nel Sinai e un nuovo accordo tra Washington e il Cairo, mentre sarà probabile un nuovo ruolo, di mediazione armata, degli USA e di altri tra i due governi in conflitto dentro la Libia.
Di contro, nessuno potrà dir nulla contro l’espansione russa nel Mediterraneo che, probabilmente, sarà sostenuta anche dalla Turchia che è, lo ripetiamo, la seconda forza armata della NATO, mentre Mosca favorirà o un accordo tra Khalifa Haftar e Al Serraj oppure una definitiva azione militare contro il governo di Tripoli.
Ma, per quanto riguarda la nuova amministrazione bilaterale tra Usa e Russia nella Siria meridionale, Washington non avrà comunque modo di accettarla: infatti, se le forze di Bashar conquistano Abu Kamal, l’Iran si rafforza sul confine sirio-iraqeno, mentre, in aggiunta, gli americani non vogliono alcuna presenza, anche se limitata nel tempo, di Iran e Hizballah sul territorio siriano.
Quindi, prima gli sciiti fuori dal territorio siriano, poi, sempre per gli americani, si può iniziare la vera trattativa bilaterale sulla Siria meridionale.
Ma Israele si fiderà di più del controllo che Mosca ha mostrato sulle operazioni iraniane e libanesi a nord del Golan, o delle garanzie laterali degli Usa, che saranno comunque marginali, in futuro, nell’area?
Altro elemento che dobbiamo osservare, anche per capire il futuro della Siria, è lo scontro tra Arabia Saudita e Qatar.
Come è noto, le richieste di Riyadh all’Emirato di Doha sono tredici: in particolare, si tratta di rompere ogni rapporto con l’Iran, e la vedo dura, data la collaborazione dei due paesi per il giacimento di gas di South Pars, chiudere la base militare turca, il che non dipende solo da Doha, ma Ankara non ha alcuna intenzione di chiudere alcunché, anzi programma esercitazioni congiunte turco-qatarine dopo Eid-ul Fitr, ovvero tra pochissimi giorni, poi il Qatar deve chiudere Al Jazeera, non finanziare media come “Arabi21”, “Rassdi”, “Arabi Al-Jadid” e “Middle East Eye”; poi bloccare ogni finanziamento a gruppi terroristici così designati da sauditi, egiziani, statunitensi, Bahrain e EAU; e c’è da giurarci che si tratterà di gruppi soprattutto sciiti e filo-iraniani, rompere ancora ogni rapporto con Hezbollah, Al Qaida e califfato, non interferire negli affari interni dei Paesi firmatari della mozione contro il Qatar, sospendere ogni aiuto agli oppositori interni in Egitto, Arabia Saudita, EAU e Bahrain, risarcire i danni inferti con ciò ai suddetti Paesi, allinearsi infine, da tutti i punti di vista, con i paesi suddetti, secondo l’accordo già firmato dal Qatar con Riyadh nel 2014, per poi sottoporsi a delle ispezioni mensili per controllare l’esecuzione di questi accordi, almeno per il primo anno.
In linea di massima, si tratta di una spoliazione dell’emirato di Doha, per sostenere le finanze di Riyadh e sostenere, con i capitali del ricchissimo Qatar, la trasformazione dell’economia saudita per portarla fuori dalla dipendenza dal petrolio.
Gli USA sostengono questo accordo per riequilibrare il vuoto di potere sperimentato in Siria, ma non è affatto detto che avranno a che fare con Paesi amici e con eguali interessi regionali.
La crisi finanziaria dell’Arabia Saudita è grave, soprattutto a causa del costoso impegno del regno degli Al Saud per sostenere la guerra in Siria, Iraq e Yemen, guerra che proprio il nesso tra Bashar el Assad e Federazione Russa ha mostrato essere, da parte sunnita, inutile e pericolosa.
La battaglia per la riduzione del prezzo al barile, innescata da Riyadh per far fuori la concorrenza Usa dello shale oil, su cui si incentrava la nuova crescita economica immaginata da Obama, ha poi fatto vincere Trump, creando nel clan saudita una guerra intestina tra cui vuole un nuovo rapporto con Russia e Cina, i vincitori sul campo, e un nuovo e più forte rapporto con la nuova presidenza Usa.
Che sarà, comunque, sempre meno importante nel quadrante mediorientale.
Finalità quasi esplicita: bloccare la partecipazione del sistema mediorientale dominato dai sauditi al progetto cinese di Nuova Via della Seta, che ingloba l’Iran e parte della Siria.
E qui ritorna il progetto russo su Damasco, coronato dalla futura vittoria sul campo.
Teheran sarebbe infatti la punta di diamante del nuovo progetto di Pechino di porre la propria valuta al centro degli scambi petroliferi futuri.
E’ anche per questo che si combatte ancora, in Siria. Ed è proprio l’Iran che ha da poco liberato Mosul.
Ma è proprio la finanza cinese fa oggi perno su Doha, per tutto il Medio Oriente.
Se quindi la situazione in Siria si stabilizza sotto il governo legittimo di Bashar el Assad, l’Arabia Saudita non avrà più alcuna protezione dal confine sirio-giordano verso il suo territorio, e potrebbe perfino avvenire una manovra a tenaglia, mentre le finanze del Regno vanno in malora, tra Doha e gli alleati dell’Iran a Nord, ovvero Siria, Libano e Iraq.
Se poi Riyadh mantiene il suo ruolo di fornitore petrolifero primario dell’Asia, escludendo l’Iran da questa funzione, allora può ragionevolmente sostenere il suo progetto di trasformazione post-oil della sua economia.
Se, invece, il Regno accetta obtorto collo una presenza forte e dominante dell’Iran e dei suoi alleati nel Nuovo Medio Oriente, dovrà di conseguenza accettare un ruolo marginale nella Road and Belt Initiative di Pechino, che fa già a Doha gran parte dei suoi investimenti in area mediorientale.
Ma c’è la variabile del contrasto tra Hezbollah e Israele. Proprio in questi giorni lo stato ebraico ha condotto raid aerei contro postazioni siriane vicino a Quneitra, a tre chilometri dal confine del Golan.
Poco prima, le forze dell’Esercito Arabo Siriano di Bashar ed Hezballah avevano combattuto una vasta alleanza di gruppi jihadisti salafiti, mentre i gruppi sciiti libanesi erano composti da drusi, circassi, afghani sciiti, elementi di alcune brigate di Bashar el Assad.
Se la Siria tende a porre sotto il suo controllo il Golan, la reazione di Israele sarà durissima e immediata, se poi, da Deraa verso sud, i siriani arrivano al confine con la Giordania, si creerà un grave casus belli con il regno hashemita.
Damasco non può colpire due suoi avversari contemporaneamente, per evitare un attacco combinato che allontanerebbe l’Esercito Arabo Siriano dal Golan e lo porterebbe nelle braccia di Al Nusra e degli altri gruppi jihadisti ancora presenti a nord di Quneitra.
Ed è qui che si vedrà la capacità di mediazione credibile della Federazione Russa.

Giancarlo Elia Valori