La questione del terrorismo jihadista in Gran Bretagna

 

Dopo l’attentato di Londra del 22 Marzo scorso, la Gran Bretagna è ancora nel mirino del “jihad della spada”.
La bomba “sporca” elaborata da Salman Ramadan Abedi, un cittadino inglese ma di origine libica di 22 anni, figlio di un avversario del regime gheddafiano, è tale da far pensare a una rete di sostegno e copertura di Abedi e dei suoi familiari piuttosto complessa.
Una bomba piena di rottami, pezzi di ferro, pensata per ferire ed uccidere il maggior numero di persone.
La polizia del Regno Unito ha infatti, nelle giornate immediatamente successive all’attentato di Manchester, arrestato otto persone, tra cui due familiari di Abedi (il padre e il fratello minore) che sono stati fermati a Tripoli dalla RADA, la polizia agli ordini del governo di Accordo Nazionale di Fajez al Serraj.
Cinque “operativi” della rete di Abedi sono stati invece arrestati in Gran Bretagna, tra cui un fratello maggiore dell’attentatore, nei sobborghi di Manchester ormai islamizzati come Whalley Range, Chorlton, Fallowfield.
Se non si controlla la massa critica dell’Islam in un Paese occidentale, non c’è modo di bloccare la formazione di una quota rilevante e pericolosa di jihadisti.
Il padre del terrorista suicida è comunque un membro del Lybian Fighting Group, una organizzazione legata ad Al Qaeda.
La rete del gruppo di combattimento islamista libico è stata formata, all’inizio, negli anni ’90, dai volontari libici del jihad in Afghanistan al loro ritorno in patria; e si è da sempre posto l’obiettivo primario dell’abbattimento del regime di Muammar El Ghaddafi.
Attualmente, dopo la folle e sconsiderata azione occidentale contro il colonnello della Sirte, il Gruppo Islamico di Combattimento Libico fa parte delle Forze di Scudo per la Libia e del vecchio Consiglio Nazionale di Transizione.
Gli occidentali volevano liberare il popolo dai “tiranni” laici del Maghreb e del Medio Oriente, i jihadisti volevano lo stesso.
E’ un po’ come quando Francesco I disse che “mio fratello Carlo V vuole la stessa cosa che voglio io”. Ed era il ducato di Milano.
Né sembra peraltro casuale la fuga di notizie che ha portato il New York Times del 24 Maggio a pubblicare le foto dell’ordigno esploso nell’Arena di Manchester, una fuga che non può non essere stata originata dai Servizi USA, che avevano ricevuto a tamburo battente la documentazione dai loro referenti britannici.
L’intelligence nordamericana, con ogni probabilità, vuole ancora proteggere qualche oscuro legame con la rivolta libica; ed è ormai finalizzata a raggiungere uno e un solo obiettivo a medio termine: la defamation e successivamente la destituzione del Presidente Trump.
Un Servizio che, partendo dalla scarsa conoscenza da parte degli americani del mondo non-anglosassone, opera unicamente per destabilizzare il proprio Paese e riportare al potere lo “stato profondo” del suo establishment, il “partito della nazione” formato dai Repubblicani come i Bush e dai Democratici come i Clinton o gli Obama.
C’è inoltre da ritenere che le Agenzie nordamericane stiano proseguendo, da sole e senza alcun contatto con la Presidenza Usa, il loro vecchio progetto di destabilizzazione del Maghreb e del mondo islamico arabo, iniziato con le “primavere arabe”; e che doveva terminare con la deflagrazione della Siria di Assad, azione che la Federazione Russa ha duramente bloccato.
Non è infatti un caso che l’FBI e le altre organizzazioni di intelligence Usa stiano tracciando improbabili “contatti” tra la Presidenza di Trump e la Federazione Russa.
La futura guerra contro Mosca, che qualche militare di alto grado nordamericano ha già esplicitamente teorizzato, è il centro di gravità dell’azione presente e futura dell’establishment politico-militare Usa.
E la presenza russa nel Mediterraneo e in Medio Oriente la si contrasta, secondo gli strateghi di Washington, proseguendo le azioni delle “primavere arabe”, anche a costo di creare occasioni d’oro per i gruppi jihadisti.
I Servizi britannici finanziarono poi, nel febbraio 1996, il Gruppo Islamico di Combattimento Libico con un fondo di 160.000 Usd, per uccidere Gheddafi, attentato che però non ebbe successo.
Allora come oggi la Gran Bretagna e, per alcuni versi, gli Stati Uniti, vogliono chiudere la partita della Libia riprendendosi il suo petrolio e escludendo l’Italia, in primo luogo, e poi la Francia, dal sistema estrattivo libico.
Ma torniamo all’attentato di Manchester. L’esplosivo dovrebbe essere stato il TATP, il perossido di acetone, la stessa sostanza utilizzata dal Daesh-Isis a Parigi nel Novembre 2015 e a Bruxelles nel marzo del 2016.
E’ quindi del tutto comprensibile la dura reazione di Theresa May di fronte alla porosità, certo del tutto volontaria, dei servizi Usa.
Che, ormai, appaiono essere in condizioni davvero pietose.
Troppe operazioni di destabilizzazione, a partire dalle attività in Serbia durante la seconda guerra dei Balcani, troppe “primavere” arabe costose e inefficaci, che dovevano fare in modo che Al Qaeda, figurarsi, venisse distrutta dalle stesse masse arabe democratiche, infine troppa, semplicistica, ingegneria politica e sociale.
Una voodoo intelligence che, finora, ha portato a risultati opposti a quelli che si volevano raggiungere.
Un Servizio, quello Usa che, pur di danneggiare il Presidente, favorisce quindi i jihadisti e mette in crisi il rapporto con l’intelligence britannica si giudica, e molto male, da solo.
Peraltro, in Gran Bretagna vi sono almeno 43 città dove la polizia ha arrestato, tra il 1998 e il 2015, numerosi elementi jihadisti.
Una massa di terroristi islamici che potrebbe diventare, in futuro, tanto grande da essere incontrollabile.
Ed è bene notare che la gestione delle reti informative islamiche da parte dei Servizi inglesi ha permesso, negli ultimi cinque anni, la scoperta e la prevenzione di ben dodici attentati, soprattutto a Londra, Cardiff, Southampton e Brighton.
Certo, la mentalità dei Servizi anglosassoni è quella, pericolosa per ogni tipo di intelligence, di law enforcement agencies, di organismi che si muovono solo quando vi è una evidente infrazione alle leggi.
Ma un terrorista, nella fase in cui sta organizzando e studiando un attentato, va sempre sottotraccia e non si permette nemmeno una multa per divieto di sosta.
L’intelligence e le forze di polizia italiane, al contrario, hanno un controllo costante e una attenta conoscenza del territorio, fin dai tempi del terrorismo rosso e nero e delle organizzazioni criminali meridionali, che prescinde dall’esistenza o meno di reati.
Inoltre, in Gran Bretagna vi sono oggi almeno 1500 foreign fighters di ritorno dalle aree del jihad “della spada”, con una rete di copertura che dovrebbe comportare, secondo valutazioni ottimistiche, almeno altri 5000 elementi.
Oggi i fedeli islamici, in tutta l’Inghilterra, sono più numerosi degli anglicani, si tratta di oltre un milione di credenti nel Corano di contro a circa 930.000 seguaci dell’anglicanesimo.
E certamente, dopo la Brexit, vi è il concreto pericolo che Londra non possa più fare a meno del sostegno finanziario delle petromonarchie sunnite, le stesse che finanziano i 2100 centri islamici, madrasse, ovvero scuole coraniche, moschee, che ovunque sorgono oggi sul territorio di Sua Maestà britannica.
Theresa May ha inoltre progettato, dopo l’attentato di Manchester, l’”operazione Temperer”.
Uno scenario simile a quello che la Francia ha subito durante le recenti elezioni presidenziali, con la probabile pressione futura del jihad nella campagna elettorale e il riadattamento, nello scenario inglese, dell’azione jihadista spagnola della stazione di Atocha nel 2004, che modificò pesantemente i risultati delle elezioni politiche, facendo vincere Zapatero contro il favorito Aznar.
L’ “operazione Temperer” presuppone infatti una vasta dislocazione di Forze Armate nei punti sensibili, quali, ovviamente, la residenza del Primo Ministro al 10 di Downing Street, il palazzo di Westminster, Buckingham Palace, gli eventi sportivi e culturali-musicali di massa, le zone in cui passa giornalmente la maggior parte degli abitanti di Londra.
Ma i jihadisti non sono sciocchi e, se intendono, per i loro motivi, colpire ancora, lo faranno in zone e aree imprevedibili, non ovvie.
Vi è poi da meravigliarsi come la protezione, a Manchester come nelle altre azioni recenti o meno del jihadismo in Gran Bretagna sia ancora così carente o addirittura inesistente.
Nemmeno il recente attentato di Londra, il 22 marzo, sul ponte di Westminster, ha fatto pensare alle autorità di polizia che vi poteva, anzi doveva, essere una “coda” successiva, come è poi accaduto a Manchester.
Operation Temperer dovrebbe coinvolgere circa 5000 elementi delle Forze Armate di Sua Maestà, dislocati nelle aree più prevedibilmente sensibili del territorio urbano inglese ma, lo ripetiamo, niente vieta che il jihad locale non scelga obiettivi meno rilevanti.
D’altra parte, quello che compone l’effetto dell’atto terroristico non è tanto la location, quanto il numero delle vittime, che è direttamente proporzionale al rilievo politico dell’azione jihadista, oltre all’effetto di spaesamento e di blocco della reazione da parte delle forze di polizia e dei Servizi.
Non c’è bisogno di colpire Westminster o la Cattedrale di San Paolo, basta un concerto pop, come è accaduto a Manchester, o un supermercato kosher, come è avvenuto a Parigi.
Se vi è un collegamento logico e culturale, si tratta qui della ben nota ripulsa islamista e salafita della musica, ritenuta comunque materia del Maligno e, ovviamente, l’odio per i negozi, le organizzazioni o le persone legate al mondo ebraico.
Per quel che ci risulta, inoltre, i Servizi britannici hanno già sventato la “coda” di un attentato, nella periferia londinese, e sono già all’opera per controllare i legami tra i foreing fighters residenti in Inghilterra e i loro contatti all’estero.
E’ probabile, quindi, che vi siano, in futuro, attentati di rilievo immediatamente prima delle elezioni in Italia, Germania, forse ancora in Gran Bretagna, per condizionare i risultati, mettere timore ai cittadini e destabilizzare le istituzioni della sicurezza e dell’intelligence europee.
Una soluzione potrebbe essere quella di chiarire, una volta per tutte, la questione del jihad con gli stati sunniti che finanziano e addestrano i vari gruppi islamisti, ma non credo che i politici europei, forse con l’unica eccezione proprio di Theresa May, avranno il coraggio e la lucidità di porre questo problema e di risolverlo, anche a muso duro, con il mondo sunnita.

Giancarlo Elia Valori