La responsabilità sanitaria ai tempi del coronavirus

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In foto Pasquale Mautone

di Pasquale Mautone

Nel violento succedersi di tragici bollettini nosografici, riponiamo una condivisa speranza nello stato di welfare, ovvero nelle strutture sanitarie, nei medici e tutto il personale sanitario che ci cureranno e faranno tutto il possibile per salvarci.
È a questi “nuovi eroi” che dovremmo tornare a guardare con lucidità e speranza, affidando loro le nostre richieste di aiuto che mettono in gioco le loro stesse vite per arginare il Covid 19.
Il principio ispiratore della legge 24/2017 (cd. legge Gelli) rivela una profonda attualità proprio nella intenzione di spostare il baricentro dal concetto accusatorio di responsabilità sanitaria a quello solidale di sanità responsabile che intende rafforzare la convinzione che la realizzazione delle attività di prevenzione e gestione del rischio sanitario rappresenta un interesse primario che deve assicurare il rispetto del principio della sicurezza delle cure.
Ancor di più all’indomani dell’emanazione del D. L. 17 marzo 2020, n. 18 (cd. decreto Cura Italia) ove la laurea in medicina diventa “abilitante” alla professione medica, occorre abbandonare una certa logica dell’obbligazione di risultato, così rimettendo in discussione proprio i principi della responsabilità sanitaria, sia per quanto riguarda prestazioni che implicano la soluzione di problemi tecnici di speciale difficoltà (art. 2236 c.c.), ove il prestatore (il medico) non risponde dei danni se non in caso di dolo e colpa grave, sia rispetto agli interventi di routine.
Nella varietà di norme emergenziali, spesso contraddittorie tra Governo e Regioni, ed in violazione della “gerarchia delle fonti” del diritto, quello che occorre tenere in evidenza è il concetto di “emergenza” e l’ipotesi del contagio “endonosocomiale” deve garantire il massimo rispetto al corpo dei medici e sanitari e non può rendere indenni gli operatori del diritto da una riflessione sulle conseguenze, in termini risarcitori, del contagio da coronavirus, giacché si fanno sempre più consistenti le ipotesi che ascrivono alle gestione delle strutture ospedaliere la diffusione del contagio.
Possibili profili di responsabilità risarcitoria delle strutture ospedaliere vanno valutati nella gestione dell’emergenza sanitaria nelle prime fasi. Occorre verificare se vi siano gli estremi perché alle strutture sanitarie siano contestabili profili di responsabilità per i danni cagionati dal contagio e ricordare che per eventuali danni procurati da omissioni dei sanitari, dovrà ascriversi alla struttura nosocomiale l’inadempimento dell’omissione dell’attività di isolamento, acquisendo rilievo la mancata attivazione da parti di questi delle dovute procedure preventive di isolamento del paziente.
Atteso il titolo contrattuale della responsabilità da contagio della struttura sanitaria, questa sarà liberata dall’obbligo risarcitorio solo qualora dimostri l’inevitabilità della diffusione del contagio, invocando il rispetto da parte del proprio personale delle linee guida, nonché delle buone prassi in fatti di ricoveri di pazienti mostranti sintomi di malattie contagiose.
Ma nell’esame della fattispecie non bisogna dimenticare che nel caso del Covid 19 l’infezione è prevalentemente di matrice non ospedaliera, avendo carattere esogeno ed in tema di infezioni nosocomiali la giurisprudenza si è sempre riferita, ai fini della prova del nesso causale, a presunzioni che si pongono al confine di una responsabilità oggettiva e senza colpa, anche se, dopo l’emanazione della legge Gelli, si è registrato un certo abbandono di tale modello “oggettivo”, consentendo ai fini liberatori, la dimostrazione di aver adottato tutte le misure organizzative utili e necessarie per prevenire e contenere il fenomeno infettivo attraverso i protocolli diretti all’applicazione e al monitoraggio delle pratiche a ciò finalizzate.
Sono già pronte le nuove polizze assicurative dedicate a tutte quelle persone che ogni giorno lavorano per affrontare l’emergenza sanitaria per infezione da virus Covid 19 per garantire medici, personale sanitario, personale amministrativo delle aziende sanitarie, Forze dell’Ordine, personale della Protezione Civile, personale delle Associazioni di volontariato e tutti i cittadini fino a 60 anni di età.
Sotto tale delicato profilo, nel ginepraio di norme emanate, al fine di tutelare medici ed operatori sanitari che svolgono la propria attività in emergenza, appare utile un ponderato e lucido intervento legislativo che possa da un lato porre un limite all’esercizio delle azioni individuali al fine di realizzare, per dirla con i francesi, un barràggio, ovvero realizzare un argine ad azioni individuali al fine di realizzare un condiviso afflato di responsabilità solidale e dall’altro prevedere meccanismi indennitari a favore dei congiunti da vittime da coronavirus, con la consapevolezza che quel pretium doloris o “denaro del pianto” giammai potrà compensare il dolore dei congiunti per tali gravi perdite.

* Avvocato Cassazionista, già Docente in Diritto Sanitario e Dottore di Ricerca in “Economia e Management delle Aziende e delle Organizzazioni sanitarie”.