La strategia russa nel Medio Oriente

La Federazione Russa ha già vinto la guerra in Siria ed è, quindi, la potenza egemone in tutto il Medio Oriente.
Naturalmente, Mosca ha mantenuto un ottimo rapporto, malgrado le tensioni avvenute all’inizio degli scontri siriani, con la Turchia, seconda Forza Armata della NATO e chiave strategica del nesso tra Medio Oriente e Mediterraneo.
Nel settembre scorso, Ankara ha accettato di comprare i sistemi missilistici S-400 russi, rottura importante nel monopolio tecnologico militare occidentale, poi Mosca ha inoltre creato un clima di collaborazione tra Turchia e Iran, altra novità geopolitica che significa una cosa sola: la NATO è stata frazionata e resa inoffensiva in tutto il Medio Oriente attuale.
Non dimentichiamo nemmeno che la Rosatom russa, la società di stato che si occupa di infrastrutture nucleari, sta iniziando a costruire una centrale atomica, dal costo previsto di 20 miliardi usd, nel sud della Turchia, ad Akkuyu.
La centrale dovrebbe diventare operativa entro il 2023.
Lo scambio geopolitico tra Ankara e Mosca è, ancora una volta, evidente: la Turchia usa il suo rapporto particolare con la Russia per fare pressione con la NATO, Mosca manovra le sue relazioni per portare fuori lentamente la Turchia dal contesto strategico dell’Alleanza Atlantica.
E’ poi evidente che il punto centrale della geoeconomia di Ankara è quello della necessaria diversificazione delle fonti energetiche.
Infatti, Ankara ha sostenuto il progetto Blue Stream, completato nel 2003, poi ha accettato anche il progetto TurkStream, che sarà terminato nel 2020, ma già oggi acquista oltre il 50% dei suoi idrocarburi dalla Russia.
Ottimo meccanismo di pressione russa nei confronti della seconda Forza Armata dell’Alleanza Atlantica, che sembra avere una qualche strategia nei confronti della Federazione Russa, ma nessuna chiara posizione per il sistema del Grande Medio Oriente, rovinato dalle infauste “primavere arabe” o dalle rivolte della Fratellanza Musulmana, sostenuta spesso dagli Usa, contro i “tiranni”.
Altro elemento di possibile contrasto, che ancora non si manifesta, tra Mosca e Ankara, è la questione dei Curdi, con i quali la Russia ha sempre avuto buoni rapporti, ma che Ankara, notoriamente, non vuole che abbiano alcuna autonomia politica.
Nel progetto di costituzione siriana, quello che si sta elaborando oggi negli incontri di Astana, i curdi avranno una larga autonomia, che ovviamente serve anche agli interessi di Mosca: uno stato-cuscinetto curdo futuro che controlla la linea di collegamento tra Baghdad, Damasco e Beirut, l’asse sciita, che evita poi il debordamento dei curdi fuori dai loro attuali confini siriani e che, infine, evita la costituzione di un blocco sunnita a egemonia saudita nel centro-sud dell’attuale Siria.
Anche Re Salman, nella sua visita a Mosca del 5 ottobre scorso, poco prima di cedere il suo trono al figlio Mohammed, ha chiesto ai russi la formale “fine dell’interferenza iraniana” in Siria, la scacchiera di tutti i flussi di potere mediorientali, ed ha inoltre siglato ben 15 memorandum of understanding per gli investimenti di Riyadh in Russia, soprattutto nei settori spaziale, petrolifero, militare, oltre a una collaborazione sempre più stretta tra la Russia e i sauditi per la stabilizzazione del prezzo del petrolio.
Obiettivo strategico primario, soprattutto per la Russia, che ha sempre accarezzato l’idea, soprattutto nei primi anni di questo secolo, di far parte dell’OPEC.
Riyadh, il polo strategico tradizionale di Washington in Medio Oriente, diversifica oggi le sue relazioni economiche e politiche internazionali, dopo aver verificato che gli Usa non intendono stabilizzare l’area mediorientale, ma separarla e frazionarla tra i Paesi “democratici” e gli altri, in una geopolitica valoriale e moralistica che porterà sicuramente ad altre disastrose quanto inutili guerre.
I russi, ora, potranno utilizzare il loro potere regionale per accettare, ovviamente in modo parziale, le richieste saudite per l’Iran, ovvero l’esclusione di Teheran dalla Siria e la fine del sostegno iraniano agli Houthy in Yemen; e successivamente allontanare Riyadh dagli Usa e dalla loro ingenua strategia contro il generico “terrorismo”.
La Russia, in sostanza, è intervenuta in Siria per due motivi: raggiungere una egemonia regionale per costringere gli Usa e l’Eu a garantire concessioni in aree più vitali per Mosca, come per esempio l’Ucraina.
Secondariamente, Mosca ha voluto dimostrare di essere una potenza strategica e militare di primo livello, tale quindi da condizionare i movimenti statunitensi e NATO in Medio Oriente e renderli marginali.
Entrambi gli obiettivi sono stati raggiunti.
I sauditi vogliono ormai lavorare in Siria insieme a Mosca, spegnendo i loro gruppi jihadisti, in particolare Hayat Tahrir Al Sham, che già opera in relazione con le forze turche, ma con un fine ben chiaro: noi sauditi cessiamo il sostegno ai jihadisti sunniti contro Assad se ci permettete di prenderci una grande fetta del lavoro e degli investimenti per la ricostruzione siriana.
Un equilibrio di potere, quindi, che permette a Mosca di essere l’ago della bilancia, sempre, tra Iran, Turchia e Arabia Saudita, magari giocando gli uni contro gli altri.
Il problema è che l’élite russa legge ancora Machiavelli, mentre gli Usa hanno acuito oggi un approccio moralista e valoriale alla politica estera che, pur quando non è ipocrita, non permette alcuna valutazione reale dei rapporti di forza, che è ciò che interessa davvero in politica estera.
Rapporti bilaterali di Mosca, quindi, con tutti i maggiori attori mediorientali, in modo da creare un sistema in cui la Russia diviene mediatore inevitabile sia negli equilibri nazionali che nella più grande partita regionale.
Il punto di caduta attuale dei vari attori regionali è, sostanzialmente, questo: a) una cooperazione per la ricostruzione siriana, visto che nessun Paese ce la può fare da solo, b) l’accesso della Turchia al territorio siriano di confine per l’eliminazione dei rimanenti gruppi jihadisti, che potrebbero infettare l’Anatolia, c) controllare, ma non eliminare il potere iraniano in Siria, limitandolo al sud-est, d) chiudere lo spazio curdo nel Nord, che non conviene a nessuno rafforzare.
La Russia interpreta quindi la sua strategia mediorientale come autonoma dallo scontro sunniti-sciiti e assolutamente, è proprio l’errore degli occidentali, non-ideologica, mentre il Medio Oriente è evidentemente centrale per la sicurezza russa ma è ugualmente non rilevante per la sicurezza della NATO, che ha comunque perduta, di fatto, la Turchia.
L’idea, folle, di ripetere la guerra fredda con una nuova pressione NATO sul confine occidentale di Mosca permette infatti alla Federazione Russa di operare quasi senza contrasti in altri quadranti.
Mosca ha sempre ritenuto l’operazione Usa denominata “primavere arabe” non come un progetto olistico per portare una improbabile “democrazia” nel mondo arabo-islamico ma come un fenomeno differenziato, da valutare caso per caso in funzione del Paese in cui la “primavera” si attua.
La questione del nesso strategico tra Mosca e Gerusalemme è poi ancora più complessa.
Israele ha sempre informato la Federazione Russa che la presenza iraniana in Siria è ritenuta una minaccia esistenziale per lo Stato ebraico.
Inoltre, Gerusalemme ha sempre cercato di bloccare l’uscita degli Usa dal quadrante mediorientale, pur lasciando libero gioco ai russi, per poi piangere sulla morte della politica estera Usa nel sistema petrolifero.
Che a Washington credano che basti solo il petrodollaro? Che gli Usa pensino che la prossima autonomia petrolifera americana gli liberi dagli impegni mediorientali?
In ogni caso, si tratta di ipotesi del tutto improbabili.
E infatti il potere militare raggiunto dai russi con le operazioni siriane è stato costruito in gran parte a spese degli Stati Uniti.
Israele non è stato soddisfatto dalla accettazione, da parte dei russi, del limite di 30 chilometri dal confine del Golan nel quale devono rimanere le forze iraniane e gli Hezbollah, la Giordania ha invece accettato con piacere la “de-escalation zone” nella Siria meridionale per permettere il riflusso dei rifugiati, ma Israele preme oggi sia con Mosca che con Washington.
Con la Russia, Gerusalemme preme per continuare a controllare l’Iran dentro la Siria, con gli Usa, lo stato ebraico preme per richiamarli ad una presenza militare in Medio Oriente, che oggi gli americani hanno lasciato completamente ai russi.
E, d’ora in poi, nessun paese mediorientale prenderà quindi sul serio gli impegni degli Stati Uniti.
Preferiranno sempre mettersi d’accordo con i russi.
E Mosca vuole utilizzare sia la Turchia che l’Iran, come garanti a pari grado, della prossima stabilizzazione siriana.
Ma Israele è una potenza regionale che interessa molto la Federazione Russa, che non vuole trascurare gli interessi di Gerusalemme sia per la sua sicurezza a Nord, contro il Libano e il Golan, che per gli accordi, già spesso attivi, di tipo economico e militare con Mosca.
Mosca prende molto sul serio Israele e, probabilmente, vuole utilizzarlo nella prossima scacchiera mediorientale, quando la cristallizzazione dei poteri in Siria porterà Teheran e Mosca verso un probabilissimo scontro.
Oggi, sul terreno siriano non ancora pacificato, nessuno vuole davvero la guerra con lo stato ebraico, nemmeno l’Iran, il che implica che le minacce militari israeliane saranno sempre prese molto sul serio.
Con la Giordania, la Federazione Russa ha un ottimo scambio di informazioni di intelligence e le operazioni di Amman in Siria ci fanno ipotizzare che anche il Regno hashemita stia ricalibrando i suoi rapporti tradizionali con gli Usa e la Gran Bretagna, che non vogliono più entanglements nell’area del petrolio, per ripensare, da Amman, ad una relazione più stretta con Mosca.
Certo, Re Abdallah ha partecipato alla costituzione, a Riyadh, della Alleanza Militare Islamica.
La base della sicurezza giordana è infatti la stabilità del suo confine con l’Iraq e la Siria, il che influenza molto anche la sua stabilità politica interna.
La collaborazione di Amman con la Russia o gli Usa riguarda quindi solo il suo interesse nazionale per il contenimento dei suoi confini.
Re Abdallah ha infatti visitato Mosca ben 16 volte dall’anno della sua incoronazione, il 1999.
Amman ha già comprato dai russi i sistemi anticarro “Kornet” e la difesa terra-aria portatile “Igla”, mentre Mosca sta già progettando la produzione, in Giordania, degli RPG russi.
Probabilmente, Mosca vede Amman come un mediatore ideale con tutto il mondo sunnita e la Giordania è entrata, proprio su ordine di Mosca, tra i membri del tavolo per le trattative di Astana.
Peraltro, Amman sta comunicando le sueidee sul medio-oriente anche agli americani, mediando anche tra i due players globali.
Più passa il tempo, quindi, e più la Giordania sarà essenziale per i russi, mentre la situazione politica e militare siriana si sta cristallizzando.
Per quanto riguarda il Libano, Saad Hariri si è incontrato con Putin il 12 e il 13 settembre scorso, con un programma ben chiaro: a) armi russe per sostenere le Forze Armate di Beirut, b) investimenti per l’espansione del porto di Tripoli, c) la creazione di una zona economica libera nel Nord del Libano, d) la partecipazione della Russia al prossimo sfruttamento dei giacimenti di gas al largo delle coste libanesi.
I libanesi sono preoccupati, fra l’altro, dalla sempre più rilevante presenza militare Usa in Israele.
Il radar americano vicino Beersheba, in attività dal 2008, e la presenza di Washington aumenta anche in Giordania.
Si tratta di due esempi che mettono in ansia Beirut e il suo labile equilibrio con Hezb’ollah nel Sud.
Il Libano quindi cerca, nella Russia, un alleato potente contro le pressioni israeliane e americane da sud.
Certo, Mosca deve ancora abbandonare del tutto la logica tipica degli occidentali, che hanno prodotto i loro errori credendo in una sorta di “ingegneria politica” nei vari Paesi e nel rilievo, sempre eccessivo, dato alle differenze religiose.
La Federazione Russa, in Medio Oriente, ragionerà in futuro in questo modo: 1) stabilizzazione di tutti i confini attuali, 2) sostituzione lenta del suo sostegno con il vecchio appoggio Usa, 3) continuità strategica tra il Grande Medio Oriente e l’area georgiana e ucraina, 4) inglobamento progressivo della Turchia, 5) trattativa futura con gli americani quando essi non potranno non essere marginali.

Giancarlo Elia Valori