La violenza contro le donne: un dibattito storico

Il volume “La violenza contro le donne nella storia. Contesti, linguaggi, politiche del diritto (secoli XV-XXI)”, a cura di Simona Feci e Laura Schettini, rientra nella collana “Storia delle donne e di genere” e tratta in maniera analitica e critica lo scottante tema della violenza contro le donne. Storicizzare un fenomeno, come sempre, consente di chiarirlo alla luce delle declinazioni sociali e culturali del presente. Con tale operazione lo si fa rientrare in una più ampia analisi critica dei rapporti di genere, regolati dal diritto nel corso dei secoli. I diversi saggi, che riguardano un arco temporale ampio, intendono esplorare anche i contesti familiari cui nel presente si tende sempre a far riferimento per spiegare tale complesso fenomeno che interessa l’intera società e i valori di cui è portatrice. In tal senso s’intende investire di responsabilità il mondo politico e la giurisprudenza attuale per la costruzione di relazioni possibili, autentiche, paritarie tra i sessi.
La violenza di genere in tutte le epoche pone in evidenza la disuguaglianza del rapporto uomo-donna, e in tale ottica si possono leggere i saggi che trattano del famoso ‘ius corrigendi’ del pater familias, ossia della prerogativa del capofamiglia di esercitare un diritto di correzione nei confronti della moglie e dei figli che, tra le mura domestiche, può sfociare nella violenza. A tale diritto si è fatto riferimento nei tribunali fino a Novecento inoltrato, mentre in seguito il percorso di emancipazione delle femministe ha portato a parlare di violenza sessuale, distinguendola dalla violenza domestica e interpretando la violenza maschile sempre più come un attacco alla sfera della sessualità o identità femminile e non solo come un’offesa della carne ( la violenza sessuale è stata inclusa nel codice penale solo nel 1997). La violenza contro le donne è, dunque, uno dei meccanismi sociali cruciali per mezzo dei quali le donne sono costrette in una posizione subordinata rispetto agli uomini.
A tal proposito i documenti storici presentati nel libro illustrano la violenza di genere delle società attuali come lo strumento attraverso cui gli uomini (ex-mariti, giovanissimi fidanzati o “branchi” di uomini) in quanto individui e in quanto genere, tendono a conservare o a ripristinare oggi la diseguaglianza storica dei sessi, apparentemente rimossa. La profondità dell’analisi storica degli autori finisce col rappresentare il gesto violento come un tratto costitutivo della natura maschile, riconducibile alla dimensione più istintuale e animale degli uomini, qualcosa pronto ad erompere allorché cedono i freni inibitori, in condizione di particolare stress, frustrazione, abuso di sostanze alcoliche o droghe. Ciò è ovvio, ma non esime dall’impegno a far emergere le dinamiche sociali e culturali attraverso cui si realizza la violenza, le molteplici forme che assume e i modi in cui è percepita socialmente e trattata nella cultura giuridica. La gender history punta proprio all’analisi dei contesti ed evita di far esaminare la questione della violenza maschile contro le donne quasi esclusivamente sul piano emergenziale, spettacolarizzando le paure sociali. La ricerca storica dà un contributo importante alla comprensione del fenomeno ed è interessante vedere come è stata definita e concettualizzata la violenza a partire da quella sessuale. Il passaggio da “stupro” (stuprum – onta, disonore) a “violenza carnale e atti di libidine violenta”, a “violenza sessuale” e a “violenza di genere” è un processo significativo dei cambiamenti intervenuti a livello storico e giuridico nonché politico-ermeneutico nei confronti di uno stesso fenomeno. Ad un certo punto non si è più interessati alle definizioni ottocentesche che fanno esclusivamente riferimento alla sessualità ma a identificare come violenza tutte le forme fondate sulle disuguaglianze sociali tra uomini e donne e sulle discriminazioni sessuali. Si ricordi che nel Codice del 1889, il primo dell’Italia unita, la “violenza carnale” venne posta tra i delitti contro il buon costume e l’ordine delle famiglie mentre nel 1992 Diana Russell ha coniato l’espressione femminicidio per chiarire che nei femminicidi l’elemento costitutivo non è l’offesa sessuale, ma l’intenzione di preservare la supremazia maschile: le donne sono colpite in quanto donne. La qualificazione di “genere” chiama in causa i ruoli di genere dell’antica famiglia patriarcale in un’ottica di conservatorismo di modelli di genere, indispensabili per la famiglia tradizionale e per le società che si organizzano intorno ad essa. Questo in soldoni il vero movente dell’attuale violenza maschile: più che il dominio sessuale, mantenere intatti i ruoli di genere tradizionali. Ruoli sollecitati dalle battaglie femministe, dalle lotte transgender, dalla globalizzazione, dallo sfaldamento familiare, dal cambiamento dei costumi e delle modalità di comunicazione sociale.
Le curatrici del volume sperano che diffondendo una maggiore consapevolezza delle radici della violenza contro le donne sarà possibile contrastarla, depotenziandone i simboli culturali di cui si nutre, e destrutturandola con politiche autenticamente democratiche ed eque.

Maria Elena Viscardi