Gli stress test sono assurti agli onori delle cronache qualche tempo fa per essere stati usati nel settore bancario europeo su indicazione della BCE. Tanto al fine di monitorare la capacità di resistenza dei singoli istituti, simulando il verificarsi di eventi estremi, allo scopo di stabilire il limite di resistenza in caso di reali eventi eccezionali. Non sono gli stessi una novità, né da considerare applicabili al solo settore creditizio. Con molta probabilità la loro origine è da considerare coincidente con le prove di resistenza fino al punto di rottura di manufatti che da secoli l’umanità fa abitualmente. Così, per citarne solo uno, può essere considerato uno stress test anche il carico di un ponte fino a che non dia segnali di cedimento. Nella fase storica che l’umanità sta attraversando, potrebbe essere interessante osservare dal vivo lo stress test che sta subendo il mercato in generale, quindi nelle sue molteplici espressioni. Si può azzardare a considerare l’ attività mercantile probabilmente come la più congeniale al modo di articolarsi dell’uomo fin da quando ha deciso di vivere su due gambe anziché su quattro arti. Avanzando a spanne, si può considerarla articolata in due grandi filoni: il mercato libero, definibile ancora oggi a pieno titolo con l’identica descrizione di buona parte degli economisti classici. Più precisamente come ” il luogo ideale dove s’incontrano la domanda e l’offerta” di qualsiasi bene o servizio. Quindi in quel determinato punto del piano cartesiano, tutto quanto è prodotto è acquistato e il mercato di quel sistema economico si trova in una situazione di equilibrio.Tutte le altre forme di scambio regolate diversamente, con il termine mercato senza l’aggiunta di qualifiche, potranno dare solo un’ idea sbiadita delle regole commerciali o presunte tali alle quali sono assoggettate. Attualmente l’umanità si trova di fronte a due manifestazioni macroscopiche di andamento di mercato difforme da quello libero, comportanti, anche se per motivi diversi, stress test non teorici e quindi estremamente pericolosi. Sembrerà bizzarro, ma i due settori merceologici presi in considerazione sono agli antipodi: il grano e l combustibili fossili. Pur non avendo niente che li tenga insieme, stanno mettendo in ginocchio, ciascuno per la sua parte, l’umanità. La caratteristica che li accomuna è che, a livello globale, sono entrambi ceduti in regime di oligopolio. Mentre per gli idrocarburi l’offerta è regolata, sia in termini di quantità che di prezzi, dall’ OPEC, l’associazione di categoria dei paesi produttori, per il grano l’ offerta mondiale è regolata da due paesi, peraltro in guerra tra di loro, la Russia e l’Ucraina, rispettivamente primo e secondo produttore a livello mondiale. La produzione di idrocarburi non è soggetta a stagionalità categoriche, può al limite essere agganciabile all’andamento climatico. Non è la stessa cosa per il frumento, la cui coltivazione obbedisce ai cicli naturali, dalla semina al raccolto.Altra differenza sostanziale tra i due prodotti consiste nel fatto che gli idrocarburi sono stivabili sine die, mentre i cereali hanno una durabilità mercantile contenuta, pena la loro avaria. Si arriva così al focus del problema: per entrambe i prodotti, come vengono determinati prezzi e volumi di scambio? Con due logiche opposte ma con lo stesso risultato. Quello del grano è da considerarsi un vero duopolio: Russia e Ucraina, in questo ordine di importanza, coprono il fabbisogno mondiale per oltre il 50%. Prima che entrassero in conflitto tra di loro, non era difficile che i responsabili di ciascuno dei due paesi si accordassero per “fare”, come si dice in gergo mercantile, il prezzo del prodotto. Pur trovandosi in una posizione di privilegio, non è capitato spesso, almeno in tempi recenti, che ne abbiano approfittato. Gli idrocarburi sono gestiti per lo più da un soggetto, l’ OPEC, composto dai rappresentanti dei singoli paesi produttori, che delibera a maggioranza. Soprattutto su due argomenti molto importanti: quantità da estrarre in un determinato lasso temporale e il prezzo da praticare. Essendo la concorrenza in quel settore ridotta al minimo, risulta più che evidente che entrambi i valori accennati sono condizionati da scelte politiche più o meno dichiarate. Si aggiunga a esse ll brivido dell’azzardo, perché i prezzi vengono definiti quasi in corrispondenza di una stagione per quella successiva. Appare chiaro così che sia per i cereali che per gli idrocarburi la domanda e l’offerta, se non sono ridotte al ruolo di figure generiche sul palcoscenico del commercio mondiale, poco manca. La domanda che dovrebbe nascere spontanea è: per l’umanità non sarebbe meglio far conto sul libero mercato, soprattutto per soddisfare I beni di primaria importanza, che essere soggetti alle paturnie di personaggi che con la logica commerciale hanno da spartire poco o niente? È chiaro che l’irrazionale talvolta possa prendere il sopravvento e faccia vedere nero ciò che è bianco e viceversa. Probabilmente la vicenda deve proseguire in tal senso, altrimenti ne andrebbe di mezzo anche il sale della vita. Sostenere a oltranza l’assurdo però non va altrettanto bene. Forse riflettere con particolare attenzione che tra il bianco e il nero c’è il grigio, peraltro in più di cinquanta sfumature, potrebbe essere, se non risolutivo, quanto meno dirimente. Sarebbe già un bel passo avanti.