Lascaux 3.0 a Napoli, un nuovo esperimento d’interpretazione

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Signore e signori, ecco a voi la mostra preludio all’attesissima riapertura al pubblico della collezione museale della “Preistoria e Protostoria per il Museo Archeologico di Napoli, il Mann. Tutta per i visitatori la mostra “Lascaux 3.0”. Il nome è il simbolo della preistoria restituita ai tempi moderni dalla curiosità di un ragazzo francese, Marcel Ravidat, che portando a passeggio il suo cane scovò quel buco nel terreno che altro non era che l‘accesso ad una serie di grotte sotterranee. Erano articolate in lunghi bracci, sulle cui pareti erano dipinte raffinatissime pitture, capolavori dell’arte rupestre di un tempo che definire passato remoto è un errore per eccesso. Preistoria, protostoria. Addirittura. Ed ora queste opere, ovviamente riprodotte grazie alla tecnologia moderna, sono a Napoli, in mostra al Mann per emozionare il pubblico dei visitatori. Ohmeravigliadellemeraviglie. Quelle lastre esposte sono il risultato della tecnologia più avanzata che ha permesso la realizzazione del “velo di pietra”: una grande (e sottilissima) parete artificiale che permette di riprodurre, in modo fedele all’originale, non soltanto porzioni significative delle pitture della Grotta, ma anche consistenza ed effetto visivo della pietra. Applauso alla capacità dei ricercatori. Le grotte di Lascaux, quelle vere, pubblico oggi, pubblico domani, cominciarono ad essere infestate dalle muffe. Il vapore prodotto dai tanti visitatori favorì la proliferazione delle muffe che cominciarono ad aggredire le pitture. Una sola la soluzione: la chiusura al pubblico della grotta dei tesori nel 1963. Dieci anni dopo, nel 1973, fu aperto il cantiere per “Lascaux II”, la riproduzione della Grotta in una cava abbandonata a 350 metri dal monumento preistorico che fu aperta nel 1983. Negli anni duemila si decise di mandare in giro questa meraviglia. Fortunatamente c’è qualcuno che crede anche alla funzione pubblicitaria per i siti d’appartenenza delle opere che si mandano in giro nel mondo. Nacque “Lascaux 3.0, oggi esposto al Mann. Un’emozione immensa, pensare di rivivere il famoso piaceredellascoperta addentrandosi in un percorso stretto e articolato come il corridoio della grotta originale. Fantastico. Un innovazione che lascia immaginare che, finalmente, le tecniche dell’interpretazione, almeno in casi specifici come quello dei capolavori rupestri di Lascaux, applicate magistralmente, possano far vivere al visitatore l’esperienza emozionale e culturale che si aspettano. Sembra facile, recitava una vecchia pubblicità, ma non è. Infatti. Oh il percorso articolato e buio c’è. Su questo non ci sono dubbi. Se però in questo percorso non rettilineo le opere sono esposte in teche aventi l’unica particolarità di essere sistemate in alto, un po’ oblique ed angolate, per dare l’impressione delle pareti irregolari di una grotta, conservando però l’incorniciatura e la squadratura che potrebbero avere per inquadrare l’opera di un qualsiasi famoso artista contemporaneo, ciò che colpisce non è la sensazione del cunicolo ma quella di un “percorso a zig zag” di cui il pubblico non coglie fino in fondo il senso. Razionalmente lo sforzo di simulare la passeggiata nei cunicoli delle grotte originali è palese. Razionalmente. Il fine dichiarato di questa esposizione era però il coinvolgimento emotivo del pubblico. Il video a disposizione del pubblico è offerto dallo schermo di un televisore grande come quello casalingo di un appassionato di calcio. Impossibile per uno spettatore sentirsi proiettato nella grotta. Il passaggio nel corridoio asettico e perfetto come quello di una mostra contemporanea coinvolge poco. I sensi di cui il corpo umano è dotato sono 5, dicevano i libri di scienze della scuola media. Passeggiare in una grotta ti fa sentire avvolto da quel freddo umido che penetra anche attraverso i vestiti, mentre l’odore dell’umidità è tanto forte che rimane impresso nel naso anche dopo qualche minuto che si è lasciato l’ambiente infestato dalle muffe. Il visitatore che passeggia nel corridoio segmentato, con espositori un po’ storti che incombono sulla sua testa o ne accompagnano i passi all’altezza delle ginocchia più che emozionato è perplesso. Aver voluto usare le tecniche dell’interpretazione è sicuramente un ottimo dato di partenza che fa sperare in un adeguato allestimento della sezione in riapertura. Però. L’interpretazione si studia e si progetta. La tecnologia, fondamentale, può servire per proiezioni 3D che diamo la perfetta percezione della matericità della grotta in questo caso, e con luci progressive realizzino la messa a fuoco del dipinto. Insomma se il visitatore deve sentirsi un novello Ravidat, bisogna anche metterlo in una condizione emotiva vicina a quello dell’involontario scopritore delle grotte.