Lavoro minorile, 168 milioni di bambini sfruttati. Sulle nostre tavole i proventi del loro lavoro

Piccole obbligate a lavorare nelle case senza paga né documenti: ragazzine che devono lavorare per pagarsi la dote, bambini che lavoro nei campi sotto il ricatto che la loro famiglia ha ricevuto un anticipo sul loro compenso. Il lavoro forzato assume mille sfumature diverse e tocca tutti i continenti, compreso il mondo industrializzato. Costretti ad avere un’occupazione nonostante la loro tenera età, i bambini costretti a lavorare invece di andare a scuola e di giocare sono una realtà ancora largamente diffusa, come se le norme a tutela della fanciullezza non siano ancora riuscite a strappare i più piccoli alla schiavitù e allo sfruttamento. E non soltanto nei paesi in via di sviluppo. Sono 168 milioni i minori nel mondo che lavorano, nei più disparati settori: cuciono scarpe da ginnastica, sgusciano gamberetti, tessono palloni. Sono almeno 340 mila gli under sedici che lavorano in Italia, di cui 28 mila sono impegnati in attività pericolose per la salute e la sicurezza. Lo sfruttamento del lavoro minorile non tralascia neppure l’agricoltura, sono 108 milioni i bambini sfruttati nelle campagne, dal riso basmati del Vietnam all’aglio argentino, passando per le rose africane. La denuncia arriva da Coldiretti, che ha lanciato il suo allarme in occasione della giornata mondiale contro lo sfruttamento del lavoro minorile. E l’Italia – sottolinea Coldiretti- importa ingenti quantità di prodotti agricoli ed alimentari che arrivano sulle nostre tavole. Dal riso asiatico all’ortofrutta sudamericana, quasi un prodotto agroalimentare su cinque che arriva in Italia da Paesi extracomunitari che non rispettano le normative in materia di tutela dei lavorati. Frutti del “caporalato invisibile”, inosservato, solo perché avviene in paesi lontani. Non si ferma così la piaga del lavoro minorile nel mondo: quasi tre bambini su quattro messi al lavoro sono occupati in agricoltura e rispetto al 2012, sono dieci milioni in più. Dopo anni di declino, negli ultimi anni, il lavoro minorile in agricoltura negli ultimi anni ha ripreso a crescere, alimentato anche dai conflitti e dalla catastrofi provocate dal clima. Minacciando di fatti il benessere di milioni di bambini e minando anche gli sforzi per porre fine alla fame e alla povertà. Le famiglie nei campi profughi siriani in Libano – fa notare l’Onu- ad esempio sono inclini a ricorrere al lavoro minorile per assicurare la sopravvivenza della famiglia. I bambini rifugiati devono occuparsi della produzione di aglio, della produzione di pomodori, raccolta della patate. Esponendosi ai rischi dei pesticidi, alle scarse condizioni igienico – sanitarie del campo, alle alte temperature e all’affaticamento nel fare lavori fisici. Il lavoro minorile in agricoltura è una questione seria e globale che nuoce ai bambini, danneggia il settore agricolo e perpetua la povertà rurale. I bambini spesso solo l’unica fonte di sostentamento per le famiglie, ma ciò priva i bambini dell’infanzia e dell’istruzione, impedendo così di poter ottenere posti di lavori e redditi sufficienti al futuro.
Occorre un piano nazionale sul lavoro minorile, che contrasti e prevenga il fenomeno nel nostro paese. Secondo una ricerca di “Save the Children” tra i minori che lavorano in Italia, più di due su tre sono maschi e circa il 7% è un minore straniero. Lavorano perlopiù in attività di famiglia (44,9%), mentre per quelli impiegati all’esterno del circuito familiare, i settori principali sono la ristorazione (43%), artigianato (20%) e agricoltura (20%). Un bambino costretto a lavorare prima del tempo avrà il doppio delle difficoltà dei suoi coetanei ad accedere a un lavoro dignitoso in età più adulta e correrà molti più rischi di rimanere ai margini della società, in condizioni di sfruttamento. E’ importante puntare sull’educazione in Italia e nel mondo, perché solo garantendo l’accesso ad un’istruzione di qualità e contrastando la dispersione scolastica si può contribuire a ridurre lo sfruttamento lavorativo dei bambini e degli adolescenti. Se sono messi nelle condizioni di poter andare a scuola, allora i bambini e gli adolescenti sono in misura minore al rischio di abbandonare la scuola e di venire inseriti in circuiti di sfruttamento lavorativo. Ma, non bisogna abbandonare le famiglie, bisogna potenziare l’empowerment personale, riducendo così la possibilità che i figli vadano a lavorare, sensibilizzando i genitori sull’importanza dell’istruzione e rendere i bambini consapevoli dei propri diritti. Oltre ai Trattati e alle Convenzioni che riconoscano e garantiscano i diritti dei bambini a livello formale, seppur importanti e fondamentali. E’ necessario anche e soprattutto partire dal basso, agire a livello delle comunità, cercando di fornire un’educazione accessibile e di qualità a tutti i bambini, sensibilizzando i genitori, gli insegnanti, gli stakeholders e le istituzioni sull’importanza dell’educazione, rompendo stereotipi diffuso e combattendo tradizioni e norme che non tutelano i diritti dei bambini e degli adolescenti.