Lavoro: Treu (Cnel), incentivi diretti insufficienti, servono interventi strutturali

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Roma, 6 dic. (Labitalia) – “La debolezza della nostra occupazione è dovuta in larga misura alla carenza di occupati a tempo pieno e indeterminato, soprattutto con qualificazione medio alta. Per questo, il ricorso a incentivi diretti a sostenere l’occupazione a tempo pieno e indeterminato è di per sé insufficiente. Servono invece interventi strutturali, a cominciare da maggiori investimenti pubblici e privati soprattutto nei settori innovativi dell’economia e per altro verso nella formazione di qualità dei lavoratori e anche degli imprenditori”. Ad affermarlo Tiziano Treu, presidente del Cnel, nella relazione introduttiva del ‘Rapporto sul mercato del lavoro e sulla contrattazione collettiva 2018’ del Consiglio nazionale dell’economia e del lavoro, presentato stamattina, a Roma, nella sede di Villa Lubin.

Il rapporto di quest’anno tocca i principali aspetti della regolazione del lavoro e delle relazioni contrattuali – l’evoluzione dei lavori e delle condizioni dei lavoratori; le politiche attive e le politiche passive; la contrattazione collettiva e i suoi contenuti – e raccoglie contributi diversi di esperti del Cnel, di ricercatori dell’Anpal e dell’Inapp, con cui il Cnel ha da tempo una attiva collaborazione, nonché di economisti, sociologi e giuristi.

“Sono queste le indicazioni di policy che le commissioni e l’Assemblea del Cnel hanno recentemente approvato – ricorda il presidente – e sottoposto all’attenzione del Parlamento nel corso dell’audizione per la legge di bilancio, come condizione per contrastare la stagnazione e la via bassa alla ripresa. La qualità e l’utilità degli investimenti andrebbero valutate da istituzioni indipendenti come avviene in altri paesi. Tale valutazione renderebbe più forte la giusta richiesta all’Europa di scomputare le risorse dedicate a tali investimenti dal calcolo del deficit”.

Le tendenze dell’occupazione presentate nella prima parte del rapporto mostrano ancora “non pochi elementi critici”, osserva il presidente del Cnel, sottolineando “come la ripresa dell’occupazione sia un fatto positivo tanto più in un periodo di debole crescita, ma non si sia tradotta in un aumento del volume del lavoro rispetto al periodo pre-crisi, perché tra le persone occupate sono molte di più quelle che lavorano a orario ridotto che quelle impiegate a tempo pieno (la quota delle seconde cala del 8%)”.

“È cresciuta anche la quota del part-time involontario, soprattutto per le donne il saggio sottolinea come le differenze di genere, il carattere involontario dei nuovi part-time e la loro distribuzione diversificata sul territorio con la penalizzazione del Sud, mostrano che non siamo di fronte a una felice ridistribuzione del lavoro fra le famiglie, ma a una minore intensità del lavoro e a una disoccupazione diseguale, disoccupazione che oltretutto ora manifesta nuovi segnali di aumento. E per di più tali fenomeni critici, pur presenti anche in altri paesi, sono particolarmente accentuati in Italia”, avverte Treu.

“Una criticità ulteriore del quadro è segnalata dalla crescente polarizzazione dell’occupazione, cioè dal divario fra crescita delle fasce più qualificate di lavori e di quelle meno qualificate, a scapito dei lavori routinieri”, prosegue. Anche questa è una tendenza riscontrabile in molti paesi, ma nel caso italiano, precisa Treu, “la polarizzazione è asimmetrica al contrario, cioè la fascia più qualificata dell’occupazione cresce meno di quella poco qualificata, e il trend non si è invertito dopo la fine della crisi nel corso della cosiddetta ripresa bloccata del 2011”. “La conseguenza è una preoccupante dequalificazione della struttura occupazionale e una accresciuta divaricazione nelle dinamiche della occupazione per generi e per provenienza dei lavoratori”, rimarca.

Secondo Treu, “le conclusioni di questa analisi vanno attentamente considerate dai policy makers perché confermano la necessità di evitare soluzioni frettolose e di breve periodo”. “Infatti, le criticità rilevate, bassa intensità e scarsa qualificazione dell’occupazione, sono difficili da affrontare – spiega – perché sono interne alla struttura dell’economia italiana che ormai da parecchi anni non vede crescere quei settori e quelle attività ad elevata produttività e alto valore aggiunto che soli sarebbero in grado di offrire posti di lavoro molo qualificati e a tempo pieno”.

“Siamo consapevoli che solo ricerche approfondite e il più possibile oggettive su questi temi – dice il presidente del Cnel – possono fare luce su un futuro che si presenta incerto, bisognoso come non mai di pensiero critico e di idee lungimiranti. Solo così si possono evitare controversie ideologiche e soluzioni semplicistiche che sono purtroppo comuni nel nostro campo, molto esposto a tensioni sociali e influenzato da interessi contrastanti. Il Cnel è convinto, e io personalmente, che, nonostante la radicalità dei cambiamenti introdotti nel mondo del lavoro e dell’impresa dalla globalizzazione e dalle nuove tecnologie, specie digitali, l’impatto di questi fattori non è predeterminato, ma può essere influenzato dalle scelte di istituzioni e di attori pubblici e privati consapevoli e responsabili”.

“Occorre ripensare alle nostre pratiche e persino alle nostre categorie, non per rinnegare il passato, ma per guardare alla nuova configurazione del mondo del lavoro e dell’impresa con mente aperta. Ritengo che i materiali del rapporto testimoniano come queste nuove realtà influiscono su tutti i settori dell’economia, della politica e del diritto del lavoro. Le implicazioni dei cambiamenti non sono sempre facili da cogliere e sono spesso contraddittorie. Per questo, non è sufficiente e può essere forviante sovrapporvi schemi generali ancorché bene intenzionati. Servono indagini in profondità anche di dettaglio sulle tendenze evolutive, attente a quanto avviene in altri paesi, perché la crescente interdipendenza economica e finanziaria fra i sistemi nazionali influisce anche sulle regole e sulle politiche”, conclude.