L’Avvoltoio di Giuseppe Petrarca, un monito contro la rassegnata indifferenza

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di Fiorella Franchini

Dopo Inchiostro rosso e Corpi senza storia, Giuseppe Petrarca torna in libreria con un nuovo avvincente thriller. L’Avvoltoio, edito da Homo Scrivens e presentato al Maschio Angioino.
Una nuova sfida al crimine per il commissario Cosimo Lombardi e un’occasione per fare i conti con la propria vita. Ambientato in Sicilia, il racconto tratta temi scottanti, malasanità, immigrazione, crimine organizzato, descrivendo angoscianti atmosfere di omertà, corruzione, crudeltà.
La cronaca nera si fa scrittura e l’indagine affronta un’improvvisa epidemia dolosa e uno sconcertante traffico di organi su scala internazionale gestito da un’imponente organizzazione criminale. L’emergenza migranti salvati dal mare e poi abbandonati nei centri di accoglienza alla mercè della solitudine, della disperazione, di politici e malavitosi senza scrupoli, innesca paure ataviche e interessi delinquenziali. Tematiche, purtroppo, di grande attualità, ha sottolineato l’avvocato Valentina De Giovanni che ha ricordato il grave problema dei minori non accompagnati che sbarcano sulle nostre coste e diventano facili prede di sfruttatori senza scrupoli. Un esercito d’invisibili, senza diritti e con esigue opportunità di riscatto da una vita dolorosa, vittime di moderni sacrifici umani offerti alle nuove divinità del potere.
Per il critico e scrittore Raffaele Messina il romanzo s’innesta nella tradizione del medical thriller di Richard Preston e John Case, Jacques Futrelle, Richard Austin Freeman e John Blackburn, contaminato col genere catastrofico, in cui l’assassino misterioso cede il posto a un complotto su vasta scala, dove regnano virus geneticamente manipolati e medici criminali. Tuttavia, le atmosfere realistiche, tracciando un quadro oggettivo della società del nostro tempo, evidenziando, in particolar modo, i mali, le ingiustizie, le tristi e dolorose condizioni di vita delle classi più sventurate, ne fanno il nuovo romanzo sociale. Maurizio De Giovanni ha posto l’accento sulle ragioni del grande successo del genere che con le sue trame coinvolgenti, il ritmo veloce, i colpi di scena, il mistero e la suspense assume le caratteristiche di un gioco, di una sfida che il criminale ingaggia con il detective, l’autore con il lettore. Una lettura che riesce a dare forma alle nostre paure, personificandole, offrendo l’opportunità di dare sfogo alle sensazioni più brutali, ad affrontarle e quindi a esorcizzarle. Per il direttore del Centro RAI di Napoli Francesco Pinto, storie come quelle di Giuseppe Petrarca, permettendoci di rivivere le nostre paure in maniera indiretta, ci scuotono senza farci del male; riescono a dare un significato alle nostre angosce. Incanalando il male in un racconto, l’orrore fa meno paura, poiché lo rende spiegabile in una sequenza di atti, responsabilità e conseguenze. L’inquietudine viene posta in un universo comprensibile, rassicurante. Un giallo, un noir, un horror cominciano sempre con qualcosa che non è al suo posto, che ancora non si conosce, che va districato, per arrivare a un finale in cui, solitamente tutto si scopre, si svela e finalmente si sistema. I lettori, restituiti alla vita di tutti i giorni, riescono così a lasciarsi alle spalle le proprie paure, avendole limitate al tempo e al luogo della lettura e possono tornare alla normale esistenza tirando un sospiro di sollievo. E’, insomma, un processo catartico, un mezzo con cui elaboriamo e digeriamo ansie generali e particolari, soprattutto nel periodo storico di grande tensione in cui ci troviamo a vivere.
L’Avvoltoio di Giuseppe Petrarca cavalca la tensione di quest’onda psicologica e l’amplifica grazie all’intreccio della storia personale di Cosimo Lombardi. Nella rete della pagina scritta l’autore getta interrogativi complessi e la coscienza dell’eroe si confronta con il proprio vissuto di uomo, come in una grande palestra delle emozioni. Un amore tormentato, le incertezze del senso del vivere, i dilemmi sulla verità e sulla giustizia s’innestano in una contemporaneità difficile e confusa. Il finale è realisticamente ambiguo e inquietante sia nella sua dimensione collettiva che in quella privata. La scrittura, anche quella d’intrattenimento, ha le sue responsabilità etiche e sociali. Un monito per tenere desta l’attenzione anche quando il libro si chiude perché, come ha scritto Anna Maria Ortese, ” Non vi è orrore che, essendovi nati dentro, e avendone, per così dire, bevuto il latte, non si trasformi col tempo in abitudine e rassegnata indifferenza”.