Le associazioni dei pazienti oncologici ai politici: “Scarsa attenzione”

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Roma, 7 feb. (AdnKronos Salute) – Le associazioni dei malati di tumore chiamano i politici al confronto e denunciano, nella campagna elettorale in corso, scarsa attenzione alle politiche sanitarie legate all’oncologia e alle malattie tumorali. Patologie in crescita, con più di 3 milioni di italiani che hanno ricevuto una diagnosi di cancro e circa 370 mila nuovi casi ogni anno.

Disparità nella qualità dei servizi assistenziali tra regione e regione, sostenibilità economica, prevenzione primaria della malattia oncologica, carenza di risorse umane. Sono i 4 temi su cui sono stati invitati a rispondere i politici oggi a Roma, da ‘La salute: un bene da difendere, un diritto da promuovere’, formato da 17 associazioni e promosso da Salute Donna Onlus.

Il movimento di advocacy per la tutela dei diritti dei pazienti oncologici è divenuto interlocutore di riferimento a livello politico-istituzionale con il varo di un Accordo di legislatura 2018-2023. Una piattaforma articolata in 15 punti che delineano ambiti e modalità operative per ottimizzare la presa in carico e garantire la massima efficacia della cura alla persona con malattia oncologica. Un vero e proprio programma politico sull’oncologia che, in vista della prossima legislatura, viene ribadito e rilanciato agli schieramenti politici in corsa per le elezioni.

“Migliorare la vita di milioni di persone che lottano contro il cancro è la ragione d’esistere delle nostre associazioni e l’obiettivo della nostra iniziativa – afferma Annamaria Mancuso, presidente di Salute Donna – Chiediamo dunque a tutti i politici che daranno vita alla prossima legislatura l’impegno a riportare al centro delle politiche sanitarie e delle programmazioni istituzionali gli unmet need dei pazienti oncologici e delle loro famiglie”.

Fra i 4 temi discussi oggi con i politici c’è la marcata differenziazione di attività, risultati e qualità dell’assistenza sanitaria tra le regioni – rilevano le associazioni – che penalizza poco meno di 1 milione di cittadini italiani. Inoltre l’accesso alle cure è ritardato da lungaggini burocratiche.

Dopo l’approvazione dell’Agenzia europea dei medicinali passa almeno un anno per il riconoscimento nazionale e un tempo ulteriore, diverso da regione a regione, per mettere a disposizione dei pazienti le terapie innovative.

“Sulle questioni di importanza fondamentale, come quelle che riguardano la cura dei pazienti oncologici – sottolinea Adele Leone, presidente di Acto Bari (Alleanza contro il tumore ovarico) – non devono esserci divergenze regionali così impressionanti come purtroppo ci sono oggi: il primo, fondamentale passo per livellare le diseguaglianze e limitare la mobilità passiva è l’applicazione dei percorsi diagnostici terapeutici (Pdta) in modo omogeneo su tutto il territorio nazionale, così come auspicato dall’accordo”. Un fenomeno, quello della mobilità passiva, che ha una voce di spesa di oltre 4,3 miliardi di euro e che quindi incide negativamente sulla sostenibilità del sistema salute e, più specificamente, sulla consistenza del Fondo sanitario nazionale.

Tema questo che catalizza le preoccupazioni delle associazioni pazienti, dal momento che, se il Fondo scende sotto il livello di guardia del 6,5% del Pil fissato dall’Organizzazione mondiale della sanità, come si prevede nel prossimo triennio, la regolare erogazione dei Livelli essenziali di assistenza, insieme alla disponibilità delle terapie innovative ad alto costo, rischiano di essere fortemente a rischio. Su questo aspetto Felice Bombaci, responsabile Gaplmc (Gruppo Ail pazienti leucemia mieloide cronica), rileva che “le terapie innovative, se da un lato comportano un alto costo, dall’altro consentono a sempre più persone di tornare alla vita produttiva e dunque a generare Pil. Esistono anomalie di gestione che vanno corrette: ad esempio i fondi derivanti dal payback e dalle negoziazioni Aifa per volumi sul costo di farmaci, che sono incamerati dalle Regioni, ma spesso non ritornano al comparto sanitario”.

Se la consistenza del Fsn desta preoccupazioni sul futuro dell’assistenza medica, non di meno ne genera il problema della carenza di risorse umane: mancano all’appello circa 47 mila professionisti del settore infermieristico (dati Ipasvi) e studi demografici indicano che fra qualche anno ampie fasce di popolazione potrebbero mancare del medico di famiglia.

Inoltre, come evidenzia Isabella Francisetti, presidente Amoc Onlus (Associazione malati oncologici colon-retto), “la carenza di risorse umane incide in modo determinante anche nella gestione degli screening, come quello per il tumore del colon retto, e a cascata sulla vita dei pazienti: il numero limitato di ambulatori di gastroenterologia che eseguono colonscopie, esame necessario per diagnosticare la presenza di eventuali neoplasie, comporta una dilatazione dei tempi delle liste di attesa e quindi una ricaduta negativa sulla prognosi della patologia”. Carenza che si converte in carichi di lavoro esasperati per gli operatori sanitari e minore attenzione nell’interazione con il paziente.

Quello della comunicazione tra medico e paziente è un aspetto importante: una ricerca italiana ha stabilito che dedicare più tempo all’ascolto dei pazienti può accrescere del 30% l’efficacia di una cura, ma i pazienti sono interrotti in media dopo solo 18 secondi da quando iniziano a parlare. “La disponibilità all’ascolto e al feedback tra medico e paziente – afferma Patrizia Burdi, presidente Aiscup (Associazione italiana per lo studio e la cura del paziente oncologico) – ha un impatto positivo notevole sulla qualità di vita di entrambi, come attestato ormai da numerosi studi. Una comunicazione empatica non è un dono di pochi, ma una competenza che tutti possono apprendere e che può contribuire alla riduzione dei costi dell’assistenza medica: è tempo che anche in Italia diventi uno specifico insegnamento nelle Scuole di medicina”.

Per risalire la china dello squilibrio finanziario, ancora più ripida per via dell’aumento sia dell’incidenza della malattia oncologica sia del numero di sopravviventi, associazioni e specialisti sono d’accordo nel chiedere il potenziamento della prevenzione primaria, cioè la diffusione di un’attitudine culturale fondata su uno stile di vita sano, che dia valore a un’alimentazione calibrata, un’attività fisica moderata ma costante, e contrasti il consumo di alcol e sigarette nonché abitudini ormai consolidate, ma potenzialmente pericolose, come l’eccessiva esposizione al sole.

“Siamo schierati in prima linea – dice Federica Ferraresi, di Walce Onlus (Women Against Lung Cancer in Europe) – per ribadire l’inequivocabile importanza della divulgazione della cultura della prevenzione a tutti i livelli, per promuovere stili di vita consapevoli e contrastare la falsa informazione e il nostro movimento si sta confermando una strategia efficace per raggiungere questi obiettivi”.

Una cultura della prevenzione che deve essere insegnata già in età scolare, sostengono le associazioni – se si vuole contrastare la diffusione di patologie oncologiche insidiose come il melanoma.

“Efficaci iniziative di prevenzione del melanoma sono un bisogno sempre più urgente, se vogliamo contrastare la sua incidenza, addirittura raddoppiata negli ultimi 10 anni – ribadisce Monica Forchetta, presidente Apaim (Associazione pazienti Italia melanoma) – Una volta era una patologia che colpiva solo gli adulti. Ora sono molti, troppi i giovani che si ammalano. Dobbiamo dunque partire dalle scuole, perché un bambino informato oggi è un adulto sano domani”.

L’Accordo di legislatura sarà la strategia del movimento ‘La salute: un bene da difendere, un diritto da promuovere’ per i prossimi 5 anni. “Come in tutte le tribune pre-elettorali, l’agenda politica dei contendenti è piena di buoni propositi e proposte intelligenti – conclude Mancuso – Sarà nostro preciso compito fare di tutto affinché i progetti e le iniziative individuate nell’Accordo si trasformino, in tempi ragionevoli, in pratiche concrete e condivise”.