Le figurine mancanti: un viaggio nel tempo e non solo

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di Nico Dente Gattola

Il connubio tra toga e scrittura non è scontato, essendo insolito che, per dire, un giudice o un avvocato sia anche una buona penna.
Talvolta: vi sono infatti delle eccezioni come Giuseppe Ilario, avvocato e giudice di pace di Avellino ed autore di un piacevole quanto interessante romanzo dal titolo ”Le figurine mancanti”, la cui lettura avvolge sin dall’inizio.
Ambientato nella Napoli degli anni 70, quello di Ilario è prima di tutto un piccolo affresco di quel decennio così tormentato. Un periodo in cui la società italiana è in primo luogo attraversata dalle tensioni generate dal terrorismo le quali nel libro finiscono per avere delle conseguenze anche sui destini di alcuni suoi personaggi.
La scia di sangue generata dalle brigate rosse avvolge e condiziona infatti irreversibilmente anche la loro vita, ma del resto cosa in quel periodo è restato puro? Un viaggio compiuto non solo attraverso riferimenti storici ma anche con vere e proprie icone dell’epoca.
E allora cosa può rappresentare a livello simbolico una fase storica come gli anni 70?
Le figurine dei calciatori di sicuro; veri e propri oggetto di culto che all’epoca avevano contagiato tutti, anche chi non era più un ragazzino ed era già un professionista, come vedremo nel corso della narrazione.
Complice una scrittura vivace, mai banale, che appassiona, l’autore riesce a farci calare nel tempo, fino farci rivivere la Napoli del tempo; un periodo in cui il paese esce dagli anni del boom e il capoluogo partenopeo suo malgrado abbandona l’immagine iconografica di un tempo.
Attenzione: non si tratta di un nostalgico ricordo ma di una vera e propria immersione nell’epoca, sfogliando le pagine si ha quasi la sensazione di vivere direttamente quegli anni.
Si percepisce come la spensieratezza del decennio precedente sia ormai tramontata e come le tensioni del terrorismo abbiano contaminato l’atmosfera a ogni livello e quindi abbiano fatto breccia anche nei più giovani.
Come possiamo vedere negli accenni al mondo universitario, in cui la contrapposizione tra un professore universitario e alcuni studenti raggiunge un livello estremo.
Inevitabile porsi domande sul decennio degli anni settanta e sulle contrapposizioni e i conflitti che ha generato che nelle due vicende umane che il libro sviluppa, emergono benissimo.
Sullo sfondo, ma non secondaria, la passione per il calcio che anche a quei tempi era già una vera e propria fede “laica” per i napoletani, ancora freschi delle gesta del Napoli di Vinicio e per quelle figurine capaci di unire i personaggi principali del libro.
Un calcio che, ci ricorda l’autore, doveva tanto alle figurine, che, come si vedrà per Isaia, in un periodo in cui non esisteva la copertura mediatica di oggi, rappresentava per alcuni calciatori forse l’unica occasione di notorietà.
Al tempo, ricordiamolo il secondo portiere giustamente sottolineato nel libro, era un personaggio destinato il più delle volte all’anonimato, conosciuto solo tramite le figurine ed è quanto dire.
Nella città che volente o nolente risente degli anni di piombo vanno a intrecciarsi la vicenda di Giustino, tredicenne che si sta affacciando alla vita e di Roberto,valente commissario di polizia che svolge con dignità il proprio lavoro e la storia mai decollata del giovane Isaia, portiere di riserva del Napoli e di Sara, ragazza tanto bella e affascinante quanto misteriosa.
Le figurine mancanti, va detto non è il classico romanzo sentimentale anche se la ricerca dell’amore accomuna sia il buon Roberto che Isaia, aiutandoci a comprendere il loro aspetto più intimo e personale.
Roberto che tutto sommato conduce una vita ordinaria e che senza troppa convinzione è in cerca di una storia (anche se non l’ammetterà mai) dopo la fine del suo matrimonio.
Lo stesso per Isaia, nordico catapultato a Napoli, anche lui con un passato non bello(orfano da bambino della madre) come sul campo anche in amore è in eterna attesa di poter essere protagonista.
Entrambi vivono inizialmente due vicende distinte ma che poi nel finale del libro si vanno a intrecciare in modo del tutto inaspettato ma piacevole, che l’autore ben struttura e che lascia decisamente convinto il lettore.
Ilario riesce così a collegare le due storie che hanno nell’altra la giusta conclusione, un finale che strizza l’occhio al genere noir; come la classica figurina mancante viene a completare il quadro in modo del tutto imprevisto.
Una conclusione, costruita pian piano con una storia che inizialmente sembra prendere tutt’altra direzione, maturando il proprio finale all’improvviso e proprio per questo lascia il segno nel lettore, rimasto coinvolto dalle vicende dei protagonisti, sentendosi come uno di loro.
Chi del resto non si è affacciato ancora timido e tutto sommato un po’ goffamente alla vita come Giustino, che mostra tutte le insicurezze dei suoi 13 anni? Un ragazzo che appare si ingenuo e la cui ingenuità rischia di provocargli qualche problema, ma che poi ritroviamo come una figura tutto sommato positiva, meglio come un seme che sta per dare i suoi frutti.
E ancora a chiunque può capitare di vivere i propri sentimenti con un travaglio interiore come Isaia che non riesce a trovare una figura femminile che ricambi il suo interesse. Come dimenticare poi Roberto che sembra uno di noi, credibile per la sua vicenda sentimentale, lasciato come un comune mortale dalla moglie per un altro, perché ritenuto senza ambizione.
Quello che colpisce è attrae è che si arriva all’ epilogo delle rispettive vicende in modo del tutto inaspettato, quasi naturale con il lettore che mai si aspetterebbe una“ virata“ di questo genere verso il noir appunto che però è decisamente da apprezzare, regala infatti alla storia dei protagonisti un finale non scontato.
Ecco il finale, appare come il migliore epilogo, come la“ figurina mancante” alla storia, che completa il quadro.
Alla fine della lettura, quindi resta una sensazione piacevole, con una storia che pur essendo ambientata nel passato non ha alcun tono nostalgico e anche se si svolge nel bel mezzo dell’emergenza terrorismo con le brigate rosse, mantiene il tema sullo sfondo, come deve giustamente essere in un romanzo di questo genere. Anche il calcio, il Napoli di Vinicio, sono un mezzo per guidare il lettore nella storia, con sapienti accenni che aiutano a calarsi nel periodo.
Una squadra che i Napoletani e in questo Giuseppe Ilario è stato capace a descriverlo, sentono, come una parte di loro stessi e con la quale vivono in simbiosi; poco importa che le vittorie importanti arriveranno nel decennio successivo.
Tanti accenni che uniti a una trama sempre viva, attirano e coinvolgono chi legge, con un libro che si è portati a terminare in poco tempo, non perché non sia gradevole anzi tutt’altro, ma perché coinvolge e stimola la curiosità. Questo perché è una riflessione su un passato abbastanza recente, gli anni 70, che vuoi per le tensioni che lo caratterizzarono, vuoi per altro non è custodito nella memoria collettiva così come gli anni 80: anche se l’edonismo e la sensazione di spensieratezza che hanno sprigionato, deve qualcosa al decennio precedente.
Ma cosa rimane al termine della lettura? Certo, è chiaro i temi toccati non lasciano indifferenti ma di sicuro rimane anche la sensazione di aver spaziato anche nell’animo dei personaggi, fino a metterne a nudo l’aspetto più intimo e sentimentale.
Riuscire a coglierlo è per il lettore alquanto stimolante, ma un libro deve stimolare sentimenti o meglio sensazioni che nelle figurine mancanti si sentono.
Ecco perché questo libro non è solo un viaggio nel tempo.