Milano, 10 ott. (AdnKronos Salute) – Restano nella penombra, schiacciati dalla paura per i loro cari in lotta contro un cancro e per una quotidianità che sembra sgretolarsi. Perché amare qualcuno significa stargli accanto, ‘in salute e in malattia’, ma non sempre si sa come farlo. Più la malattia avanza, più la solitudine si fa accerchiante. Non vale solo se si è la metà di una coppia. Vale per i figli, i genitori, gli amici più intimi delle donne con tumore al seno. Si chiamano caregiver. Angeli fragili su cui i riflettori non si accendono mai, ma la malattia spezza le ali anche a loro. E’ un treno che li travolge in pieno, lasciandosi dietro più emozioni negative di quelle provate dalle stesse pazienti.
A fotografare il mondo interiore ancora poco esplorato di chi è al fianco del malato è una ricerca realizzata da Gfk in collaborazione con Salute Donna Onlus e commissionata da Novartis. L’indagine presentata oggi a Milano mostra come, a sorpresa, siano i caregiver a essere più colpiti a livello psicologico rispetto alle stesse donne con tumore al seno: prova preoccupazione il 65% contro il 51% delle pazienti, e paura il 44% contro il 28%. Se quasi una paziente su 3 (30%) si dichiara serena, lo è solo il 2% di chi sta loro vicino. C’è una diversa percezione delle proprie risorse interiori, tanto che l’83% delle donne condivide l’affermazione secondo cui la malattia le ha rese forti, mentre solo il 55% dei caregiver ci si riconosce. Il futuro? Incute preoccupazione nell’81% di chi assiste, contro il 64% di chi il dramma lo vive sulla sua pelle.
Un sentimento in comune è però la tenacia e la voglia di combattere e reagire, che unisce il 64% e il 63% dei protagonisti della battaglia contro il cancro. Punta ad allargare l’inquadratura anche alle figure silenziose che sostengono le pazienti ‘E’ tempo di vita’, campagna nazionale di informazione e sensibilizzazione sul tumore al seno avanzato, promossa da Novartis con Salute Donna e la Società italiana di psico-oncologia (Sipo), e con il patrocinio di Fondazione Aiom. “La presenza e la partecipazione emotiva dei parenti e degli amici, in particolare del partner, contribuiscono spesso in modo decisivo” a un percorso positivo per le pazienti, osserva Paolo Gritti, presidente della Sipo. “Tuttavia anche per loro è necessario un analogo intervento di sostegno psicologico, poiché sono esposti allo stesso turbamento emotivo e alle stesse difficoltà quotidiane”.
“Aiutare chi aiuta aiuta chi è aiutato”: i promotori riassumono così la logica del progetto, che propone una prospettiva nuova, mettendo al centro della riflessione il ruolo del caregiver, in uno scenario in cui protagonista è generalmente il vissuto di chi si ammala. “La paziente è tentata di lasciarsi andare in preda allo sconforto e alla rassegnazione – racconta Gritti – Questo approccio peggiora la qualità di vita, inficia l’adesione alle cure e costringe la donna a rinunciare a godere delle tante opportunità che la vita riserva ancora. Il sostegno psicologico diviene importante per affrontare il percorso terapeutico e assicurare alla paziente una gestione efficace della malattia, migliorare il tono dell’umore e impiegare le proprie risorse personali per condurre un’esistenza appagante”.
Ma anche i caregiver lanciano Sos: l’84% chiede supporto per capire come preservare un buon equilibrio nella propria vita, l’80% che vengano tenute in considerazione le proprie sofferenze e difficoltà. E ancora, il 77% chiede indicazioni su come comportarsi con la paziente e il 73% strumenti adeguati per instaurare un dialogo con lei. Ben il 94% delle pazienti esprime il bisogno di personale medico a cui rivolgersi per dubbi o domande, 9 su 10 sognano camici bianchi più capaci di ascoltare i bisogni, il 77% vorrebbe più comprensione da parte dei familiari e l’85% desidera condividere l’esperienza con chi può capire: altre persone con lo stesso problema.
La ricerca mostra ancora una volta la doppia lente con cui si può guardare alla malattia: se per le pazienti l’impatto si concentra soprattutto su sessualità (62%) e femminilità (54%), il caregiver vede toccato in primis l’umore o modo di essere (63%) e il benessere e la qualità del tempo (59%). Nel ritratto offerto dall’indagine possono riconoscersi sempre più italiani, visto che nel Paese una donna su 8 si ammala nel corso della sua vita di tumore al seno, la più diffusa fra le malattie oncologiche al femminile con circa 50 mila nuovi casi l’anno e un trend in lieve ascesa (+0,9%). Circa il 30% di questi casi è destinato a progredire e a evolversi in tumore avanzato, e complessivamente si stima siano circa 30 mila le pazienti che vivono questa condizione.
“Bisogna ricordare che nel percorso di cura, sin dalla diagnosi di malattia metastatica, la paziente dovrebbe essere presa in carico da un punto di vista sia medico sia psicologico, non tralasciando familiari e caregiver”, fa notare il presidente di Fondazione Aiom, Fabrizio Nicolis. “Ora le terapie – osserva Gritti – consentono di provare a immaginare una lunga sopravvivenza. E il fattore tempo è centrale: la sfida è impiegare al meglio il tempo che la medicina garantisce”.
I progressi della ricerca stanno affilando le armi dei camici bianchi contro la malattia. “Negli ultimi 10 anni i miglioramenti sono stati rilevanti – fa notare il presidente nazionale di Aiom (Associazione italiana oncologia medica), Carmine Pinto – perché abbiamo assistito continuamente all’introduzione di nuove molecole efficaci, che stanno portando a un controllo sempre maggiore della fase definita sopravvivenza libera da progressione. Non solo, grazie alla possibilità di prevedere fasi di trattamento più ‘soft’, a bassa tossicità, le pazienti oggi possono condurre una vita attiva e vicina il più possibile alla normalità”.
Ad oggi, continua Pinto, “ci sono ovviamente molti bisogni irrisolti, ma si sono aperte anche nuove prospettive di cura: sarà necessario valutare quale potrà essere il ruolo dell’immunoterapia per le pazienti triplo negative, mentre abbiamo già risultati rilevanti per le pazienti Her2+ grazie alla disponibilità di farmaci specifici. E ora esiste una nuova classe di farmaci, gli inibitori delle chinasi ciclina-dipendenti (Cdk) 4/6 anche per le pazienti con patologia mammaria Hr+/Her2-. Questi farmaci, impiegati in aggiunta alla terapia ormonale nelle donne con tumore al seno avanzato Hr+/Her2-, hanno dimostrato di migliorare i risultati ottenuti con la sola terapia ormonale e di prolungare la sopravvivenza libera da progressione”.
La campagna ‘E’ tempo di vita’ mette in campo una serie di strumenti pensati per un doppio percorso di lettura: da un lato le pazienti, dall’altro i caregiver, con la possibilità di mettersi l’uno nei panni dell’altro e capirsi sempre di più. Diversi gli strumenti: dal sito web (www.tempodivita.it), che oltre a informazioni su vari aspetti ospita anche brevi pillole video su come evitare l’isolamento delle pazienti, fino a un decalogo (“non regole ma suggerimenti, consigli intimi e specifici che le pazienti e chi sta loro accanto potranno capire”, precisa Gritti) sugli aspetti psicologici della patologia, messo a punto dalla Sipo.
Un manuale di aiuto disponibile anche nella versione più approfondita di opuscolo con due percorsi paralleli per la paziente e chi le sta vicino, e consigli pratici per affrontare insieme la difficile esperienza del tumore. “Perché una sofferenza condivisa è una sofferenza a metà”, racconta Anna Maria Mancuso, presidente di Salute Donna, che porta anche la sua esperienza personale. “Posso dire che uno dei punti del decalogo che viene più trascurato è senz’altro quello che invita a parlare. Il non detto crea fantasmi”. L’opuscolo è il primo di una collana dedicata al tumore al seno avanzato che nei prossimi mesi continuerà ad ampliarsi. La campagna proseguirà nel 2018 con incontri sul territorio e un contatto diretto, all’interno dei principali centri italiani di oncologia, con le pazienti e i loro cari.
Saranno coinvolte le figure chiave dell’oncologo medico e dello psico-oncologo, e con il Centro sperimentale di cinematografia di Roma le storie di parenti e caregiver coinvolti nel progetto verranno raccontate anche attraverso dei video realizzati a partire dalle loro esperienze. “Oltre all’aspetto clinico, che Novartis gestisce da anni attraverso il proprio impegno nell’ambito del tumore al seno avanzato, esiste una profonda dimensione psicologica e relazionale, che coinvolge anche la rete degli affetti – commenta Luigi Boano, Oncology General Manager Italy – La campagna nasce, grazie al contributo dei nostri partner, con l’obiettivo di indurre un cambiamento nella percezione che le donne e i loro cari hanno della patologia. Una condizione con cui oggi, grazie ai passi avanti della ricerca, è possibile imparare a convivere, mantenendo un ruolo attivo nel contesto sociale e familiare, affinché il tempo sottratto alla malattia sia vissuto in maniera piena, sia un tempo di vita”.