Si narra, nei corridoi della diplomazia mondiale, che gli Usa abbiano voluto forzare la mano, nei recenti colloqui con la Corea del Nord ad Hanoi, il marzo scorso.
Da parte americana si cercava, soprattutto, una definizione più ampia di “denuclearizzazione”, un criterio tale da eliminare simultaneamente la rete missilistica, quella nucleare, appunto, e anche le strutture di Pyongyang per la guerra chimica.
Alla fine di marzo, un report ci ha informato che gli Usa avevano richiesto l’abbandono, da parte della Corea del Nord, dell’intero stock di materiale fissile e di tutti i programmi di guerra batteriologica.
Il tutto, per il solo blocco delle sanzioni. Un po’ troppo, visto il livello raggiunto dalle trattative precedenti.
Ovviamente, la missione nordcoreana non era certo molto vicina alle richieste statunitensi, mentre il vice-ministro degli esteri di Pyongyang, Choe Son Hui polemizzava con Mike Pompeo e John Bolton perché creavano un forte “ostacolo” alle trattative.
I rappresentanti della Corea del Nord alla trattativa di Hanoi, comunque, non avendo le qualifiche e il mandato politico per trattare in questo modo “globale” la questione della denuclearizzazione con gli Usa, si sono fermati.
E’ stato però John Bolton, che non è certo un grande sostenitore del dialogo tra Washington e Pyongyang, a cogliere l’occasione del blocco alle trattative, e a richiedere, in assenza di una precisa linea della Corea del Nord, una totale, rapida e assoluta denuclearizzazione, sapendo bene di non poter essere accettato dalla missione di Pyongyang.
E gli americani, sempre sulla linea di Bolton, hanno aggiunto a questa richiesta, di improbabile accettazione, sempre quella della distruzione totale delle armi chimiche e batteriologiche.
Strano che mediatori esperti abbiano condotto una trattativa, ad Hanoi, così dura e, nella sua durezza, ingenua.
Inoltre, gli americani hanno chiesto ai nordcoreani delle notizie su una “base segreta per l’arricchimento dell’uranio” vicina al centro di Yongbyon.
Ancora, gli americani hanno richiesto infine una “dichiarazione di tutte le attività nucleari” a Pyongyang e, alla fine, una precisa roadmap per la denuclearizzazione.
Come se la questione fosse solo nelle mani di Pyongyang.
Una gestione della trattativa che, forse, può andare bene per fini politici interni agli Usa, ma certamente non favorisce nessuna evoluzione positiva del problema nucleare nordcoreano.
Kim Jong-Un ha però portato ad Hanoi, nell’ultimo suo meeting con Donald Trump, l’unica promessa di poter eliminare, in breve tempo e completamente, la centrale di ricerca nucleare di Yongbyon.
Gli Usa non hanno però ben capito se la centrale di Yongbyon da chiudere riguardava il solo reattore che produce plutonio dal 1980; o se la chiusura offerta da Kim Jong-Un riguardava tutta la centrale, con le sue molte centrifughe per l’uranio e i reattori.
Per alcuni analisti Usa, la centrale di Yongbyon è ancora al centro di tutto il sistema nucleare nordcoreano, mentre per altri tecnici essa è “obsoleta” e, quindi, l’offerta di Kim non sarebbe particolarmente interessante.
Ma, se oltre la centrale “obsoleta” non c’è altro, allora l’offerta di Kim Jong Un è significativa e razionale.
I nordcoreani speravano, all’inizio delle trattative di Hanoi, che le sanzioni economiche sarebbero state, in parte, eliminate subito, visto che tutte le Risoluzioni del Consiglio di Sicurezza delle Nazioni Unite sulla questione nordcoreana affermavano che, in rapporto a evidenti progressi sulla questione nucleare, sarebbe stato possibile ridiscutere le sanzioni.
La Corea del Nord ha, comunque, già imposto una moratoria sui test missilistici e nucleari, ha poi chiuso i suoi siti per i test nucleari, ha perfino iniziato a distruggere i suoi siti di prova missilistici.
I nordcoreani hanno perfino accettato una eliminazione lenta e progressiva delle sanzioni, in rapporto ad una verifica passo dopo passo della compliance nucleare.
Da questo punto di vista, gli Usa hanno pensato che le sanzioni facessero davvero al caso loro, e quindi non hanno cercato di diminuirle, anzi.
Più sanzioni rimangono, più Pyongyang è costretta a trattare, devono aver pensato.
Le proposte russe e cinesi sul tema, poi, elaborate nell’ambito del Consiglio di Sicurezza dell’ONU, sono state sempre bloccate dal voto contrario degli Usa.
La posizione dura di John Bolton e di Mike Pompeo non ha però avuto poi esplicite reazioni negative immediate da parte nordcoreana, come è nella tradizione della diplomazia di Pyongyang ma, tre settimane dopo la crisi della trattativa ad Hanoi, il vice-ministro degli esteri nordcoreano, Choe Son-Hui, che gode della piena fiducia di Kim, ha affermato che il suo Paese non “ha particolare interesse alle trattative attuali con gli Usa per la denuclearizzazione”.
Poi, dopo la fine imprevista delle trattative ad Hanoi, gli Usa hanno lanciato contro Pyongyang anche una campagna di defamation sostenendo, per esempio, che la Corea del Nord prosegue in segreto i suoi test missilistici, e che questo fatto nuovo aveva bloccato gli sforzi degli Usa al tavolo delle trattative.
Come si faccia a cessare “in segreto” dei test nucleari è arduo comprendere.
Ma Pyongyang non ha mai promesso di cessare null’altro che i soli test missilistici.
Quindi, non è cessato, correttamente, né il programma di arricchimento dell’uranio né, tantomeno, le altre attività biologiche e chimiche.
E, comunque, la porta della trattativa rimane, anche oggi, semiaperta.
Sempre a marzo, le immagini del sito di Sohae, che è utilizzato per il lancio dei satelliti, hanno mostrato un rilevante tasso di ricostruzione delle strutture.
E’ probabile che, malgrado la promessa, da parte di Kim Jong Un, di smantellare presto il sito, la Corea del Nord intenda ancora mantenerlo e svilupparlo; per far permanere anche una qualche pressione diplomatica sugli Usa, ma soprattutto al fine di mettere in atto una nuova serie di talks in futuro.
I prossimi appuntamenti importanti sono, poi, l’incontro tra Donald J. Trump e il leader sudcoreano, già definito per l’11 aprile, anch’esso pensato per rompere il ghiaccio tra Nord e Sud per la questione della denuclearizzazione, mentre il 15 aprile, al nord, vi saranno i grandi festeggiamenti per il 107° anniversario della nascita di Kim Il Sung, il “giorno del sole”.
E se fosse che, come sostengono alcuni analisti Usa, che occorre ritornare allo stile rigoroso e efficace dei vecchi Six Party Talks?
Invece di un team che, almeno nel caso degli Usa, conosce solo a volo d’uccello la questione, complicatissima, dei rapporti tra gli Stati Uniti e la Corea del Nord, sarebbe utile una nuova trattativa, con un rituale documento di inizio e delle finalità esplicite.
Una nuova trattativa che veda ai tavoli, come fu per i Six Party Talks, un vice ministro degli esteri, per Pyongyang, ma anche un vice-Segretario di Stato, poi molti tecnici dell’accademia e dei Servizi per gli Usa.
Poi, certo, occorre immaginare che la trattativa è e sarà lunga e complessa.
Le trattative semplici sono quelle che non raggiungono lo scopo.
Quindi, sarà utile immaginare elementi di scambio e di mutua soddisfazione molteplici e diversi, rispetto ad una brutale trattativa sul solo potenziale nucleare.
Qui c’è in gioco, e Kim Jong-Un lo sa bene, il futuro del suo Paese, non solo il disarmo nucleare e batteriologico-chimico.
La sua rete N e Batteriologica-Chimica ha portato Pyongyang ad essere membro del sistema dei decisori mondiali.
Se questo accadrà anche in una trasformazione dalla minaccia N ad un ruolo economico di primo rilievo, Kim Jong-Un avrà vinto la sua scommessa.
Se questo non accadrà, non credano gli Usa che la Corea del Nord si consumerà da sola. Tutt’altro.
E, in ogni caso, occorrerà chiarire che, come sempre, la questione nordcoreana non si risolve in un semplice meccanismo di trattativa bilaterale.
Il ruolo strategico di Pyongyang è problema vitale per il Giappone, per la Corea del Sud, ma anche per la Cina e la Federazione Russa.
Senza un progetto che vada bene a tutti questi attori, e non solo agli Usa, non ci saranno né pace né disarmo possibili. Nemmeno per i soli Usa.
Pechino non vuole certamente un sistema nucleare, batteriologico, chimico ai suoi confini che sia, però, totalmente fuori dal proprio controllo.
Ecco il vero motivo delle tensioni iniziali tra Kim Jong-Un e Xi Jinping.
Ogni aumento della tensione militare a Pyongyang fa aumentare anche il sospetto a Pechino.
Ma ecco un elemento che gli Usa, in accordo con la Cina, potrebbero utilizzare per arrivare alla denuclearizzazione della Corea settentrionale.
Ma la Cina non vuole, soprattutto, né una nuova guerra nella penisola coreana, un interesse ovviamente comune con la Corea del Sud, né tantomeno le FF.AA. nordamericane ai confini, se si arrivasse ad una demilitarizzazione completa di tipo N di Pyongyang.
E se gli Usa e la Corea del Sud fossero ancora capaci di arrivare rapidamente alla soglia N in un conflitto, inizialmente convenzionale, con il Nord.
Quindi, per Pechino, alta militarizzazione convenzionale e credibile per la Corea del Nord, ma anche con un deterrente anti-Usa N non trascurabile, ma non certo tale da incendiare tutto il Sud-Est asiatico.
Per la Federazione Russa, vale in gran parte lo stesso paradigma strategico.
No a una Corea del Nord smilitarizzata, che sarebbe facile preda del nesso Usa-Corea del Sud, e non farebbe da cuscinetto militare alla Russia, no comunque anche ad una Corea del Nord tale da minacciare il Sud e, quindi, anche i Paesi al suo confine settentrionale.
Quindi, data la scacchiera relativa alle trattative tra Corea del Nord e Usa, la situazione di stallo attuale servirà, dopo Hanoi, a selezionare le domande razionali dei due attori e a modellare le risposte possibili.
Per esempio, la diffusione della tecnologia N dalla Corea del Nord verso altri Stati, ecco una questione nuova da far inserire nella trattativa.
Poi, la diminuzione delle Forze nordcoreane convenzionali, da collegare ad una razionale diminuzione delle FF.AA. Usa e della Corea del Sud.
Le cinque sanzioni che Pyongyang vuole siano tolte riguardano solo l’economia civile e il benessere del popolo nordcoreano, mentre non dobbiamo dimenticare che anche Kim Jong-Un è sotto pressione da parte della popolazione nordcoreana e, ancor di più, da parte della sua classe dirigente.
Ri Yong Ho, il ministro degli esteri di Pyongyang, lo ha detto esplicitamente: ha infatti chiarito che il potere nordcoreano punta, in una trattativa razionale, “al totale smantellamento dell’area di Yongbyon”.
Ri Yong Ho ha poi aggiunto che lo smantellamento di Yongbyon sarà realizzato “alla presenza di esperti Usa”.
Kim Jong Un ha, ormai, evidentemente, una copertura completa da parte della Cina.
Che non vuole certo la massa immane di migranti dalla Corea del Nord dentro i suoi confini e, soprattutto, non è interessata ad un Paese “fratello” che, oltre a minacciare Usa e Corea del Sud, costringe alla propria politica perfino la grande Cina.
E questo potrebbe portare la leadership nordcoreana a chiedere una compensazione economica ad ogni momento della trattativa sulla denuclearizzazione.
E, quindi, sarà la dirigenza nordamericana capace di finire la trattativa con Pyongyang senza troppi passi falsi?
E sarà la dirigenza di Washington capace di interessare fattivamente la Cina, il Giappone, la Russia e la Corea del Sud ad uno smantellamento radicale del nucleare di Pyongyang?
Non lo sappiamo ancora.