Le note dei ToMo ToMo, in viaggio dal mare di Napoli a quello di Copacabana

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in foto Morena De Luca e Antonio Anniciello

di Rosina Musella

Il sound brasiliano della bossa nova si mescola con le note partenopee nel gruppo ToMo ToMo che, tra concerti per strada e nei locali, porta avanti una fusione musicale che abbraccia due capi del mondo attraverso i colori di sonorità che vanno dal reggae al funky.
Morena De Luca e Antonio Anniciello, questi i nomi dietro il progetto ToMo ToMo: lei cantante, lui chitarrista, i due giovani ragazzi, prima collaboratori nel progetto musicale dal taglio esclusivamente brasiliano ‘Desafinados’, hanno da poco dato vita al progetto che fonde le loro origini: entrambi sono infatti di Napoli, ma Morena ha anche origini brasiliane. I due si esibiscono, da più di un anno, nei locali e per le strade della città, accompagnati da musiche soffuse e parole dolci, che riprendono i suoni delle musiche brasiliane, in uno stile tutto partenopeo.
Abbiamo chiacchierato con loro, per farci raccontare della nascita di questo progetto e delle differenze che ci sono tra il cantare per le vie di Napoli e i locali privati.

Cosa significa Tomo Tomo?
M.D.L.: Il nome è questo per due motivi: è ripreso dal detto “Tomo tomo, cacchio cacchio”, perché noi ci organizziamo così, lentamente; e perché il mio nomignolo è Momo, e quello di Antonio, Toto, quindi fondendoli sono diventati ToMo ToMo. Il logo del gruppo, inoltre, rappresenta proprio l’anima del progetto, poiché sullo sfondo c’è il Vesuvio e in primo piano la pavimentazione tipica di Copacabana.

Come è iniziato il vostro percorso musicale?
M.D.L.: io ho iniziato da autodidatta e cantato per qualche anno con alcuni gruppi. Da due anni studio assiduamente canto, lo scorso anno jazz, quest’anno lirico.
A.A.: da bambino ho preso lezioni di chitarra per due anni, poi ho lasciato e mi sono dedicato al ballo. Dopo un po’ ripresi in mano la chitarra e poi, su consiglio di alcuni amici senegalesi, ho cominciato a suonare per strada, principalmente facendo cover di Bob Marley. Ho ricominciato a studiare da autodidatta, finché un annetto e mezzo fa sentii Morena cantare e mi colpì tanto da chiederle di collaborare.
Come siete approdati alla musica brasiliana?
M.D.L.: io sono per metà brasiliana e, in realtà, ho sempre avuto un rapporto di amore e odio con questa musica; inizialmente non capivo se mi piacesse davvero o se fossi condizionata dal fatto che mia madre me l’avesse fatta conoscere sin da bambina. Quando abbiamo dato vita al progetto Desafinados, però, mi sono resa conto che nelle improvvisazioni mi piaceva cantare in Portoghese, poi con Antonio si è creato uno scambio reciproco e lui si è appassionato al genere anche più di me.

Che differenza riscontrate tra il suonare per strada e nei locali?
A.A.: Dipende. Per strada capitano situazioni molto coinvolgenti, i passanti decidono volontariamente se fermarsi ad ascoltare. Questo aiuta ad avvicinarti a coloro i quali ti ascoltano, ti prepara soprattutto a mantenere la concentrazione, dato che gli imprevisti sono dietro l’angolo e spesso la gente interrompe una performance per chiedere il nome del pezzo o per richiederne alcuni, prendendoci per un jukebox.
M.D.L.: Vedendo come reagisce il pubblico per strada si può avere già un’idea quando si va a definire la scaletta per un locale. Iniziando per strada, inoltre, capisci che per suonare devi entrare in un certo stato mentale, nell’energia della musica, dentro te stesso e in quell’emozione, perché la strada è rumorosa, quindi serve molta concentrazione per farlo. Così, quando poi vai nel locale e la gente sta mangiando o parla, è un minimo rispetto ai bambini che piangono, i cani che abbaiano. Noi cerchiamo, comunque, di ricreare la stessa atmosfera in entrambe le situazioni.