Israele è stato il primo dei Paesi del Vicino e Medio Oriente a riconoscere la Repubblica Popolare della Cinese nel 1950. Mentre le relazioni diplomatiche sono state stabilite a partire dal 24 gennaio1992.
È importante ricordare che il rapporto tra cinesi ed ebrei è profondamente radicato nella lunga storia di questi due popoli e risale a migliaia di anni fa.
Dallo stabilimento dei rapporti diplomatici, funzionari governativi, scienziati, università e aziende hanno portato avanti molti programmi, attraverso delegazioni, al fine di approfondire la cooperazione speciale su varie questioni come economia, agricoltura, tecnologia e istruzione.
Esempi significativi del rafforzamento delle relazioni si possono trovare, tra le altre cose, nelle frequenti visite di funzionari del governo cinese in Israele e viceversa. Ad esempio, molti primi ministri e presidenti israeliani hanno visitato la Cina nel corso degli anni, così come i loro omologhi cinesi. Come il presidente della Repubblica di Cina, Jiang Zemin, che ha visitato il Paese nel 2000, e i membri dell’Ufficio Politico del Partito Comunista Cinese, Liu Chi (2007) e Liu Yunshan (2009). Rilevante ancjhe visita del vice premier Hui Yang (2010), del vice primo ministro Liu Iandong (2016), e di un alto rappresentante del Parlamento cinese Wang Da (settembre 2015), ecc.
Le relazioni Israele-Cina in molte aree stanno guadagnando slancio e c’è un notevole entusiasmo nella natura e nella profondità delle relazioni. Soprattutto in tutto ciò che riguarda il mondo economico e la fornitura di tecnologia israeliana.
Negli anni sono stati firmati una serie di accordi e protocolli d’intesa tra Israele e Cina per l’istituzione di una zona di libero scambio, per migliorare i meccanismi di ricezione dei visti dei cittadini dell’altro Paese e per incrementare i voli delle compagnie aeree – tutto con l’obiettivo massimizzare la quantità di merci, lavoratori e turismo in entrata e uscita.
La Cina è anche l’unico Paese al mondo con cui Israele ha un accordo reciproco per il rilascio di visti per più visite per un lungo periodo di tempo. Questi hanno dato frutti immediati, con oltre 100mila turisti cinesi giunti in Israele sin dal 2018. Ciò significa che più turisti vengono in Israele dalla Cina che in Paesi come Italia, Canada e Australia.
Le diverse esigenze dei due Paesi si riflettono nella natura dei beni e dei servizi che essi acquistano gli uni dagli altri. I componenti elettronici costituiscono circa la metà delle esportazioni israeliane in Cina e il resto è suddiviso tra prodotti chimici, apparecchiature mediche, strumentazione, controllo e altro. Invece le importazioni dalla Cina si concentrano su macchine e attrezzature elettriche e tessili, tessuti e metalli.
Le debolezze della Cina sono proprio i punti di forza del mercato israeliano. Migrazione interna su larga scala, processi di urbanizzazione accelerati, mancanza di acqua potabile e gestione di gravi inquinanti ambientali: queste sono alcune delle enormi sfide di Pechino.
Israele è in grado risolvere tali sfide con l’aiuto di tecnologie mediche avanzate, sviluppi agricoli per la crescente carenza d’acqua e condizioni di terreno difficili, e con tecnologie innovative di desalinizzazione e altro ancora. La corrispondenza tra le esigenze di Cina e Israele sono perfette.
Israele, inoltre, non è rimasto indifferente alla One Belt One Road (Via della Seta) – l’ambizioso piano per collegare il mondo con una rete di strade, ferrovie, corsie, porti e porti, finanziato dalla Asian Infrastructure Bank.
Israele si è unito come membro dell’Aib, sforzandosi di promuovere il coinvolgimento delle aziende israeliane nei progetti infrastrutturali cinesi e di posizionare Israele come un Paese di transizione strategica nelle rotte commerciali della moderna Via della Seta. Nel frattempo, le aziende cinesi sono coinvolte in grandi progetti infrastrutturali in Israele, come il progetto Minharot HaCarmel (Carmel Tunnels), la costruzione e il funzionamento dei porti di Ashdod e Haifa; oltre all’edificazione di uno stadio di calcio e della metropolitana leggera a Gush Dan e altro ancora.
La rinascita economica delle relazioni Cina-Israele, insieme allo status di leader dell’economia cinese negli ultimi anni, hanno portato molte aziende e dirigenti a riconoscere l’attrattiva del mercato cinese e l’importanza di conoscere l’economia e la cultura siniche.
Naturalmente tutto questo non può che infastidire l’amministrazione del maldestro presidente Usa, Biden, che sta supervisionando anche le relazioni Cina-Israele, ove Israele è là là per essere considerata dalla Casa Bianca come una propria semicolonia.
Secondo Washington Israele dovrebbe avviare un dialogo di ripensamento con l’amministrazione Biden onde stabilire una comprensione dello schema delle relazioni Israele-Cina in modo da non “danneggiare” gli importanti interessi statunitensi.
Se ci fosse stato qualcuno che sperava che l’elezione di Joe Biden a presidente degli Usa attenuasse la pressione d’Oltratlantico su Israele riguardo alla Cina, egli si sarebbe sbagliato. Non solo la pressione non diminuirà, ma probabilmente aumenterà.
La continua insistenza dell’ex amministrazione Trump per ridurre il coinvolgimento cinese in Israele è stata una delle questioni chiave nell’agenda statunitense-israeliana negli ultimi due anni. I funzionari statunitensi hanno avvertito le loro controparti israeliane che la mancata risposta ebraica avrebbe minato gravemente la cooperazione in materia di sicurezza tra i due Paesi.
I progetti di Biden e della sua amministrazione invece dovrebbero essere più attenti e fungere da incoraggiamento per la cooperazione tra le potenze in aree definite, inclusa la lotta al cambiamento climatico. Allo stesso tempo, durante la campagna elettorale, Biden è stato più minacciante di Trump su una serie di questioni legate alla Cina. Biden ha descritto la repressione dei musulmani uiguri nello Xinjiang Weiwuer come un “genocidio” e ha definito il presidente Xi Jinping un “delinquente”. Ed evitamo anche le apostrofi del presidente maldestro nei confronti di Putin.
Del resto una delle trovate del presidente maldestro nella politica estera degli Usa è ricostruire le relazioni con gli alleati in vista di una crociata alla Salem contro la Cina.
Non c’è motivo di credere che l’amministrazione Biden non si aspetterà da Israele ciò che si aspetta dal resto dei suoi alleati. La pretesa illusione che Israele possa continuare a «fare affari come al solito» con la Cina e «andare d’accordo» con le richieste statunitensi è pericolosa, in quanto – lo ripetiamo – Israele non è una colonia statunitense.
Inoltre, i tentativi israeliani di non sottostare ai diktat della Casa Bianca potrebbero danneggiare non solo le relazioni tra il governo israeliano e l’amministrazione, ma anche le relazioni con i suoi più significativi sostenitori al Senato e al Congresso, che condividono la presunta minaccia della Cina agli Stati Uniti.
La valutazione che la Cina sia un avversario duro e una minaccia per la sicurezza nazionale degli Usa è l’unica questione politico-strategica su cui democratici e repubblicani concordano.
Per tale motivo, è difficile credere che gli Usa ignoreranno gli investimenti cinesi nell’high-tech israeliano e la cooperazione di ricerca tra istituti di ricerca israeliani e cinesi nell’alta tecnologia: Big Data, intelligenza artificiale e cyber.
In termini di interesse nazionale degli Usa, la riduzione dell’accesso della Cina alle tecnologie avanzate è una questione critica. Pertanto, l’ingerenza statunitense nelle relazioni commerciali e finanziarie nell’industria high-tech e nelle collaborazioni di ricerca e sviluppo tra Israele e Cina è probabilmente solo una questione di tempo.
Nelle due precedenti crisi con gli Usa sulle esportazioni della difesa in Cina (circa quindici e vent’anni fa), Israele credeva che gli sarebbe andata liscia; per cui ha cercato di attuare gli accordi con la Cina «e andare d’accordo» con gli Usa. Alla fine, Israele è uscito male di qua e di là: una crisi nei rapporti sia con gli Usa che con la Cina.
Nella lotta per la superiorità tecnologica, Washington potrebbe interpretare la condivisione della conoscenza e dei prodotti israeliani con la Cina come una minaccia molto più significativa per la propria sicurezza nazionale rispetto ai sistemi radar e agli UAV (Unmanned aerial vehicle, aeromobile a pilotaggio remoto).
La capacità del governo israeliano di trattare con Washington sarà gravemente danneggiata se la sua politica nei confronti della Cina viene presentata come un indebolimento della sicurezza nazionale degli Stati Uniti.
In queste circostanze, il governo israeliano – sotto minaccia – sicuramente muterà il suo approccio alla questione, piuttosto che aspettare pressioni e sperare per il meglio. Israele dovrebbe avviare un dialogo paritario con l’amministrazione Biden per creare una comprensione dello schema delle relazioni tra Israele e Cina al fine di non danneggiare importanti interessi statunitensi. La realizzazioni di queste intese potrebbe consentire a Israele di avere un dialogo rispettoso con la Cina sul futuro delle relazioni tra i due Paesi.
In sé non sarebbe una “resa” al diktat statunitense. Se il governo israeliano si aspetta che gli Usa avviino il ricatto degli interessi israeliani nei confronti dell’Iran, Israele a sua volta dovrebbe dimostrare di tenere conto degli interessi statunitensi nei confronti della Cina.
Israele, comunque, al contempo deve valutare gli obiettivi e le mosse della Cina nell’area vicino e mediorientale e formulare una politica chiara con essa, sviluppando strumenti e canali per realizzare i suoi obiettivi nelle relazioni con Pechino, non facendosi tagliare le gambe da Washington.
Riguardo alle problematiche di scenario Iran-Israele, la Cina ha ribadito la sua proposta di tenere un incontro internazionale con la partecipazione di tutti i Paesi coinvolti nell’accordo nucleare con l’Iran (Joint Comprehensive Plan of Action del 14 luglio 2015 fra Iran e i cinque Paesi del Consiglio di Sicurezza dell’Onu, più Germania ed Unione Europea), compresi gli Stati Uniti, per discutere del ritorno degli Usa all’accordo.
Alla vigilia del primo colloquio telefonico tra i presidenti di Usa e Cina (11 febbraio 2021), è avvenuto un colloquio tra l’inviato speciale statunitense sulla questione iraniana e il viceministro degli Esteri cinese per coordinare le mosse sulla questione. È possibile che la mediazione attiva sulla questione nucleare iraniana faccia parte di un’ampia politica cinese volta a promuovere la cooperazione con l’amministrazione Biden su questioni di sostanza per gli Usa, in cambio del mantenimento di importanti interessi per la Cina – quali le relazioni con Israele – e come parte della sua posizione, essendo un membro permanente del Consiglio di Sicurezza.
Una considerazione in merito alla pandemia di Covid-19. Mentre le aziende farmaceutiche occidentali operano come entità commerciali indipendenti e a scopo di lucro, il governo cinese dirige gli sforzi di ricerca e sviluppo delle proprie aziende governative e private, allo stesso modo e li integra come strumenti nelle sue politiche attraverso visite ufficiali sull’arena internazionale, accordi di cooperazione , impegni di vaccinazione o prestiti. Pertanto, i vaccini sviluppati in Cina sono tra i vaccini più ricercati e, come mostra la mappa dei certificati di vaccinazione in vari Paesi.
La popolazione urbana di Israele è concentrata e densa. Dopo lo scoppio della pandemia, il Covid-19 si è diffuso più velocemente. Al fine di prevenirne la diffusione, i molteplici dipartimenti israeliani hanno rafforzato la prevenzione e il controllo congiunti. Allo stesso tempo, il governo israeliano partecipa attivamente alla cooperazione internazionale, e utilizza videoconferenze per imparare dall’esperienza antiepidemica della Cina.
In conclusione, la diplomazia politica e la cura con la quale la Cina affronta ogni aspetto, dagli affari esteri a questioni sanitarie, paga di più di parole maldestre buttate a caso a destra e a manca.