Un fiume antico (Trabe), una crisi (quella del mattone), due imprenditori illuminati del settore edile (Antonio e Raffaele Chiacchiaro), uno chef (Giuseppe Stanzione). Scena, sceneggiatura e protagonisti di una bella storia di coraggio, capacità, testardaggine e natura. Qui c’è l’applicazione del detto: non fasciarsi la testa prima di rompersela, ed i fratelli Chiacchiaro alla cronica crisi dell’edilizia, hanno risposto investendo in questa vecchia proprietà acquistata dal padre nel ’90, quella che fu una centrale elettrica con tanto di mulino costruita alla fine dell’Ottocento. A Capo Fiume, poco distante da Paestum zona archeologica, c’era un tempio greco dedicato a Persefone (dea minore degli inferi e regina dell’oltretomba) connessa al mito della rinascita. Oggi di questo tempio c’è testimonianza di una colonna presente nei luoghi. Un parco naturale di circa ventimila metri quadrati di giardini curati, vegetazione selezionata, limpide acque sorgive hanno dato stimolo a questi costruttori visionari per esprimersi con opere di ingegneria ed architettura ecofriendly, regno incontrastato di anatre, cigni, oche, uccelli ed antichi roseti, nel massimo rispetto della natura e nella massima eleganza per l’accoglienza dei clienti. Assecondare la forza della natura con il rispetto dei luoghi non è stato uno sforzo per i Chiacchiaro, ci hanno creduto dal primo momento al punto tale che la gestione di questa struttura è diventata per loro attività predominante. Una vera e propria azienda dell’accoglienza che, se sovrintendenza ed organi di controllo, fossero meno ciechi e burocratizzati, Antonio e Raffaele allargherebbero all’ospitalità alberghiera creando nuovi posti di lavoro e maggiori opportunità di benessere per i clienti. È impensabile che in questo paradiso non si possa soggiornare qualche giorno per disintossicarsi dalla città e dallo stress facendosi coccolare dalla buona cucina e dal buon bere. Ma si sa, spesso dalle nostre parti, gli imprenditori capaci vengono mortificati e, in alcuni casi, se innamorati di una loro creatura, sono costretti a perimetrare la legalità per realizzare quanto nei loro sogni e nei loro progetti. La sala esterna, denominata “Giardini d’Inverno” è destinata per lo più ad eventi, sempre nella logica del rispetto verso l’ambiente è composta da ampie vetrate con un arredamento minimal per non togliere la scena al verde lussureggiante ed all’acqua in tutti i suoi contenimenti, fiume, canali, laghetti, cascatine. Il suo moto naturale perpetuo consente in totale autonomia la produzione di energia per tutta la struttura e le eccedenze vengono cedute all’Enel che la riposiziona sul territorio. Insomma un’oasi faunistica, floristica e di efficienza al servizio del benessere umano. Qui c’è, grazie alle intelligenze ed alle capacità manageriali, la capacità di congiunzione tra sacro e profano, banqueting e ristorazione di alto livello, stellata. Il direttore di orchestra di questa “sacralità cosmica” è Peppe Stanzione, chef dalle esperienze internazionali, da occidente ad oriente del mondo, poi in Italia in giro in una decina di cucine per poi approdare nel 2011 a Le Trabe. Qui il clima e la natura sposano la sua cucina, profumi e sapori mediterranei con grande selezione di materie prime del territorio ed attente cotture fanno di questo chef un protagonista della nostra regione, da annoverare tra quelli bravi, Michelin a prescindere. Grissini tirati a mano e pani in 10 variazioni abbinati a burro vaccino e di bufala, mi fanno compagnia in attesa dell’ouverture. Insalatina di mela annurca e portulaca con ristretto di bufalo e fegato grasso; latte di ostrica con ostrica; salmone marinato, cetrioli e limone salato, alici marinate con mandorle tostate; alice fritta su vellutata di barbabietola; pane, burro e alici. Questa è l’apertura. Cremoso di ricotta di bufala, polvere di pomodoro secco, fiore di zucca farcito di ricotta di bufala con insalata di mango; triglia e cavolfiore; carciofi di Paestum farciti di robiolina di bufala, crema all’aglio e menta, polvere di liquerizia; mischiato napoletano con piselli novelli, gamberi rossi e crema di bufala profumata al limone; tonno, asparagi e brodo di melanzane affumicate; genovese di sfilacci di guanciale di bufala con spuma di patate sottocenere, porcini e fiori di rosmarino. Predessert: bocconcino di bufala dolce con spuma di latte e crumble al cioccolato; dessert: bufala e lampone; post dessert: sorbetto di mandarino cinese, mango e composta di mandarinetto. Il servizio in sala si distingue, attività che a questi livelli è d’obbligo ma qualche volta disattesa, qui no. Francesco Grimaldi il maitre e Nevio Toti il sommelier che ha sostenuto il mio percorso con grande umile competenza: Biancosesto dell’Azienda Agricola La Tunella, Pinot Grigio di Livio Felluga, Chardonnay Castello Monsanto, Robert Mondavi Pinot Nero. Antonio e Raffaele la testa non se la sono mai fasciata e neanche rotta.