Legge elettorale, qui ci vuole il Codice di Chitarrella

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Ci vorrebbe Chitarrella altro che Porcellum, Mattarellum e Rosatellum. Per fissare le regole elettorali occorrerebbe qualcuno che avesse una visione complessiva del gioco e ne fissasse il “codice” in maniera definitiva. Come nel 1750 fece appunto il prete napoletano (o, come sostiene il Saracino, semplicemente un buontempone spregiudicato) che fissò le regole dei giochi dello Scopone e del Tressette (ma anche del Mediatore, benché quest’ultimo in disuso ormai) ponendo fine alle discussioni infinite o, peggio, alle violente liti di osteria generate da un’interpretazione delle stesse spesso arbitraria o comunque piegata alla volontà del prepotente di turno. Regole rigide, univoche ed oggettive, e perciò da tutti accettate.

Ma così non è, a leggere le cronache parlamentari di questi giorni, durante i quali appunto – non senza forzature ed evidenti calcoli di interesse di bottega – una parte della classe politica si è accordata per varare una nuova legge elettorale finalizzata, sembrerebbe, a preservare se stessa piuttosto che a garantire – come la logica di un sistema democratico presupporrebbe – rappresentanza popolare, governabilità e stabilità dell’esecutivo, alternanza della classe politica.

Ad ogni modo, la nuova legge elettorale, come sapete, è stata già approvata a maggioranza dalla Camera dei deputati (375 voti a favore – 61 in meno rispetto a quelli previsti – 215 contro) ed ora, tra non poche polemiche, veleni e dubbi di costituzionalità, è al vaglio del Senato. Supererà, la nuova legge, anche questo scoglio? Staremo a vedere.

Intanto, però, col pensiero dei politici rivolto alle elezioni che ormai bussano alla porta, le notizie registrate sul fronte economico questa settimana sono state nuovamente di segno contrapposto.

Il Fmi, per esempio, sebbene abbia rivisto, per quest’anno, al rialzo la crescita dell’Italia (dopo il +0,9% del 2016, il Pil italiano salirà dell’1,5% nel 2017 e dell’1,1% nel 2018, ovvero 0,2 e 0,1 punti percentuali in più rispetto alle stime di luglio) la stima al ribasso per il 2018 (+1,5%). Sempre il Fmi prevede inoltre un aumento del debito pubblico (al 133% del Pil nel 2017 dopo il 132,6% del 2016), che intanto però – secondo l’Istat – nel mese di agosto scorso è sceso a 2.279 miliardi grazie anche a maggiori entrate tributarie (+3,2% in otto mesi).

Di segno positivo anche lo sforzo dell’industria sul fronte innovazione. Grazie al piano Industry 4.0 il settore ha fatto registrare un passo avanti del 27% (secondo i calcoli del Politecnico di Milano sono stati spesi 1,6 miliardi di euro). Di segno decisamente negativo restano, però, i numeri degli infortuni sul lavoro, che sono addirittura aumentati: 421.969 eventi denunciati  sino ad agosto (+1,2% rispetto al 2016) di cui 682 incidenti mortali.

E se aumenta l’occupazione (precaria, beninteso) di contro aumentano anche l’economia sommersa e le attività illegali che – secondo l’Istat – nel 2015 valevano circa 208 miliardi di euro, pari al 12,6% del Pil. Un dato cui è direttamente correlata – è evidente – l’evasione contributiva, rispetto alla quale non a caso, infatti, il presidente dell’Inps Tito Boeri ha lanciato un vero e proprio allarme: sono stati evasi circa 11 miliardi in un anno.

E magari sarà proprio sulla scorta di questo contesto che Moody’s ha deciso di confermare per l’Italia un rating Baa2 (qualità medio-bassa), ribadendo in negativo anche l’outlook. L’agenzia infatti precisa: “L’Italia è riuscita a evitare una crisi più profonda del sistema bancario e sta vivendo un momento di crescita più forte. Nonostante questo restano dei rischi, legati alla considerevole incertezza sulle priorità del prossimo governo e sul proseguimento nei prossimi anni del risanamento dei conti e delle riforme strutturali”.

Del resto, in questo senso, una nitida fotografia della lunga crisi che ha attanagliato la nostra economia emerge chiaramente anche dal rapporto della Fondazione Di Vittorio, secondo cui, in base alle proiezioni nel 2018, il Pil è ancora sotto di 5 punti rispetto a 10 anni fa. Per la Cgil, infatti, il calo del Pil italiano è stato il più forte della media Ue e la ripresa la più lenta. Anzi, nel 2016 si pone ancora sotto (-7%) il livello pre-crisi (2007) mentre per Francia e Germania nel 2016 il valore del Pil ha superato, rispettivamente, del 5,2% e del 9,4% quello del 2007. Di più, anche la Spagna, che pure ha sofferto, nel 2016 ha recuperato quasi completamente (-0,5% sul 2007).

Infine, ma non ultimo, c’è sempre il bubbone della corruzione, che pervade tutti i settori. Sempre secondo l’Istat il fenomeno tocca da vicino 1,7 milioni di famiglie. Di queste, infatti, quasi otto su cento (il 7,9% per la precisione corrispondenti a 1,74 milioni) almeno una volta nella vita hanno ricevuto richieste di denaro, favori, regali o altro in cambio di servizi o agevolazioni di vario tipo.