Legge Zan, cos’è il ddl contro l’omotransfobia che molti temono?

Sempre più persone, dai volti noti a quelli comuni, sui social si uniscono alla campagna per sostenere l’approvazione del ddlzan, che proprio grazie ai social network viaggia in rete e porta alla ribalta il disegno di legge che tutela le persone contro l’odio verso gli omosessuali, i trans, le donne e i disabili. Un’occasione fondamentale per l’Italia di educare al rispetto e alla libertà, fondamentali in un Paese civile. Dallo scorso 30 marzo il Parlamento e l’Italia si sono ritrovati inesorabilmente ad un bivio: scegliere o meno se portare avanti, tramite discussione parlamentare, il progetto di legge contro l’omotransfobia, che porta la firma dell’Onorevole Zan, promotore della legge. Per omofobia si intende la paura e l’odio nei confronti degli omosessuali e l’omotransfobia aggiunge la dimensione della transessualità a questa nozione di paura e odio. Il progetto di legge prevede di apportare sostanziali modifiche agli articoli 604 bis e 604 ter del codice penale in materia di violenza e discriminazione per motivi di orientamento sessuale o identità di genere. Ad oggi il codice penale punisce i “crimini d’odio” punendo tanto la violenza quanto l’incitamento ad atti violenti per motivi inerenti l’etnia, la nazionalità o la fede. La norma tutelerebbe le donne, le persone lgbtq e i disabili. Categorie facilmente soggette a discriminazioni e violenze. Infatti, un recente studio di Vox Osservatorio Italiano sui Diritti, ha identificato i gruppi sociali maggiormente colpiti dall’intolleranza. Sono sei: donne, persone omo o transessuali, migranti, disabili, ebrei e musulmani. In sostanza cambierebbe la configurazione del reato, l’aggressore sarebbe giudicato per l’atto di violenza in sé con l’aggravante del crimine d’odio. Non solo punizione ai misfatti ma anche azioni per sensibilizzare i cittadini, infatti, sono previsti fondi per campagne televisive, iniziative nelle scuole e nelle pubbliche amministrazione. Lo stesso parlamentare ha fatto esempi concreti, come il caso dei transessuali, molti di loro, quando la transizione è in atto ma non hanno ancora ottenuto il cambio nome all’anagrafe, si rifiutano di andare a votare per non sottoporsi all’umiliazione di dover scegliere la cabina degli uomini, quando di fatto non sono più uomini. Una legge che rappresenterebbe una scelta di campo. Attualmente l’Italia è al 35 esimo posto in Europa per accettazione sociale delle persone Lgbtq. Un passo progressista che fa paura a molti, specie all’estrema destra che osteggia l’approvazione della legge, spaventa la Cei, che si è scagliata contro il ddl Zan perché limiterebbe la libertà critica ai gruppi anti-Lgbt. Eppure il testo esclude il reato di propaganda di idee. In sintesi le persone Lgbtq diventano soggetti vulnerabili. Eppure episodi di odio, spesso accompagnati dalla minaccia o dalla violenza vera e propria, che rimbalzano agli onori della cronaca o rimangono sotto la soglia della visibilità, sono ai nostri giorni in Italia scene di vita quotidiana. Un sommerso di violenza e odio che neppure arriva alle forze dell’ordine, altre restano taciute, altre ancora si fermano alle associazioni del territorio. Secondo il Centro Risorse Lgbti in pochi mesi le storie giunte sono 672 ma il sospetto che moltissime non emergano, tuttavia sono una fotografia della realtà. Negli ultimi cinque anni gli episodi di violenza verbale e fisica non sono mai stati meno di cento. Nel solo 2016 anno in cui è entrata in vigore la legge Cirinnà sulle unioni civili. Si è trattato della prima legge nazionale che si occupasse dei diritti della minoranza lgbt, almeno il diritto al riconoscimento delle relazioni tra persone dello stesso sesso. Se per alcuni è sembrato un primo passo per un percorso di accettazione e riconoscimento, i numeri delle violenze e le storie raccolte dal Centro Risorse Lgbti mostrano avanzamenti limitati. Insomma, forse c’è ancora tanto da fare, oltre ad istituire e celebrare la giornata mondiale contro l’omo-lesbo-bi-trans-fobia il 17 maggio, c’è bisogno di prendere posizione. Si tratta di diritti umani. La sfida in gioco è importante, culturale, decisiva. Guardare dall’altra parte non è più accettabile in un Paese civile. “Tacere non è più un’opzione” – ha concluso Zan.