Milano, 8 apr. (AdnKronos Salute) – “Il conto che l’emicrania presenta all’Italia è salato e si stima in circa 20 miliardi fra costi diretti e indiretti. Come una manovra finanziaria”. Sono alcuni dei dati sul peso della malattia, illustrati da Piero Barbanti, responsabile dell’Unità per la cura e la ricerca su cefalee e dolore dell’Irccs San Raffaele Pisana di Roma e presidente eletto dell’Associazione neurologica italiana per la ricerca sulle cefalee (Anircef), intervenuto oggi a Milano a un evento promosso da Novartis per la Design Week 2019.
Lo specialista traccia un quadro dei numeri. Spiega che “circa 14 milioni di connazionali sanno cos’è l’emicrania” per averla sperimentata anche solo una volta. “Se guardiamo a chi ha in media 4 attacchi al mese – calcola – siamo intorno ai 3,9 milioni di persone, praticamente quanto gli abitanti della Toscana. Se stringiamo il campo al numero di pazienti in profilassi scendiamo a quota 62 mila, come la città di Viareggio. E se ci limitiamo a chi fa la terapia in modo corretto e fino in fondo questo numero crolla a 30 mila, come gli abitanti di Piombino. Il 30-40% si perde per strada”.
L’esperto evidenzia “l’importanza di un riconoscimento per questi pazienti”, vittime di una malattia invisibile e sottovalutata. “L’emicranico pecca per presenteismo, spende molto per cure mediche, unisce anche costi di ridotta produttività, aspetta di avere cure appropriate, aspetta che vengano spazzati via i tabù”. Secondo una recente indagine del Cergas (Centro di ricerche sulla gestione dell’assistenza sanitaria e sociale) Sda Bocconi School of Management, il costo annuale stimato per persona colpita è di 4.352 euro e la voce più pesante è proprio la perdita di produttività che vale 1.524 euro (36%).
Ci sono professioni più a rischio di altre. “I lavori con i turni, per esempio – elenca Barbanti – Si pensa subito agli operai, invece turnisti sono anche infermieri e medici, e queste due tipologie di lavoratori sono letteralmente rovinate dal fatto di essere costrette a invertire la notte col giorno. Ci sono poi le persone che si spostano frequentemente con l’aereo, e lo stesso personale di volo. Un’altra categoria molto a rischio sono gli insegnanti, prevalentemente donne: per l’enorme carico di responsabilità il loro presenteismo è ancora più spiccato e spesso il loro quadro clinico risulta di una particolare gravità”.
Un punto di partenza importante per garantire terapie appropriate agli emicranici, prosegue lo specialista, è partire dai dati reali. “Abbiamo istituito per questo un Registro nazionale emicrania che segue già 780 pazienti e ci mostra fra l’altro che le categorie intellettuali e maggiormente sacrificate sono quelle ad avere una maggiore incidenza”.
Per Barbanti, “per ripensare l’approccio all’emicrania bisogna partire da questo e anche dai grandi sprechi presenti nel sistema di assistenza. Oggi il 50% degli italiani emicranici si fa curare in un’altra regione, il 45-50% fa degli esami diagnostici sbagliati e quasi l’80% di questi esami li paga il Servizio sanitario nazionale. Un 70% di pazienti emicranici va dagli specialisti sbagliati, perché crede che il suo problema sia legato a qualcos’altro. Avere i numeri reali e garantire una corretta diagnosi è la base per gestire una malattia che è più curabile che in passato, se pensiamo anche che oggi è disponibile una categoria farmacologica cucita su misura per il paziente: il farmaco per la profilassi, per prevenire l’attacco. Un lusso che prima non avevamo”.