L’Italia è in volata verso la fase clou dei riti estivi, il Ferragosto e dintorni, o meglio ci sta provando. Al di là di tutte le motivate paturnie che la stanno tormentando, per essa gli italiani, è come se nell’aria ci fosse un’euforia fuori luogo, che ricorda da vicino il clima elettorale della neonata Repubblica.
Per avvertire tale sensazione, non occorre necessariamente aver vissuto quella stagione: i documentari dell’Istituto Luce, in bianco e nero e commentati da voci fuori campo stentoree e piene di marcato anelito democratico, rendono ancora oggi ben interpretabile il fervore che all’epoca animò tutti gli italiani nell’età della ragione. Come previsto nella Costituzione ancora fresca di stampa, iniziò la convocazione dei comizi elettorali. L’entusiasmo era perfettamente adeguato a un popolo che era appena uscito da una dittatura e da una guerra, che era quindi nello stato d’animo di chi assapora con voluttà anche un semplice bicchiere d’acqua.
Inoltre, non è un particolare da poco, i candidati a rappresentare gli italiani in Parlamento, erano persone di gran levatura, con un bagaglio culturale di tutto rispetto. Succedeva quindi che l’Italia contadina, che andava rapidamente trasformandosi in operaia, accorreva volentieri e motivata sotto ai palchi o ai balconi dove si cimentavano i candidati, quasi tutti caratterizzati da un’oratoria di alto livello. Quei contadini e operai, quasi tutti completamente analfabeti o poco lontano dall’esserlo, accorrevano numerosi per ascoltare chi parlava in italiano e non in dialetto, più che lieti di poter apprendere qualcosa di nuovo. Peraltro narrata con un linguaggio adeguato, pur rimanendo semplice e a loro accessibile. Chi è riuscito a trattenersi davanti alla TV in questi ultimi giorni, avrà toccato con mano l’involuzione dei riti propedeutici alla consultazione elettorale ormai prossima a realizzarsi. Avrà notato nello stesso tempo quanto si sia ridotto lo spessore culturale e non solo degli aspiranti protagonisti dell’imminente competizione. Inoltre, anche il più ingenuo degli elettori avrà notato che il sottofondo politico dei mestieranti testé accennati è pressoché inesistente, gli stessi sono connotati marcatamente di sola autoreferenzialità e di protagonismo quasi fanatico. Tutto ciò in un contesto che ricorda Sodoma. A dare irresponsabile enfasi, unita a malafede a pacchi, a Gomorra, ci ha già pensato una delle tante sedicenti vittime di un sistema deteriorato, che da anni continua a cavalcare, pro domo sua, quella tigre. Il riferimento alla prima delle due città bibliche è che nell’agone politico attuale, il tentativo di realizzare alleanze contro natura è sotto gli occhi di tutti. Probabilmente rende ancora meglio l’idea di quanto stia accadendo la simpatica esclamazione connotata da meraviglia a denominazione di origine controllata strettamente partenopea. Essa suona: “Per caso stiamo vendendo pizze?”, nel senso che, purché di forma tonda e guarnita con i pomodori, l’una vale l’altra. Si resta attoniti, soprattutto andando con il pensiero al prossimo autunno. Pino Daniele cantava: “Ma che parlamme a fà, sempe de stesse cose?”. Se fosse possibile, bisognerebbe fargli i complimenti: l’aveva vista giusta.
Intanto, i fatti domestici finiscono per distogliere l’attenzione dal finimondo che si sta diffondendo a macchia d’olio su tutto il pianeta. L’escalation della sua gravità sta passando immotivatamente sotto tono, facendo voti che non si verifichi quanto nel contado viene efficacemente cosi sintetizzato. È lì da sempre in uso l’espressione affermante che, partendo dallo scherzo, si finisca spesso per fare qualcosa di sgradito realmente. Giusto per alleviare la gravità della situazione, soccorre il componimento in versi di Alessandro Manzoni ispirato da un personaggio storico, Il Conte di Carmagnola. In esso si legge, tra l’altro, “s’ode a destra uno squillo di tromba, a sinistra risponde uno squillo”. Nel caso del calderone politico italiano o sedicente tale, altro che strilli, quelle che si ascoltano, peraltro ormai con fastidio, sono strombazzate da stadio. Sorge così un dubbio: dal centro, cosa arriva dal centro dell’arco costituzionale? Silenzio, al più qualche sussurro scarsamente udibile. Se è vero che talvolta il primo è d’oro, quello del momento attuale è tombale. Non così per i secondi, pronti a trasformarsi in grida – di rabbia – come il titolo di un noir di tanti anni fa. Non se ne sente alcun bisogno, al momento, per cui ai buoni intenditori vicini a quel luogo ideale dello schieramento costituzionale, arrivino poche ma efficaci parole di incitamento, cioè l’ invito perentorio a fare presto e, soprattutto, bene, accompagnato da un indubbiamente laico “Così sia”.