Lo Cicero: Sud, una serie di patti non fanno un Masterplan

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Professore, lei ha avuto modo di commentare sul Mattino – se ricordiamo bene – che la strategia del Masterplan risponde a una logica datata, molto simile all’approccio buttom up della programmazione negoziata degli anni Novanta. Conferma il giudizio?
Il Masterplan non ha ancora concluso il suo giro di ricognizione; Campania, Calabria, Basilicata e Sicilia hanno ricevuto una promessa di circa 40 miliardi dal Governo centrale nel maggio del 2016. Ricordiamoci che la messa in moto del processo è avvenuta nella primavera del 2015 da parte del Governo. Andiamo piano e molti dei progetti ai quali è stata concessa la possibilità di attivarsi, nelle quattro regioni richiamate, sono residui del ciclo 2017/2014. Un vero e proprio Masterplan, l’indicazione di una visione e di una strategia organizzata, nelle singole regioni, e nell’insieme del Mezzogiorno, con reti che si collegano tra le regioni, non si vede. E credo che non sia possibile ridurre il Masterplan ad una serie di progetti che non abbiano un volano, capace di dare un senso ed un beneficio collettivo all’Italia attraverso una radicale riorganizzazione del Mezzogiorno.

Intanto però alcuni Patti – anzitutto quello con la Campania – sono stati sottoscritti. Ed è merito di Renzi e De Luca, non crede?
In Campania si deve partire da una questione che non è ancora stata considerata: la regione ha sei milioni di abitanti, la città metropolitana ne ha 3,5. Si tratta della terza città italiana e dell’ultima metropoli vera, prima delle coste siciliane verso la Tunisia. Se non si parte da un Masterplan che faccia di Napoli una metropoli ed una regione, che insieme alle altre, si articola per fare del mezzogiorno continentale un sistema integrato e coeso, non si va lontano. Se ogni regione vuole chiudersi intorno al suo ombelico non credo che il Sud possa decollare.

Vede tuttora delle insidie in questo percorso che tenta di tener fede al ruolo delle istituzioni del territorio? Per esempio il fatto che Emiliano e de Magistris siano tentati di esercitare una funzione di interdizione o di ostacolo alla stipula. Soprattutto il sindaco uscente di Napoli, che ha deciso di portare la polemica con Renzi al punto di fusione.
Le polemiche tra coloro che devono guidare le istituzioni sono pericolose per l’integrità della nazionale e per lo sviluppo della sua economia. Un uomo di Stato lavora per la nazione e non per affermare se stesso. Ma è la storia che dice chi sia stato un uomo di Stato: dopo le cose che ha concepito e costruito.

Quale poteva essere una alternativa valida? E’ ancora praticabile?
Una macroregione con al centro una metropoli di livello europeo: Napoli. Ma ci vogliono almeno dieci anni per riportare il Sud nella sfera dell’economia italiana e, quindi, portare l’Italia al centro dell’Unione Europea. Lo fecero i tedeschi tra Germania est e Germania ovest dopo la caduta del muro di Berlino: lo dovrebbero fare gli italiani nei prossimi dieci anni, dopo la tremenda recessione che l’Italia, e principalmente il Sud, hanno subito all’indomani della crisi mondiale del 2009.

La critica di Huffington Post a Renzi sul Masterplan si può riassumere così: molta buona volontà, condita da un filo di propaganda. Un vero piano per il sud, carte alla mano, non sembra esserci… Condivide?
Credo che un piano per il sud, come un ministro per il sud, servano a poco. Serve una politica economica che rimetta l’industria italiana in piedi e che generi una convergenza tra nord e sud che possa tonificare la presenza della nostra nazionale nell’Unione Europea e nel mondo. Mutatis mutandis siamo di fronte alla ripresa, dopo una guerra, e dobbiamo costruire un nuovo miracolo economico italiano: tutti insieme, quelli del sud e quelli del nord.

Quali sono a suo avviso i passaggi fondamentali di un Piano strategico di sviluppo del Sud? Volendo esprimerci con le percentuali, quanto assegna alle Infrastrutture, quanto alla Ricerca, quanto alla Internazionalizzazione eccetera?
La crescita non si può realizzare con il misurino. Sono gli uomini che gestiscono le banche, le imprese e le istituzioni pubbliche e, se ci riescono, alimentano la crescita e lo sviluppo. Quegli uomini devono avere il senso della visione e la capacità di cavalcare le strategie. I numeri vengono dopo la crescita e si misurano per capire quanto abbiano generato. I piani misurati con i fogli excel hanno vita breve.

Lo stesso giornale tuttavia aggiunge: “Bisogna dare atto al governo di aver giocato un’importante battaglia cercando di smaltire per intero quei fondi europei che tropo spesso abbiamo dovuto restituire al mittente… Concorda?
Si ma non bisogna smaltire i fondi; bisogna investire per creare nuovo capitale ed aumentare la dimensione della ricchezza.

Giorgio La Malfa sostiene che il vero sviluppo c’è stato con la Casmez libera dall’ingerenza dei partiti, tra il 1956 e il 1973. I dati confortano questa tesi. Il punto di svolta in negativo è stata la nascita delle Regioni, che hanno preteso di surrogare numerose prerogative del Governo… . Non è così?
Giorgio la Malfa ha ragioni da vendere. Sono molto d’accordo con la sua diagnosi.

Otto Regioni e otto città metropolitane … . Forse sono troppe anche per un territorio di venti milioni di abitanti. Ritiene che il dibattito sulle macroregioni possa riprendere in vista della campagna per il Referendum costituzionale?
Facciamo il referendum e poi vediamo. Ma allineiamo la città metropolitana di Napoli a quella di Milano, in termini di organizzazione e di qualificazione di quello che si possa fare. Milano è molto più avanti, tanto per cambiare. In Europa dicono che Milano sia l’ultima città meridionale prima del bacino mediterraneo. Spostiamoci su Napoli rapidamente se vogliamo davvero creare un nuovo miracolo economico.