Lo schiaffo di Macron restituisce l’orgoglio all’Italia

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di Antonio Arricale

Sarà il caldo torrido portato dall’anticiclone Lucifero, sarà il tasso di umidità che amplifica la percezione asfissiante dell’afa, sarà che agosto è il mese che rallenta naturalmente la sinapsi delle cellule cerebrali, ma in questo periodo l’opinione pubblica resta oggettivamente frastornata dalla lettura dei notiziari.
Ovviamente, è la guerra in corso – fortunatamente solo commerciale – tra Francia e Italia a tenere banco. Il braccio di ferro sulla vicenda Fincantieri-Stx, dopo la decisione di Parigi di nazionalizzare gli impianti di Saint-Nazaire, si intreccia ora con la partita su Tim, che come sapete è in mano ai francesi di Vivendi. Il governo Gentiloni ha avviato infatti un’istruttoria – sollecitata dal Mise, si precisa – per valutare la possibilità di esercitare sull’azienda telefonica la cosiddetta “golden power”, ovvero poteri speciali sugli asset societari in settori considerati strategici. “Nessuna ritorsione”, ha sottolineato il ministro dello Sviluppo economico, Carlo Calenda, al termine dell’informativa alla Camera sulla vicenda. Ma sono pochi a bersela. E noi tra questi.
Fosse emerso già qualche tempo fa l’orgoglio italico, magari ai tempi della più recente guerra libica (2011) probabilmente non avremmo risolto i nostri guai, ma almeno il mondo avrebbe saputo che lo Stellone italico è in genere molto accondiscendente, propenso per naturale inclinazione al dialogo e al compromesso, ma mal sopporta l’umiliazione. Non gli italiani, almeno. E invece, a proposito di Tim ci tocca risentire i discorsi intorno allo “scorporo della rete dalla fornitura dei servizi” come opzione necessaria “per aumentare l’efficienza e la competizione”, non come risposta allo schiaffo di Macron. Che poi, sarebbe legittima. Ma è già qualcosa.
A proposito di Libia, chi decise nel 2011 l’intervento contro Gheddafi, il quale non sarà stato un campione di democrazia, ma in ogni caso, dalla sponda sud del Mediterraneo, garantiva un rapporto soddisfacente con l’Italia e, dunque, una gestione accettabile degli interessi economici nazionali (che non sono pochi sul suolo libico) e ovviamente dei flussi migratori: l’ex presidente della Repubblica Giorgio Napolitano o l’ex premier Silvio Berlusconi? E, in ogni caso, al di là della polemica che ancora arde sui giornali, perché le bombe su Tripoli furono accettate supinamente dall’Italia, anteponendo ai legittimi interessi nazionali e della stessa Ue, quelli Usa, UK e francesi? Ecco, fateci capire di più, per favore.
E diteci di più, se possibile, anche sulle missioni umanitarie e i salvataggi in mare, al di là della scontata solidarietà istituzionale manifestata da certi ambienti politici e della stessa Chiesa. Solidarietà che alberga, evidentemente, anche nei cuori più duri che però doverosamente non hanno smarrito i doveri connessi al governo di un Paese. Insomma, che cosa c’è nelle carte dell’inchiesta sulla nave Ong sequestrata a Lampedusa? È vero che i volontari vengono pagati 10 mila euro al mese? È vero che la nave tedesca Iuventa non solo collaborava con gli scafisti, ma manifestava una vera e propria ostilità contro l’Italia? E per conto di chi?
Siamo seri: al codice di soccorso, che alcune Ong si sono rifiutate di sottoscrivere dopo averne condiviso il testo, si sarebbe potuto arrivare anni prima. Se non è stato fatto è perché più di uno ci marcia. Anche nel governo. E però a nessuno sfugge che in ballo non ci sono soltanto questioni di vile pecunia (ci sono filmati che mostrano i trafficanti che consegnano i migranti alle Ong) ma interessi generali concreti. I quali devono essere difesi, evidentemente, anche a rischio di sfidare l’ira del generale libico filo-egiziano Khalifa Haftar, uno degli interlocutori di Emmanuel Macron, che appunto minaccia di bombardare le navi italiane.
Cambiamo registro. Nella bagarre sui vitalizi dei vecchi e nuovi parlamentari si è scoperto che le Camere si sono rifiutate di rendere pubblici i dati sui contributi versati, cui si riconducono, in ultima analisi, i cosiddetti “diritti quesiti”. Senza queste informazioni non è possibile valutare l’impatto delle misure sugli assegni, ha notato il presidente dell’Inps Tito Boeri. E si comprende. Quello che non si capisce, invece, è come i parlamentari possano pensare di “prendere in giro gli italiani” senza fare un regalo all’anti-parlamentarismo di cui pure si riempiono continuamente la bocca.
Per il resto, la notizia migliore della settimana sembrerebbe il calo dello 0,2% della disoccupazione, che a giugno si è fermata all’11,1%. Il dato però è monco del numero degli inattivi, che perciò hanno smesso di fare statistica. Mentre si raggiunge addirittura il paradosso nel constatare la diminuzione del numero dei dirigenti degli enti territoriali e il contestuale aumento degli stipendi. Un passo avanti e due dietro.