di Gennaro Russo
Direttore dell’Istituto di Aerodinamica dell’Università di Napoli, oggi Federico II, nei periodi 1960-1977 e 1983-1991, già intitolato al suo maestro generale Umberto Nobile. Porta il suo nome la galleria al plasma “Scirocco” da 70 megawatt presso il Cira che proprio lui riuscì a far attribuire all’Italia nell’ambito dello sviluppo della navetta spaziale europea Hermes. Ingegnere e accademico nato a Napoli nel 1928, presidente e fondatore del Mars e primo presidente del Cira, consulente per Nasa e Esa, Napolitano è stato docente all’Università di Berkeley in California e alla Sorbona di Parigi, e componente dell’Accademia Nazionale dei Lincei dal 1990. Scompare il 23 luglio dell’anno successivo. È “lo scienziato che ci manca” nel ricordo di uno dei suoi allievi prediletti, Gennaro Russo, esperto di Spazio e Difesa presso il Distretto Aerospaziale della Campania, il raggruppamento di imprese, Università e centri di ricerca presieduto da Luigi Carrino.

Il 23 luglio 1991, all’età di 63 anni, Luigi G. Napolitano ci lasciava prematuramente per un improvviso malessere mentre si trovava a Denver in Colorado per uno dei tanti incontri mondiali che lo hanno visto primo attore nel corso di molti lustri.
Sono passati 30 anni e il suo esempio e i suoi insegnamenti sono ancora vivissimi e attuali; la sua influenza aleggia ancora nell’aria, sebbene probabilmente non abbia avuto tutto lo spazio o il tempo per diffondersi come avrebbe potuto se il fato fosse stato più benevolo. Napolitano non si limitò all’aula e ai congressi, ma disseminò sapere e diffuse esperienza in ogni dove e occasione. E voglio ricordare che fu lui ad introdurre nel lessico mondiale termini come Microgravità e Quarto Ambiente, studiandone ed esaltandone le caratteristiche oltre che le potenzialità. Con il suo pensiero e la sua visione ha segnato lo sviluppo di quella che oggi conosciamo come Space Economy.

Si, sono trascorsi trenta anni, e in molti di noi rimane scolpito il ricordo di quel giorno in cui all’Università e negli ambienti di settore giunse la notizia della sua improvvisa scomparsa. Ricordiamo come fosse ora il senso di smarrimento e incredulità in tutti coloro che frequentavano l’Istituto, dai docenti ai ricercatori, agli studenti.
Dal 1978 ho avuto la fortuna e l’onore di seguirlo prima come studente, poi come tesista, poi come dottorando e poi ancora come collaboratore. Un’esplosione di vivacità, di curiosità, di capacità e simpatia. Quando il lunedì ci si ritrovava all’Istituto di Aerodinamica della Facoltà di Ingegneria, che brulicava di docenti e discenti, e dove fervevano le attività di ricerca con molteplici connessioni internazionali, era lui il primo a parlare e godere delle vittorie della squadra di calcio del Napoli e dell’Italia. Un vero tifoso.
Sebbene avesse ottenuto il dottorato presso il Politecnico di Brooklyn, non aveva mai accettato di lasciare la sua Napoli per andare in una delle tante università che a braccia aperte lo avrebbero accolto. L’amore per la sua terra e la voglia di fare qualcosa di speciale per essa lo ha sempre mosso impetuosamente, anche quando tenne corsi di laurea all’università di Berkeley in California, alla Sorbona di Parigi e al Von Karman Institute di Bruxelles.

Ricordo che in Italia stava nascendo l’istituto del Dottorato di ricerca e la solita burocrazia non consentì all’università di Napoli di attivarsi subito al primo ciclo. Il suo desiderio di far sviluppare le conoscenze e la ricerca sulla microgravità lo portò allora ad associarsi alla Scuola di Ingegneria Aerospaziale dell’Università La Sapienza di Roma, dove affiancò altri maestri come Luigi Broglio e Paolo Santini. Fu così che mi offrì l’occasione di essere il primo dottorando di ricerca in Italia e il primo in microgravità in Europa quando venivano realizzati gli esperimenti sui flussi alla Marangoni a bordo del laboratorio spaziale europeo Spacelab, collocato nella baia dello Space Shuttle americano.
Ricordo le giornate e le nottate al centro di controllo di Oberpfaffenhofen vicino Monaco di Baviera quando Napolitano, principal investigator, era in contatto diretto con gli astronauti. Avevamo lavorato tanto per preparare al meglio ogni cosa di quegli esperimenti, ma sempre qualcosa di imprevedibile succede e allora i contatti diretti attraverso l’interfono per confrontare ciò che accadeva nello spazio con quello che avevamo studiato in laboratorio a Napoli, per confrontarci insieme anche al compianto professor Rodolfo Monti e per trovare nel giro di pochi minuti le giuste istruzioni da dare agli astronauti.

Il mio amico Raffaele Savino, professore e anche lui suo allievo, dice sempre che gli studenti dei corsi di Ingegneria Aerospaziale che oggi frequentano i banchi dell’università, pur non avendo avuto la fortuna di conoscerlo, sanno chi sia stato Napolitano e cosa abbia fatto. Alcuni di loro, figli della sua scuola ed oggi distinti ricercatori o ingegneri, usano dire che, attraverso gli studi presso l’allora Dipartimento di Scienza ed Ingegneria dello Spazio e specialmente attraverso i racconti, gli aneddoti ed il continuo e deferente ricordo di coloro che lo hanno conosciuto, è come se lo avessero conosciuto ed incontrato di persona. Segno evidente dell’intensità dell’impronta di umanità e valore che ha saputo trasmettere ai suoi studenti e collaboratori.
Un pensiero sentito allo scienziato, maestro di scienza e tecnologia ed ispiratore di generazioni di studenti, ingegneri e ricercatori, non solo napoletani. Della sua azione siamo tutti fieri di essere in qualche modo il frutto, e al tempo stesso sentiamo pesare sulle nostre spalle il carico della sua eredità. Ma questo peso ci appare leggero perché un altro suo insegnamento è stato e resta la consapevolezza mista al godimento di conoscere a fondo le cose e all’entusiasmo di costruirci sopra.
Il suo ricordo e l’abnegazione che ha profuso nella sua opera possa continuare ad indicarci la strada per fare sempre meglio a favore del nostro territorio.
