Lo Xingkiang è il punto di leva per la futura destabilizzazione strategica della Cina.

Se,  infatti, si può osservare uno shift dell’interesse strategico Usa dal Medio Oriente verso l’Asia Orientale, si deve inoltre osservare che Washington utilizza la tensione tra Cina e Giappone, oltre a utilizzare la questione nucleare della Corea del Nord nella sua relazione con la Cina per, appunto, isolare il Regno di Mezzo e chiuderlo in una nuova condizione di insicurezza.

 Sia le piccole nazioni asiatiche che la stessa Cina hanno  però molto difficile questo progetto Usa.

 Questa grande operazione di destabilizzazione riguarda, naturalmente,  anche lo Xingkiang.

 E la Cina legge la minoranza islamica dell’”Est Turkestan” come una possibile base per due operazioni strategiche principali: l’inizio del frazionamento del territorio cinese con successive “rivolte dal basso” di tipo etnico; e la correlata penetrazione di potenze avversarie, tramite le rivolte, dentro il territorio cinese.

 Per lo Xingkiang gli “utenti finali” sarebbero gli USA ma, soprattutto, la Turchia, che è un membro, sia pure anomalo, della NATO.

 Ci sarebbero interessi anche da parte dei Paesi centroasiatici islamici, naturalmente.

 Quindi, la reazione di Pechino verso le rivolte “etniche” e religiose interne è particolarmente attenta, ed è un punto centrale della politica interna di Pechino.

  La Cina, ricordiamolo, ha 21 milioni di islamici, di cui molti dalla regione del Ningxia e nell’area sudoccidentale dello Yunnan.

 L’incendio islamista potrebbe essere estremamente pericoloso per Pechino.

  Il Presidente Xi Jinping ha recentemente  indicato ai cinesi islamici il pericolo di una infiltrazione religiosa illegale, ma la linea di penetrazione è talmente ampia che è difficile, se non impossibile, controllarla efficacemente per intero.

 O si separa l’Islam regolare da quello jihadista, anche all’interno della stessa comunità di credenti, e questo vale anche per l’Occidente, oppure la Cina, ma anche  noi, dovrà gestire colossali minacce.

 Ecco, proprio in questo contesto si situa la questione uighura.

 Ed è anche dallo Xingkiang che passa e viene posta in sicurezza la nuova Via della Seta, l’asse del nuovo progetto geopolitico ed economico di Pechino.

 Il mondo uighuro è comunque  oggi in grande sommovimento.

 E la pressione politica e religiosa su di esso avviene sia dall’interno dell’Islam cinese che dall’estero.

 I cinesi infatti accusano l’ETIM, East Turkestan Islamic Movement, e l’ organizzazione ad esso  succedutasi, il Turkestan Islamic Party,  di essersi da sempre collegati ai Taliban afghani e al “Movimento Islamico dell’Uzbekistan”.

  Una internazionalizzazione della lotta uighura capace di immettere definitivamente la Cina nel più potente arco di crisi asiatico.

 Ma l’internazionalizzazione dei conflitti, lo sappiamo bene, ha anche a che fare con le azioni di soft power e di propaganda all’estero, per saturare le valenze della controinformazione della Cina e per fare defamation contro Pechino.

 E qui si tratta del  WUC, World Uyghur Congress, che ha sede a Monaco di Baviera.

 Non si capisce poi perché la Germania  Federale ospiti questa struttura.

 Ricatto e minaccia verso Pechino, anche sul piano commerciale? Atto di amicizia verso il grande alleato americano?

 Utilizzazione del WUC per la penetrazione delle reti lavoratori turchi e quindi anche uighuri “ospiti” della Germania?

 Tutte le opzioni cui abbiamo sono egualmente  valide.

 Il WUC è diretto da un cittadino ormai tedesco, Dolkun Isa, uighuro e residente, non sappiamo se ancora tale, ad Akesu, nel distretto Keping dello Xingkiang.

  Oltre ad essere segretario del WUC, è vicepresidente e fondatore, tra altri, dell’East Turkestan Liberation Organization, fondato a Istanbul nel 1996, ma l’organizzazione ha sedi anche in Kirghizistan, Kazakistan e Uzbekistan, i poli dai quali si dovrebbe infatti sviluppare la guerriglia anticinese per rallentare e poi bloccare la “Via della Seta”.

 L’ETLO è esplicitamente fondamentalista islamico e ha partecipato, con ogni evenienza, ad operazioni terroristiche in collegamento con gruppi similari fuori dalla Cina.

  L’ETLO, peraltro, ha operato dentro la Cina con attentati e altri reati, come il contrabbando di armi e le esplosioni dirette verso obiettivi sensibili del potere cinese.

  Dolkun Isa, peraltro, secondo le nostre fonti, nell’ottobre 2000 ha dato ordine a due militanti di costruire una base di addestramento in Nepal.

 Arrestato uno dei due nel regno himalaiano dalla polizia locale, Isa ha mandato una notevolissima quantità di fondi per liberare il militante dell’ETLO e i suoi nuovi compagni.

 I quali subito dopo la  liberazione, sono fuggiti in un campo di addestramento uighuro che si trovava già in Asia Meridionale.

 Sempre dalle nostre fonti, che riteniamo ad alta affidabilità, Isa ha fatto ottenere asilo politico a due militanti in Yemen.

 Mentre peraltro lo stesso Isa fa continuamente pressione sui Paesi europei e, in particolare, presso la Germania, per accettare come rifugiati militanti dell’ETLO o uighuri che, probabilmente, sono militanti juhadisti sotto copertura.

  Siamo alla sempre utilissima lezione della Terza Internazionale: si costituisce il gruppo armato rivoluzionario e, contemporaneamente, la rete “umanitaria” che fa da copertura e da propaganda per la causa.

 L’Occidente, dalla guerra nel Vietnam fino alle crisi umanitarie recenti, non ha ancora capito questa lezione.

 Peraltro Isa, con il sostegno degli Usa, sta facendo pressione sulle nazioni europee per far accettare, sempre come rifugiati, gli uighuri presenti nella prigione di Guantanamo.

 Ecco, se questi dati sono del tutto affidabili, si chiarisce il doppio ruolo del WUC a Monaco di Baviera, sia  come base  per la propaganda che come snodo organizzativo.

 Peraltro l’intelligence turca, il MIT, sostiene anche in loco la rivolta militare uighura, e la Turchia è un paese NATO.

 Ma ormai l’Alleanza Atlantica ci sembra un pranzo à la carte.

  Ankara vuole infatti sostenere il suo vecchio progetto panturanico, e quindi concede aiuti a tutte le comunità turcomanne dall’Anatolia fino, appunto, allo Xingkiang.

 Inoltre, la Turchia non vuole l’espansione della Cina in Asia Centrale, che Ankara ritiene di poter egemonizzare.

   E questo non può dispiacere agli Usa, che vedono in questa attività di un Paese atlantico il tentativo di “chiudere” la Cina e, possibilmente, destabilizzarla in attesa di portarvi la  famosa “democrazia”, ovvero un governo controllato da Washington.

 Vale, per questa nota sulla propaganda, fare una nota sui sostenitori europei degli uighuri del WUC, i quali pensano che la Cina abbia sempre torto, sulla base della teoria, un po’ fantasiosa, dei “diritti umani”, che non può mai essere la base di una qualche politica estera.

 In base ai “diritti umani”, anche i nostri liberi Paesi potrebbero avere qualche difetto.

  E, inoltre, gli ormai remoti successi dell’Isis-Daesh potrebbero creare un tentativo di emulazione proprio nello Xingkiang, tentando di isolare la regione islamica cinese ivi creando una specie di pseudo-stato, come ha fatto appunto il califfato di Al Baghdadi.

  Ma l’Arabia Saudita, il Qatar e la stessa Turchia non si decideranno per una azione del genere, molto simile a quella già organizzata in Siria proprio con il Daesh, se non ci sarà un esplicito assenso delle maggiori potenze occidentali.

 La seconda versione del “califfato” in Cina dovrà evitare gli errori geopolitici della prima versione, per funzionare meglio come stabile controllo dell’area di un altro Paese.

  D’altra parte lo Xingkiang, che confina con otto Paesi, Russia, Mongolia, Kazakistan, Kirghizistan, Tagikistan Afghanistan, Pakistan e India è, sia per la sua posizione strategica che per le sue risorse, un asset essenziale per la Cina.

  Lo Xingkiang detiene il 40% del carbone cinese, il 22% del petrolio e il 20% delle riserve di gas naturale.

  Ci sono 17 zone di estrazione del petrolio e del gas naturale, nello Xingkiang.

  E a Karamai, oltre all’estrazione del petrolio, vi è grande quantità di carbone, argento, rame, nitrati oro e zinco.

  Inoltre, oltre ad essere uno straordinario deposito di materie prime e di oro, lo Xingkiang è il necessario punto di passaggio  economico e energetico tra la Cina dell’interno e la sua costa.

 Le varie pipelines che già operano dal, o attraverso, l’area dello Xingkiang sono determinanti per le attività delle coste, e il governo cinese ha già lanciato il progetto della Central Asia Gas Pipeline, che passa dai vari paesi centroasiatici e sbocca a Horgos, nello Xingkiang.

 Confini vulnerabili, quindi, ma massima importanza strategica ed economica per la Cina dello Xingkiang.

 Ecco quindi  i due dati primari per comprendere la questione uighura.

 Che è il costante riferimento concettuale e politico  del WUC di Monaco, con Isa  che si è mosso, recentemente, in tutta Europa e, particolarmente in Francia (Parigi) all’inizio di Novembre e in Italia (Milano) alla metà di Novembre.

 Propaganda, certo, ma anche la gestione di una rete che potrà venir utile, come meccanismo di pressione sui nostri governi, quando la Cina dovesse reprimere ulteriormente i militanti uighuri.

E, quindi, isolare pericolosamente Pechino.

Giancarlo Elia Valori