L’Ucraina e la tempesta nel mercato mondiale dei cereali: una crisi da non sottovalutare, ecco perché

Potrebbe essere interessante, durante la pausa del fine settimana, approfondire la riflessione sugli effetti indiretti ma non meno importanti che l’invasione dell’Ucraina sta provocando. In prima battuta salta agli occhi di chi osserva gli sviluppi della vicenda la problematica legata alla fornitura di idrocarburi della Russia all’Europa. A essa deve essere equiparata o quasi per importanza la forte tempesta scatenatasi nel mercato di tutti i cereali che quel paese assediato produce, in quantità tra le più alte al mondo. Potrà risultare superfluo, ma è meglio ripeterlo, che quanto messo sul mercato internazionale a Kiev, concorre con forte peso alla determinazione delle quotazioni mondiali di quelle derrate, principalmente alla borsa merci di Chicago. Non è una novità che quei prodotti della terra, da sempre e in ogni parte del pianeta terra, sono a base dell’alimentazione di quanto ha vita animale. Usati per tante preparazioni, allo stato naturale o lavorati, sia macinati, sia sfarinati, restano ancora oggi in testa ai componenti di buona parte delle diete più praticate. Sono inoltre componenti essenziali di diversi prodotti alcoolici, solo per citarne alcuni tra i più consumati, la birra ricavata dall’orzo e il whisky dal grano. Anche negli episodi salienti del cammino dell’umanità i cereali sono stati presenti o almeno notizie di tanto sono arrivate fino al tempo attuale. Probabilmente l’episodio più conosciuto in cui è citato un prodotto ottenuto dal grano è la moltiplicazione dei pani e dei pesci per mano divina. Peccato che di questi tempi chi di competenza non provveda a ripetere l’episodio. Oltretutto per lui potrebbe rivelarsi anche una buona operazione di marketing, stante l’attuale discutibile e controversa sua rappresentanza sulla terra. Accanto alla importanza sostanziale di quei prodotti, fin dall’inizio del loro utilizzo chi era a capo delle comunità sociali del tempo intuì che sul loro scambio, all’inizio baratto, più che sulla loro produzione, si sarebbe potuto costruire l’antenata di una imposta indiretta. Era essa il prezzo da pagare da parte di chi voleva appartenere a un embrione di cosa pubblica. Chi pensò a qualcosa del genere fu con ogni probabilità la popolazione dell’antico Egitto. Mai avrebbe immaginato che stava mettendo in atto un’ attività della macchina pubblica, il prelievo fiscale, che si sarebbe affinato e consolidato nel tempo. In effetti l’antenato di un generico, attuale ministro delle finanze, pensò che il faraone di turno e lui stesso potessero sostenersi prelevando in natura parte del raccolto, dal momento in cui cominciava a passare di mano, a ogni scambio. In più quell’attività era talmente importante e diffusa, che sarebbe stato sufficiente applicare tanti piccoli prelievi per raccoglierne una grossa quantità di prodotti. L’attuale fiscalità indiretta di quasi tutti i paesi con una forma di economia evoluta continua a tenere in conto quella forma di finanziamento della cosa pubblica. Allo scopo utilizza come base percuotibile soprattutto prodotti di largo consumo, come i carburanti e le sigarette, solo per fare un esempio. Nel corso dei secoli molti altri sono stati gli impieghi definibili finanziari in senso lato dei cereali. Uno ancor oggi attuale fu l’istituzione dei monti granai, vere attività creditizie su pegno di quei prodotti, gestiti quasi in esclusiva dal clero. Nel secolo scorso, per delega del Regio Banco di Napoli, cominciarono a svolgere quell’attività i Consorzi Agrari, emanazioni del mondo rurale. Attualmente cambia l’oggetto da impegnare, il formaggio parmigiano in luogo dei cereali, pur rimanendo simile lo strumento creditizio. Le tasse sul macinato furono molto applicate fino al secolo scorso dovunque fossero stati in commercio i cereali. Allo stato ciò che interessa prima di ogni altra considerazione è la possibilità di utilizzo di quei prodotti anche per chi non ne produce, a condizioni eque di mercato e in quantità sufficienti ai loro fabbisogni. Sembra invece che quei prodotti Cenerentola dell’agricoltura si stiano prendendo una rivincita sulla scarsa valorizzazione ricevuta per lungo tempo. Negli anni ’60 da più parti si favoleggiò che USA e URSS scaricassero in mare aperto navi intere di granaglie per togliere il loro surplus dai canali commerciali e ottenere in tal modo un incremento dei loro prezzi. Allo stato la disponibilità di quei prodotti ha connotazioni diametralmente opposte. Come se non bastasse, il nuovo raccolto, prima dell’estate, si sta avvicinando e ragionevoli e fondati sono i motivi per credere che in Ucraina ai tanti altri, si aggiungerà anche il problema della sua scarsità. Comunque evolverà la triste vicenda bellica in corso, il modo di vivere che ne seguirà sarà profondamente diverso da quello attuale. Resta quindi fin d’ora in braccio alla sorte se gli italiani potranno continuare a mangiare il loro piatto di pasta quotidiana e la pizza almeno una volta a settimana. In campagna già da qualche giorno corre voce che i suoi lavoratori si stiano già facendo una ragione del life style prossimo a concretarsi. Hanno quindi fatto una dichiarazione di principio solennemente messa agli atti della Coldiretti. In essa hanno scritto che sono rassegnati e a malincuore disposti a chiudere i trattori nei garage e a rimettere il giogo alle mucche per lavorare la terra. Ma di limitare il consumo della farina e della pasta non se ne deve nemmeno parlare. Tanto vale anche, se non più, per gli animali stabulati che non hanno nessun interesse per quelle beghe umane. Concludendo il documento con uno stringato quanto efficace invito ai governanti tutti di darsi da fare presto e bene per risolvere la questione. Anche perché loro hanno molto lavoro arretrato a causa della pandemia, in più forti mal di testa, anche di altro genere di quelli dolorosi in senso stretto, e non possono stare appresso alle paturnie di certa gente di città.