Luigi Auriemma: L’arte? E’ un corto circuito tra le dimensioni del visibile e dell’invisibile

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in foto: Luigi Auriemma, "Di origine genetica"

L’Occhio di Leone, ideato dall’artista Giuseppe Leone, è un osservatorio sull’arte visiva che, attraverso gli scritti di critici ed operatori culturali, vuole offrire una lettura di quel che accade nel mondo dell’arte, in Italia e all’estero, avanzando proposte e svolgendo indagini e analisi di rilievo nazionale e internazionale.

di Azzurra Immediato

L’Occhio di Leone continua la sua indagine nell’immenso universo artistico italiano ed internazionale, attraverso il contatto diretto con artisti, curatori, galleristi e addetti ai lavori. Oggi la nostra ricerca, dopo varie peregrinazioni, fa ritorno in Campania, attraverso l’incontro e la testimonianza di Luigi Auriemma, il cui legame con la pratica artistica, per paradosso, si compie mediante ciò che è considerata una vera ‘scarnificazione della pittura’ come si legge dai testi del Museo Madre la cui collezione permanente ospita una sua opera. Auriemma, peraltro, definisce parte della sua proiezione formale come “passeggiate dell’anima”. Lo abbiamo incontrato, ponendogli, naturalmente le note #3domande.

Cos’è per te l’Arte, Luigi?
È un sentire diverso, un vedere altrimenti. È un corto circuito tra il visibile e l’invisibile, è una coscienza sensibile di una visione di catartica spiritualità. È un dialogo tra il sentire e il vedere: il mio sentire (provare una sensazione data da stimoli interni ed esterni) e il vedere il mondo. Inoltre è un’esplorare intorno e dentro al corpo umano (il mio forse), in tutte le direzioni possibili a partire da tutto quello che mi permette un continuo scavo all’interno del corpo nel suo vasto territorio di indagine e la sua visione. Tale visione del corpo altro non è che un sublime, energetico e sensibile indagare il linguaggio dell’arte. Per me il corpo umano altro non è che il corpo dell’opera.

“Hai definito la tua ricerca come “passeggiate dell’anima” ma anche stravolgimento dell’atto iconico stesso del fare arte. Qual è il processo cui dai avvio nel tuo lavoro?
Quelle che ho definito “passeggiate dell’anima” non sono altro che tracciati di trattini “sulle” superfici del vetro, materiale fondamentale nella mia ricerca. Queste linee tratteggiate, tracciate sulle due facce della trasparenza del vetro, quindi divise materialmente ma intrecciate e sovrapposte visivamente. Queste ‘passeggiate’ prendono forma visiva di calcolo della superficie e rete tangibile, che mettono in connessione il mio essere profondo con l’essere profondo del mondo: sono una chiave di accesso per un poetico e profondo scambio tra me e il mondo che mi circonda. Di conseguenza, invece, ‘l’atto iconico’, unico, che ne deriva, si concentra su un possibile percorso fino ad arrivare ad un concettuale atto frammentario, che si nutre del frammento per una contrapposizione iconica tra il visibile e l’invisibile: è un’ultima frontiera del visibile ed il primo atto visibile dell’in-visibile. Dopo questa premessa torno alla tua domanda. Il processo di avvio del mio lavoro tiene presente di tutto una serie di aspetti sia materiali che concettuali, non ultimi quello che prima ho citato. Fondamentalmente mi muovo su una base concettuale, che va al di là del concettuale storico, ormai lontano nel tempo e nella mente ma oserei definirlo più un ‘umanesimo di concetto’. Un umanesimo che si fa strada mediante un pensiero concettuale. Uno studio intorno all’uomo e il suo corpo, inteso nelle varie sfaccettature come corrispettivo e parallelo del corpo dell’opera. Corpo che ha una fisicità ma anche una funzione organica fatta di canali energetici e canali d’irrigazione, che servono a spostare energia e irrorare il corpo dell’opera di “precious liquids” (Louise Bourgeois). Tutto ciò accompagna l’osservatore nei percorsi della visione e della costruzione “genetica” dell’opera.

Chi conosce la tua ricerca anche a partire dal lavoro presente nella collezione del Museo Madre di Napoli, ha visto, nel 2020 del Covid19 e del distanziamento, virare il tuo modus operandi nell’universo virtuale. Raccontaci l’esperienza e cosa hai in progetto per il futuro.
Nel 2020 a causa de Covid-19 il mio percorso artistico ha subito una virata virtuale. Ho partecipato su invito a progetti virtuali organizzati da altri colleghi e istituzioni (ad esempio il Madre) ed uno proposto da me dal titolo “Donami una parola”; questo progetto è nato nel novembre 2019 con una azione performativa al Museo Macro di Roma. L’azione prevedeva la partecipazione attiva da parte del pubblico presente (allora non si era ancora in era Covid-19), che donava una parola, scrivendola su un apposito modello/certificato corredato dai dati personali e firmato. Tutto ciò veniva da me controfirmato, apposto un timbro e una marca a suggellare l’avvenuto “dono”. Questo progetto, successivamente, durante il lockdown, è stato virato nel mondo virtuale. In questo caso ho invitato varie persone del mondo dell’arte come artisti, critici, storici d’arte, scrittori, poeti e filosofi ad inviarmi una parola e il proprio ritratto che elaboravo e sovrapponevo per pubblicarne una al giorno, ogni giorno per ottanta giorni, sui canali social. In questa occasione era il ritratto a fungere da firma (come a dire ci metto la faccia). – ride! – Da questa esperienza poi ho realizzato un video. In questo momento sto lavorando alla musica da abbinare alle 80 immagini in collaborazione col musicista Ilario Pastore. Sempre durante il lockdown sono stato invitato (come ho anticipato prima) dal museo MADRE ad inviare un contributo artistico virtuale per la call to action #iorestoacasa basato sulla condizione che stavamo affrontando in quel momento, nuovo e anomalo, e come stavamo vivendo il distanziamento sociale. Io inviai un’opera con la scritta CORPO tagliata a metà e distanziata sui bordi creando un vuoto centrale (vedi foto). Accompagnava questo mio contributo un piccolo testo che qui mi piacerebbe citare: “Il nostro corpo – diviso, distanziato – ha vissuto nel proprio interno la spaccatura dell’isolamento. Nella sua divisione non si riconosce come parte integrante del mondo. Il suo essere diviso e distante non contempla l’alterità di un altro corpo, ma solo le due metà del proprio. Nella distanza si compie l’integrità dell’isolamento”. Progetti per il futuro comprendono alcune mostre sia in gallerie private che al museo MAC3 di Caserta, che a causa della chiusura e del distanziamento sociale sono state rimandate. L’esperienza di lavorare in virtuale non mi dispiace, fino ad ora il bilancio è stato positivo, sicuramente lavorerò ancora in futuro ma spero al più presto ci sia una ripresa in ‘presenza’ perché è vero che si può fare arte sui social ma per me che prediligo l’istallazione come forma espressiva ho bisogno di presenza e di spazio fisico e reale. Ancora per il futuro ti do delle anticipazioni: prossimamente, spero quanto prima, uscirà un libro fra arte filosofia, una raccolta di poesie e altre pubblicazioni in riviste e antologie, una di queste è l’antologia dei poeti campani “La clessidra”.

Luigi Auriemma, dunque, apre a diversi spunti di riflessione che, se da un lato definiscono la relazione tra artista e spazio museale, dall’altro guardano anche al rapporto con l’universo mondano, sia in maniera prettamente soggettiva, sia in maniera tale da generare una interpolazione tra differenti fuochi ontologici; quel che l’artista campano definisce “un sublime, energetico e sensibile indagare il linguaggio dell’arte” e che porta la matrice unica del corpo umano come soggetto\oggetto di indagine si riflette nel corpo dell’opera. Ancora una volta il corto circuito di pensiero appare lampante e traducibile – e perciò tradotto – dall’artista nei suoi lavori, cui ha saputo affiancare un intenso riflettere nell’ultimo anno e mezzo, dovuto alle contingenze dettate dal Covid19, tali da generare ricerche e progetti del tutto sorprendenti.

in foto Luigi Auriemma
in foto: Luigi Auriemma, “DFDio gene”, collezione Madre, Napoli
in foto Luigi Auriemma, “Stampi poetici”