Di Paolo Savona Altri e meglio di me descriveranno il personaggio Ventriglia; io posso portare solo una limitata ma diretta testimonianza in qualità di direttore generale della Confindustria, Di Paolo Savona Altri e meglio di me descriveranno il personaggio Ventriglia; io posso portare solo una limitata ma diretta testimonianza in qualità di direttore generale della Confindustria, lui direttore generale del Tesoro, e, di seguito, in quella di presidente del Credito Industriale Sardo, lui presidente dell’Isveimer e poi direttore generale del “suo” Banco di Napoli. Qualunque sia il giudizio che è stato o verrà dato sull’opera di Ferdinando Ventriglia, non si può disconoscere che egli fosse professionalmente e umanamente molto dotato, per i suoi studi, per la sua esperienza fatta in posizioni elevate nel mondo dell’economia e per la sua verve tutta napoletana. Keynesiano a oltranza e abile banchiere formatosi all’Ufficio Studi del Banco di Napoli, egli godeva di quella che fu definita una “sovrabbondante contiguità con la politica” che lo portò a svolgere attività di consulenza e ricoprire incarichi ufficiali di grande importanza. Da Direttore generale del Tesoro, incarico ricoperto dal 1975 al 1977, egli dovette affrontare una delle fasi più delicate della storia dell’Italia repubblicana, quella degli “anni di piombo” e della “tassa dello sceicco” che considero il peggiore periodo storico attraversato dalla Repubblica italiana; anche rispetto a quello che stiamo ancora attraversando a seguito della crisi finanziaria mondiale e delle cattive politiche europee seguite per fronteggiarla. Le politiche economiche decise allora non possono essere considerate tra le migliori attuate dall’Italia; l’economia si riprese soprattutto per l’impegno di ristrutturazione delle imprese private, la saggezza delle famiglie e, negli anni Ottanta, per la fiducia che riuscì a ristabilire la leadership di Bettino Craxi e la reazione della maggioranza restata “silenziosa” che si manifestò nella Marcia dei quarantamila a Torino. Ventriglia viene chiamato una prima volta al Ministero del Tesoro da Emilio Colombo nel 1963. Nell’ottobre di quell’anno l’Italia attraversò la prima seria crisi di bilancia dei pagamenti e la lira si trovò sotto attacco. La politica economica del Governo era sostanzialmente etero diretta da Guido Carli per la sua indubbia professionalità e perché aveva dietro di sé il centro di analisi e di proposta meglio organizzato: il Servizio Studi della Banca d’Italia. Carli convinse il ministro del Tesoro Colombo a condividere una stretta monetaria per evitare la svalutazione della lira. Guido Carli e Paolo Baffi erano sovrani assoluti nel governo della creazione monetaria. Non ho diretta esperienza del ruolo avuto da Ventriglia nella vicenda, ma per quanto riguarda la relativa espansione fiscale praticata da Colombo si può ipotizzare che abbia avuto una qualche influenza; in ogni caso il sostegno fiscale alla crescita corrisponde alla sua filosofia keynesiana “spinta”. Agli inizi degli anni Settanta scoppiò la crisi petrolifera e nel luglio 1975 venne registrata la maggiore caduta della produzione industriale. A questa situazione Ventriglia, divenuto direttore generale del Tesoro, reagì proponendo un’espansione inusitata della spesa pubblica. È restata celebre la sua frase che occorresse gettare biglietti da 10 mila lire dalla finestra del ministero, piuttosto simile a quella fatta da Keynes che, in caso di “equilibri di sottooccupazione”, occorresse sotterrare in cumuli di sabbia bottiglie piene di soldi, avviando una corsa all’oro. Non eravamo certo nella fattispecie degli equilibri di sottooccupazione, ma di eccesso di domanda interna e non se ne fece niente. Eravamo di fronte a una perdita netta di ricchezza (“la tassa dello sceicco”) che poteva essere affrontata solo con una ristrutturazione delle imprese (cosa che si fece) unita a un ridimensionamento della spesa pubblica (cosa che non si fece) per evitare il crowding out del settore privato da parte di quello pubblico. L’“Operazione sviluppo” lanciata dalla Confindustria di Carli nel 1978 si può considerare una linea di compromesso tra le tesi avanzate di Ventriglia, con il quale il documento fu discusso, e quelle più equilibrate del Centro Studi confindustriale guidato da Enzo Grilli e Allen Kregel. La giusta preoccupazione di Ventriglia era che il peggioramento della situazione produttiva e occupazionale avrebbe dato fiato alla contestazione del sistema capitalistico mossa all’epoca dalle Brigate Rosse e consciamente o inconsciamente condivisa da una fetta qualificata di intellettuali e da una larga quota della popolazione preoccupata dalla crisi, sulla cui rivolta i terroristi contavano per portare avanti il loro disegno eversivo. La visione di Ventriglia era quindi socio-politica, da cui ne discendeva una economica riguardante la spesa pubblica, la quale si può definire accondiscendente. L’ascesa del Partito Comunista Italiano guidato da Enrico Berlinguer nelle elezioni del 1976 accrebbe la coscienza della Dc guidata da Moro e del Partito Repubblicano guidato da Ugo La Malfa che si dovesse stipulare una accordo di grande coalizione per fermare la crisi economica e politica; si diede vita a quello che è ricordato come “compromesso storico”. Ventriglia era parte integrante e convinta dell’iniziativa. Tuttavia, l’idea di compensare completamente gli effetti dell’aumento dei prezzi dei prodotti petroliferi con una maggiore spesa pubblica non prendeva piede per i timori legati alle consuete precarie condizioni della finanza pubblica italiana. La Banca d’Italia guidata da Baffi ebbe un ruolo frenante molto incisivo, con riconoscimenti internazionali prestigiosi, che più tardi la già ricordata “Marcia dei quarantamila” siglò con pari efficacia. In quel periodo Ventriglia incappò nelle accuse di aver assecondato l’ascesa del finanziere Michele Sindona, ma ne uscì indenne; dovette però lasciare l’incarico di direttore generale del Tesoro “parcheggiandosi” all’Isveimer. Nel 1980 anch’io passai dalla Confindustria al Credito Industriale Sardo e i nostri rapporti si intensificarono, perché eravamo responsabili di due delle tre centrali di finanziamento degli investimenti nel Mezzogiorno (la terza era l’Irfis siciliana) volute da Donato Menichella. Oltre a seguire congiuntamente gli sviluppi d’imprese operanti su ampie aree meridionali, con Ventriglia avevamo concordato che gli imprenditori avevano bisogno di sostegno anche dal lato del capitale di rischio ed egli sostenne fortemente l’operatività della Fime. Nel 1983 l’opera di Ventriglia continuò al Banco di Napoli, dove fu nominato direttore generale e poi amministratore delegato. Non è fuori luogo affermare che, per l’opera coraggiosa di banchiere svolta da Ventriglia, la posizione della Campania ancora oggi abbastanza equilibrata nei saldi dei conti con l’esterno sottrae questa Regione a quello che ho definito “effetto di pentola bucata”, prevalente nelle altre regioni meridionali. La sua attività di banchiere è costellata di successi sovente dimenticati e di errori continuamente ricordati, ignorando che lo sviluppo non è avaro dei primi ed è invece prodigo dei secondi. Un aspetto particolare dell’opera di Ventriglia è il continuo sostegno che diede alle iniziative culturali, nel convincimento che lo sviluppo sia un innalzamento dell’intera società, non solo del suo benessere materiale. Nella sua azione vi è una marca indelebile di questo principio fondante dell’organizzazione civile.
Una firma per ogni anno senza il Professore Andrea Amatucci Mario Bartiromo Carmine Cioppa Ermanno Corsi Federico D’Aniello Mariano D’Antonio Guido Donatone Raffaele Fiume Adriano Gaito Diego Guida Massimo Lo Cicero Ernesto Mazzetti Giovanni Mazzocchi Luigi Nicolais Aldo Pace Sandro Petriccione Paolo Cirino Pomicino Alfonso Ruffo Paolo Savona Sergio Sciarelli