di Azzurra Immediato
“Nei momenti di paura e di angoscia, l’uomo riacquisisce il credo e la fede, cioè quando l’ignoto lo spaventa, egli si rivolge sempre a Dio, al Cristo o alla Croce” afferma Giuseppe Leone che, a 600 chilometri e più di distanza, grazie alla tecnologia, mi pone dinanzi al suo ultimo lavoro, un’opera nata nei giorni scorsi, a ridosso delle ultime ed ovvie restrizioni che hanno reso la Regione Campania, zona rossa, in lockdown, a causa della recrudescenza del Covid 19.
“L’Urlo della fede nascosta” è l’emblematico titolo del lavoro di Leone che rappresenta, nel solco di una ricerca mai sopita, quel ricordo all’emblema atavico dell’ex voto che ritorna, qui, con una eco attuale – come sempre accade nelle opere di Leone – rispecchiamento di una riflessione sull’hic et nunc che, nella retroversione profetica dell’arte, indicava, già in elementi del passato, gli accadimenti futuri, dei quali, giocoforza, siamo protagonisti a vario titolo.
Giuseppe Leone, nel suo studio, guarda il tempo e la vita con la lente dell’arte, seguitando a creare e pensare e viceversa, in un flusso continuo di azione e meditazione, in cui logos e techné sono le due facce della stessa aurea medaglia. “L’Urlo della fede nascosta” si compone – come spesso accade – di diversi e plurimi elementi, divenendo una vera e propria opera installativa. Una croce lacerata è posta su un vecchio pallet di legno, al centro del quale il virus campeggia come allegoria ribaltata della crocifissione. Su tutta l’opera sono conficcate 19 viti rosse ove trovano posto delle mascherine – moderni ex voto – e che in quello “spazio magico che io ritengo quadro, asserisce Leone, è racchiusa una moltitudine di significazioni mediante cui avviene, per catarsi, la sublimazione di angosce, paure. Le viti, ad esempio, si insinuano a poco a poco nelle nostre esistenze, generando nefasti effetti, proprio come simbolicamente i chiodi dei Romani conficcarono la carne del Cristo. La mascherina, in tal modo, assurge al ruolo di allegoria dell’umanità intera, segno e simbolo di una volontà d’aggrapparsi a qualcosa che sia salvifica via d’uscita dall’incubo di questo annus horribilis.
Al colore che inneggia alla vita fa da contraltare la realtà, personificata dalla croce, dai chiodi e quella scrittura afona, segno riconoscibile da decenni della mano di Giuseppe Leone, che, mai come in questo momento, assume la valenza di un silente urlo, quello di chi fa fatica o non può più parlare a causa del virus.
L’universo concettuale creato da Leone è un mondo composito, fatto di sogni, magie, idee e azioni dalla forza profetica, dalla volontà di indagare il reale sia attraverso un flusso di coscienza filosofico sia mediante un approccio empirico che deve tutto alla sete di conoscenza rintracciabile nel quotidiano. In tale commistione risiede anche l’origine de ‘L’Urlo della fede nascosta’, ovvero nella capacità di estrapolare qualcosa di altrimenti invisibile allo sguardo consueto. Leone, ancora una volta, abbatte i limiti del già noto, per editarne le esigenze gnoseologiche e di invito alla riflessione che appartengono alla sua intera e lunga ricerca. In essa confluiscono oggetti, emblemi, materia che sono l’alveo entro il quale la genesi artistica prende vita, traducendosi in quella ‘poesia visiva’ di cui, da sempre, l’artista è latore. Ed ecco, perciò, che anche la nuova opera raffigura la prontezza e la volontà di scorgere nel presente strascichi del passato e di una atavica concezione popolare e scorgere, però, anche tragitti che guardano oltre, verso un altrove ancora ignoto. Imprevedibili risultati coinvolgono la maieutica di Leone, nella quale si fondono continuamente esperienze, intuizioni, rivisitazioni ed inusitate scoperte.
Inutile dire che senza anima un’opera non sopravvive, senza la forza del tormento umano, del tourbillon che cattura la mente e l’animo e che sono pane quotidiano dell’indagine senza sosta di Giuseppe Leone; elementi rintracciabili in ogni suo lavoro, in ogni sua fantasmagoria.
Ed allora, il valore dell’ex voto con cui Leone lavora da sempre, rintracciando nella storia del passato simboli, racconti, emblemi da cui trarre nuova linfa creativa e narrazioni inattese, torna in ‘L’Urlo della fede nascosta’ con una forza immensa, straripante. Una energia che vuole trasformarsi in viatico purificatore, tramite la riflessione dell’arte, la cui bellezza intrinseca risveglia assopite coscienze. Nel proprio monologo interiore, Leone sente la necessità – data dal ruolo di maestro affidatogli anni or sono da intere generazioni di studenti e studiosi – di emergere dal silenzio brutale della solitudine ma anche dall’imperante ed ignorante caos che subissa questi mesi. Al dissolvimento della ragione, l’artista pone di fronte due elementi estremi, quelli della fede e quelli della scienza, in una sorta di dialogo alchemico che procede in una conversazione tendente all’infinito, come l’arte.
L’opera, adesso conservata nell’atelier di Buonalbergo (Bn) diverrà simbolo di un’arte partecipata nel desiderio di nuova condivisione intellettuale, estetica, filosofica e umana, tipica dell’esperienza di Giuseppe Leone.