Macron è annunciato da Fazio domenica sera

in foto Emmanuel Macron

Il presidente francese in cerca di visibilità come un’attricetta sconosciuta in cerca di visibilità. Magari un colpo di sole. Viene a fare campagna elettorale in Italia credendo sia il suo paese. Forse gli è rimasto qualche sassolino nella scarpa e ha trovato finalmente chi glielo tolga. Chissà se verrà in gilet giallo per apparire progressista. Prossimi ospiti saranno Junker e Moscovici. Anche Mattarella, se volesse, potrebbe apparire in TV a Parigi. Basterebbe ritirare l’ambasciatore per pochi giorni. Non ha bisogno di apparire. Il capo dello stato queste sceneggiate non le sa fare. Gli viene da ridere.

Fair play tra gentlemen alla vigilia del derby
Si commemora puntualmente due volte l’anno la povera Anna Frank che sembra tifare da Lassù. Quindi, secondo una raffinata corrente di pensiero, fece la fine che meritava, la stessa che farà la sua squadra. Alla vigilia della gara c’è chi augura sportivamente di finire nei forni crematori pure a zingari e froci. Nostalgia di svastiche che profanano le tombe. Ma i maschi ariani non debbono sentirsi esclusi. Anche loro scambieranno qualche coltellata prima o dopo la partita. In queste occasioni speciali la tifoseria dimentica gli sporchi negri per ampliare i confini del razzismo e della stupidità.

Certi poveri illusi non hanno ancora capito che l’essenziale è vincere
Durante la partita di basket del girone di serie C tra una squadra di Pavia e una di Milano si scopre che c’è un negro di merda che gli stessi avversari insultano. Lui reagisce e li minaccia a gesti. Gli arbitri, appurato che in effetti il negro è di merda, lo espellono. La stessa situazione si verifica a Catanzaro, in un torneo under 18, dove ragazzini baresi scoprono che a compromettere la loro vittoria è uno zingaro di merda, che segna un canestro dopo l’altro. Ormai in Italia la culla del razzismo è lo sport. Non dilaga solo sugli spalti, ma addirittura tra gli atleti, per i quali partecipare non basta più.

La vita è sacra, ma non quanto il selfie
Tre ragazzi in Sicilia assistono a pochi passi dalla riva allo spettacolo del mare in tempesta e ne vengono travolti. La mia generazione si sarebbe messa al riparo. Allora persino gli stolti avvertivano il pericolo. L’istinto di sopravvivenza ci salvava la vita. Oggi non abbiamo neppure quello. Il progresso ce ne ha privato. Il desiderio di selfie è più forte. Alcol e droga – anche per chi non ne fa uso – ma soprattutto esibizionismo, ci hanno abituato a una realtà virtuale, diversa da quella che viviamo. Ne rimaniamo tanto affascinati da lasciarci pure uccidere. Povera generazione destinata al peggio.