Il noto antropologo francese, Marc Augè, ha rivisitato il rapporto città/periferia e ha illustrato il cambiamento del volto dell’urbanizzazione a seguito della globalizzazione, ossia del definirsi di una rete mondiale di comunicazione e di collegamenti. La teoria di questo autore consente una diversa lettura del disastroso evento di Notre-Dame, che ha colpito l’Europa, nonché il mondo intero.
In sostanza, per Augè con il moltiplicarsi dei canali di comunicazione (social network, Internet, media, telefoni) e di collegamento, (aeroporti, aree di attesa, autostrade), ossia dei cosiddetti non-luoghi, vi è stata una trasformazione dalla città-mondo, che contempla al suo interno la diversità e tutti i ceti sociali, al mondo-città che ingloba sempre più in sé la periferia e i canali di collegamento come parti integranti di un’enorme Sé. Parigi e Firenze, come gli altri grandi centri storici d’Europa, ricchi di eventi culturali, con piazze gremite di folle interessate ai monumenti, tendono un po’ a sottrarsi a questo processo, rimarcando ancora una distanza forte tra la città, nel senso antico del termine pre-industriale, e la periferia. In tal senso alla periferia si continua, ancora una volta, ad associare la povertà, la disoccupazione, il degrado, la violenza bruta, la discriminazione. In verità però, oggi, venendo meno nella maggior parte dei casi un centro ben definito, la periferia di un tempo non appare più collocabile in un luogo o in più luoghi ben definiti. E secondo l’ottica sur-moderna, ove il sur di Marc Augè indica l’over-moderno, si è andati ben oltre l’idea tipica della teoria dell’industrializzazione che confinava il pauperismo, la ghettizzazione, la segregazione in aree suburbane di confine con la campagna, e si è sposata l’idea del mondo-città, ritenendo il non-luogo parte integrante del territorio abitato dai cittadini. Dov’è, allora, il non-luogo? In tutte quelle aree di deprivazione relazionale e di scarsa coesione sociale. Di contro, l’antica periferica era un luogo, sì meno ricco, ma in cui si potevano tessere relazioni. È il vuoto del non-luogo che si staglia di fronte a noi e ci spaventa, tuttavia di fronte allo spaesamento dell’uomo liquido contemporaneo colpisce e fa riflettere la partecipazione emotiva di tanti uomini, anche d’Oltreoceano, ai fatti di Francia. Dopo le immagini del rogo di Notre-Dame, molti cittadini del mondo si sono mossi in un’ottica filantropica e di solidarietà, varcando i limiti dello spazio e del tempo per ristabilire un’universalità, quella umana. Orbene, nel mondo post-industriale, sur-moderno, si è, dunque, davvero realizzato un mondo senza frontiere? Veramente non ci sono più confini a seguito di questa circolarità delle comunicazioni e degli spostamenti? Se prima si ergevano i muri, ora davvero i confini sono così porosi? In realtà, le frontiere esistono e, per Augè, servono, in quanto stanno ad indicare la presenza dell’Altro, diverso da me, e il passaggio o transito da un non-luogo, una “zona di vuoto”, uno spazio di solitudine, ad un luogo urbano, nel senso più alto del termine urbs. L’idea di luogo non è rimarcata tanto da elementi spaziali quanto da un cambiamento della qualità delle relazioni e dei di vissuti esistenziali che si proiettano in immagini del reale diverse dall’assenza o carenza? I confini, dunque, ci sono anche nel mondo globale, anzi essi contro ogni ipocrisia, in un mondo definito plurale, consentono il rispetto delle differenze individuali, al di là di qualunque appartenenza culturale e garantiscono il non livellamento su un unico standard esistenziale. L’identità si nutre di pluralità, di relazionalità e la comunicazione informatica, virtuale non sostituisce l’autentica relazione. Ecco perché andiamo a caccia di luoghi, ossia siamo affamati di relazioni autentiche che nelle città esistono ancora, ma per ottenere tale risultato bisogna rinunciare alla rappresentazione antinomica centro-periferia, o periferie per meglio dire, perché non vi è un’unica circonferenza che ha origine da un centro ma tante circonferenze che s’incrociano, s’intersecano, creando l’enorme mondo-città. New York non può essere compresa solo attraverso i suoi grattacieli, o le sue ampie strade, o i suoi monumenti, bensì la sua cifra è l’immensa rete di circolazione e di comunicazione che la relaziona al mondo intero. Ciò è ancor più vero per Parigi e lo dimostrano gli ultimi tragici eventi della cattedrale di Notre-Dame. Un luogo storico d’eccellenza, che si sottrae al binomio centro-periferia, per divenire snodo di relazioni internazionali e di coesione sociale mondiale, proprio nell’ottica del mondo-città nell’era della globalizzazione. Il pianto e le preghiere dei parigini, volti ad esorcizzare il maligno di fronte all’evento di sciagura, ricordano l’origine gotica del monumento e i costumi antichi e medievali di Francia, ma l’impegno di una collettività o comunità umana solidale, che supera i confini nazionali, al fine di ricostruire Notre-Dame, fa assurgere Parigi al ruolo di capitale internazionale, luogo per eccellenza di libertà d’espressione, oltre ogni barriera culturale. Se bisogna “far luogo”, per sfuggire all’isolamento e alla desertificazione dei sentimenti cui sembrerebbe condannarci la globalizzazione, allora recuperare Notre-Dame significa proprio “far luogo”, ossia ritrovare una dimensione umana, non più solo virtuale, di solidarietà, di fraternità, di vicinanza tra i popoli, nella consapevolezza che bisogna attraversare il non-luogo dell’assenza e dell’estraneità. Notre-Dame in fiamme può essere vista da alcuni come il simbolo della crisi spirituale che attraversa l’Europa, ma per tanti può divenire il luogo-legame per eccellenza dell’antica Europa, crogiuolo di culture e razze, fucina di identità diverse, i quali nel presente in un’ottica comunitaria e spirituale decidono di aprirsi a relazioni umane di filantropia. Il mondo-città, dunque, non si è sentito estraneo ai fatti di Parigi e l’antica città-mondo dei Franchi è divenuta il simbolo della solidarietà e della partecipazione, valori propri di una comunità che autenticamente si possa definire umana.