Mercato del Lavoro, Italia tra le ultime del mondo per efficienza: fa peggio di Sierra Leone e Zimbabwe

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Il mercato del Lavoro italiano è all’ultimo posto tra i Paesi della Ue a 28 e 116esimo su 137 censiti nel mondo, in termini di efficienza. Lo afferma un’elaborazione del centro studi ImpresaLavoro, basata sui dati del report ‘The Global Competitiveness Report 2017-2018’, pubblicato dal World Economic Forum. Sempre secondo ImpresaLavoro, l’Italia in termini di efficacia del mercato degli impieghi verrebbe dopo Paesi come Sierra Leone, Zimbabwe e Isola di Capo Verde.
Per quanto riguarda la collaborazione nelle relazioni tra lavoratori e datore di Lavoro – precisa ImpresaLavoro – l’Italia è al 102esimo posto al mondo e quart’ultima tra i Paesi dell’Ue a 28. Il Paese si posiziona come 131esimo e terz’ultimo in Europa per flessibilità nella determinazione dei salari. A prevalere è, infatti, una contrattazione centralizzata e non un modello personalizzato per ogni dipendente. In tema di retribuzioni, sottolinea il centro studi, l’Italia è peggior Paese europeo e 125esimo nel mondo per capacità di legare lo stipendio all’effettiva produttività. Anche l’alta tassazione degli impieghi colloca l’Italia al 21esimo posto in Europa e al 127esimo nel mondo. I dati migliorano se si considera la capacità di attrarre talenti. L’Italia è, infatti, 104esima nel mondo e 18esima in Europa.
“Il nostro mercato del Lavoro – commenta l’imprenditore Massimo Blasoni, presidente del centro studi ImpresaLavoro – contiene difetti strutturali che possono essere risolti solo con politiche di medio-lungo periodo. Invertendo la tendenza all’irrigidimento delle regole che si era verificata con la cosiddetta riforma Fornero, il Jobs act è stato un primo passo nella giusta direzione ma non è stato sufficiente a risolvere da solo i problemi di competitività del nostro sistema”. “Adesso – aggiunge Blasoni – occorre favorire un processo di innovazione anche sul versante della contrattazione e della produttività, incoraggiando contratti di prossimità e un maggior rapporto tra salari e produttività, anche e soprattutto attraverso regimi fiscali di favore nei confronti di accordi che premiano risultati ed efficienza”.