Arte, da Firenze a Napoli: scoppia il caso delle copie digitali certificate

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Esplode con un servizio delle Iene su Italia 1 il caso degli Nft nei musei italiani. La sigla sta per Not fungible token e si riferisce – per dirla con parole semplici – a un speciale documento digitale che certifica la proprietà e l’autenticità di un bene attraverso la registrazione in un albo pubblico, la blockchain. Nel caso specifico, gli Nft riguardano quadri o meglio riproduzioni digitali a grandezza naturale di opere d’arte che “vivono” su uno schermo.

Proprio attorno a questo tipo di prodotti negli ultimi anni è fiorito un mercato ricchissimo che ha finito per coinvolgere in Italia decine di capolavori, come quelli degli Uffizi di Firenze, copiati digitalmente grazie ad accordi tra le direzione museali e aziende specializzate. L’unicità delle riproduzioni, certificata dalla blockchain, ha infatti trasformato questi oggetti in veri e propri pezzi da collezione appetibili per privati, musei e organizzatori di mostre. Tanto da essere venduti anche per centinaia di migliaia di euro.

Proprio sui contratti siglati, in merito ai quali il ministero della Cultura ha già un anno fa stoppato il rinnovo e aperto un tavolo di consultazione per la creazione di nuove linee guida, è esplosa la polemica. Gli inviati della trasmissione di Italia 1 hanno, infatti, sottolineato come tutte le intese siano state siglate con una sola società, la Cinello di Milano, che commercializza le copie digitali. I musei coinvolti, da quanto spiegano, sono 11. Oltre agli Uffizi vengono citati nel servizio anche “la Pinacoteca di Brera, la Reggia di Caserta, il museo Capodimonte di Napoli”.

In base al contratto tra le parti, i proventi sono divisi al 50 per cento tra la Cinello e il museo. Una percentuale che però, secondo i giornalisti delle Iene, è penalizzante per lo Stato. Punto di domanda: perché non si è scelto di fare una gara per scegliere a quale azienda sul mercato affidare le proprie opere? Ai microfoni della trasmissione e successivamente attraverso un comunicato, il direttore degli Uffizi Eike Schmidt ha chiarito che il contratto con Cinello è scaduto nel 2021 e non è stato rinnovato, che la gara non si è fatta perché le leggi in essere non lo prevedono e che soprattutto non esiste un’esclusiva di quell’azienda, “la proprietà delle opere rimane saldamente allo Stato”, assicura.

Intanto però sul sito Cinello le opere continuano ad apparire nel catalogo di quelle disponibili: dal celeberrimo Tondo Doni di Michelangelo alla Madonna del Cardellino di Raffaello ci sono tutti i 40 capolavori che gli Uffizi avevano selezionato nel 2016 per il Daw. Così come la Scapigliata di Leonardo della Pilotta di Parma, la canestra di frutta di Michelangelo esposta alla Braidense di Milano, il bacio di Hayez della Pinacoteca di Brera, l’Ecce Homo di Battistello Caracciolo di Capodimonte. “Le continuiamo a vendere perché sono di nostra proprietà. Il diritto è acquisito da Cinello. Quindi su quell’opera lì basta”, risponde alle Iene Franco Losi, uno dei due fondatori dell’azienda. Eppure i contratti con i musei prevedono che la vendita di una copia digitale è comunque subordinata all’ok del museo e del ministero. Chi avrà ragione?

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