Musella (Rorò 69): Spaccanapoli, economia in ginocchio. Artigianato, una mazzata senza precedenti

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di Rosina Musella

Nel 2020 da poco conclusosi il settore turistico e la catena da esso alimentata hanno subito una grossa stangata. Simonetta Giordani, segretario generale dell’Associazione Civita dice ai microfoni dell’Ansa il 9 dicembre scorso: “Un quarto delle presenze turistiche in Italia, fino allo scorso anno, erano legate alla fruizione delle città d’arte, di cui il 60% connesso al turismo straniero, per lo più alto spendente”. Città d’arte che negli ultimi anni avevano registrato un trend in crescita, spazzato via dai difficili eventi che hanno caratterizzato l’anno appena trascorso. Un duro colpo anche per il settore aereo, con stime di ripresa a partire solo dal 2023, e il sistema museale che da marzo a maggio 2020 ha contato 78 milioni di euro di perdite. Nella stessa occasione l’assessore alla Cultura, Tommaso Sacchi, invita a “ripensare le nostre città. Non è più possibile, ad esempio, progettare un museo senza pensare a quello che abbiamo vissuto. La distanza interpersonale sarà fondamentale”. La Giordani conclude l’incontro inquadrando quella che potrebbe essere la nuova forma di turismo da sviluppare in Italia: lento, rivolto ai borghi e le piccole città d’arte, e di qualità, costruito su una collaborazione tra pubblico e privato.
Per l’ultimo articolo di questo ciclo dedicato alle attività del Centro Storico di Napoli e per parlare degli effetti della mancanza di turismo estero ed italiano nella nostra regione abbiamo intervistato Gaetano Musella, proprietario del negozio Rorò 69 sito in Via Domenico Capitelli dal 2015 e specializzato nella produzione artigianale di oggetti artistici per l’arredamento interno e la decorazione delle case su supporti di vario tipo.

Quanto ha inciso il Covid-19 sulla vostra attività?

Abbiamo avuto una perdita complessiva tra il 50 e il 70% e tutta la zona di Spaccanapoli ha vissuto un calo simile. Questo perché anche i palazzi della zona sono principalmente adibiti a Bed&Breakfast, alberghi o attività connesse all’ambito artistico. Quindi al momento risentiamo non solo della mancanza di turisti, ma anche della scarsa densità abitativa del quartiere, non molto popolato rispetto altre zone di Napoli.

Tra norme per il distanziamento e limitazioni al turismo cosa ha inciso più in negativo?

Mentre altri quartieri di Napoli e la provincia dipendono meno dal turismo, per la nostra strada esso è fondamentale, quindi il nostro fatturato si è ridotto drasticamente. Norme meno restrittive per ciò che riguarda il distanziamento interpersonale ci permetterebbero di avere perdite meno incisive, ma la gran parte dei nostri incassi è legata ai turisti. Alla limitazione esterna che ha bloccato gli scambi con altri Paesi si è aggiunta quella interna tra regioni e, a peggiorare le cose, c’è stato il passaggio in zona arancione che non ha permesso gli spostamenti tra comuni, portando ad una perdita totale. Quindi meno limitazioni ci permetterebbero di guadagnare qualcosa in più, ma lasciandoci sempre lontanissimi dalla media degli introiti annuali.

Com’era la situazione commerciale nel periodo natalizio degli scorsi anni?

Negli anni passati l’incremento del fatturato si registrava dagli ultimi giorni di novembre crescendo fino al 24 dicembre. L’ultima settimana dell’anno vi era poi un’ulteriore crescita, dipesa principalmente dai turisti italiani ed esteri che venivano qui a Napoli a trascorrere il Capodanno. Un’attività artigianale sopratutto in una zona come Spaccanapoli attende il periodo natalizio perché costituisce buona parte del guadagno annuale, anche grazie alla presenza di turisti che vengono da tutto il mondo attratti da via San Gregorio Armeno, che rappresenta un’unicità a livello mondiale; difatti iniziamo a lavorare alla produzione natalizia già dai mesi estivi. Quest’anno, però, come previsto c’è stato un crollo drastico dovuto alla mancata presenza turistica, aggravato dalle restrizioni necessarie per contenere il contagio. Maggiore causa di preoccupazione sono tuttavia i prossimi mesi, perché non vediamo in prospettiva aiuti da parte delle istituzioni. Sentiamo spesso dire che l’Italia debba rifarsi al modello tedesco che ha imposto un lockdown rigidissimo, ma pare che ci si dimentichi che lo stesso modello tedesco garantisce alle attività chiuse il 75% degli introiti in riferimento allo stesso mese dell’anno precedente. Motivo per cui, al momento, come negozianti ci sentiamo abbandonati a noi stessi.