Napoli 2020, stampa estera: Così la città può ripartire

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Non si può pensare ad uno sviluppo economico di Napoli senza un intervento forte sul contesto sociale della città: questo è il messaggio che giunge da Villa Pignatelli dove imprenditori, intellettuali, giornalisti, economisti e rappresentanti delle istituzioni si sono riuniti per un confronto a più voci sul futuro della regione e del suo capoluogo. “Scommettere su Napoli”, questo il titolo del convegno organizzato nell’ambito dell’edizione 2016 di Napoli 2020.

Al tavolo cento tra i rappresentanti più autorevoli della cosiddetta società civile, a cominciare da Marco Zigon, presidente di Matching Energies Foundation (ente promotore dell’incontro insieme a Srm) e tre ospiti d’eccezione, i corrispondenti del Los Angeles Times Tom Kington, del Quotidiano del Popolo Lei Zhang e del Frankfurter Allgemeine Zeitung Tobias Piller.

Ad aprire il dibattito sono i saluti di Mariella Utili, sovrintendente del Polo museale della Campania, che per l’occasione veste anche i panni del“ospite di casa”. Lo fa ricordando il “grande sforzo” che la Campania sta facendo in campo culturale in questi ultimi anni. Uno sforzo che si evidenza “non tanto nei numeri di siti rinomati come Pompei ma in quelli come Palazzo reale dove si sta assistendo ad una crescita costante di visitatori”.

L’analisi della situazione socioeconomica della regione è invece affidata alle relazioni tecniche di Paolo Emilio Mistrulli di Banca D’Italia, e di Massimo  Deandreis di Srm. I dati che emergono dalle slide che scorrono velocemente parlano di una Campania in grave ritardo rispetto al resto del Paese. “Con la crisi degli ultimi anni – spiega Mistrulli – la regione ha perso dal 2008 al 2014 oltre dieci punti del Pil, due punti in più rispetto al dato registrato a livello nazionale. Nello stesso periodo si sono contratti anche gli investimenti privati e quelli pubblici per le infrastrutture”. Una situazione di difficoltà che si evidenzia anche in altri due dati molto significativi, quelli legati a internazionalizzazione e dipendenza dalla pubblica amministrazione. Solo il 15% delle imprese campane infatti pensa al mercato estero come un possibile sbocco. Oltre l’8,8% delle stesse ha come primo committente la Pubblica Amministrazione. “Percentuali che se rapportate a quelle del resto del Paese rendono palese – conclude Mistrulli- dove si debba intervenire”.

Parte da questi numeri Deandreis per approfondire il discorso. “I dati congiunturali ci dicono che siamo dimagriti ma non quanto pesiamo. Questo dobbiamo dirlo noi. Forse non tutti sanno che il Mezzogiorno ha un Pil pari a quello di Paesi come la Norvegia e l’Austria o che la Campania in termini di prodotto interno lordo compete con Slovacchia o Ungheria”. Il quadro che emerge dall’analisi è quella di un territorio in cui ci sono aree di eccellenza come quelle dei distretti o delle filiere produttive legate alle quattro Automotive, aeronautico, agroalimentare, abbigliamento, e anche zone di crisi. “Resta un punto interrogativo – conclude Deandreis – E’ indubbio che la forza produttiva del mezzogiorno si esprime soprattutto in Campania. Sapra Napoli intepreprate il ruolo di capitale e rappresentare questo ruolo chiave?”.

L’analisi è ripresa da Marco Zigon, presidente di Matching Energies Foundation. “Al di là dell’eccellenza della singola impresa – dice – a imporsi è la capacità di fare sistema, la stessa che oggi troppo spesso ci manca”. Altro passo fondamentale per dare una risposta all’interrogativo proposto è comprendere che “economia e contesto sociale rappresentano a Napoli è un binomio inscindibile, al punto tale che se non si affronta un problema non si può risolvere l’altro e viceversa”. Quello che preoccupa maggiormente, continua Zigon, “non è il degrado infrastrutturale ma sono le macerie morali che abbiamo di fronte”. Il monito per questo è a “declinare un nuovo racconto, un nuovo progetto per la città. Lo dobbiamo fare – conclude il patron di Matching Energies Foundation – mettendo in campo la capacità di sviluppare un’economia sana e un contesto in cui certi valori possano tornare a contare”.

Proprio di Napoli si è occupato Domenico De Masi, professore di Sociologia del lavoro all’Università “La Sapienza” di Roma, in una sua recente pubblicazione. “Questa ricerca – spiega il docente al tavolo della conferenza – ha analizzato la situazione della città da sette punti di vista, popolazione, economia e lavoro, tempo libero, servizi, società e cultura, devianza e giustizia, classe dirigente”. Quello che se ne ricava è un quadro a tinte fosche ma anche con alcuni punti di luce, come nel turismo. Da qui al 2015, prevede De Masi “si punterà sul risanamento del centro storico e di Bagnoli. Napoli diventerà un sistema produttivo di servizi culturali che saranno parte integrante dell’esperienza del visitatore. Accanto al turismo tradizionale si affermeranno forme di turismo eno-gastronomico e altre offerte profilate. Aumenterà la partnership tra pubblico e privato”.

 

Isaia Sales, docente di Storia delle mafie al Suor Orsola Benincasa, guarda al futuro da un’ottica diversa. “Uno dei fattori di maggior condizionamento per lo sviluppo della città – spiega – è la criminalità organizzata che ha avuto qui un’evoluzione diversa rispetto ad altre realtà del mondo. Nonostante Napoli non sia, in base ai dati, tra le città più pericolose d’Europa e del Mondo, è percepita come tale perché qui il recinto della malavita corrisponde al centro storico, la zona più frequentata dai turisti”. Un elemento che ha inciso negativamente soprattutto negli ultimi anni. “Fin quando c’è stato qui un equilibrio tra l’economia legale e quella illegale, fin quando cioè c’è stata per i giovani l’opportunità di scegliere tra il lavoro in bottega e lo spaccio di droga si è mantenuta una certa pace sociale. Quando si è rotto questo equilibrio Napoli è finita in ciò che è adesso”. L’unica via di risalita per Sales è dunque quella che passa per il “risanamento del centro storico, la vera opera incompiuta della città”.

Di “croce del Sud” parla invece l’economista Massimo Lo Cicero facendo riferimento all’asse Bari-Milano a cui non fa ancora da contraltare quello formato da Napoli e Torino. “Napoli ha tante potenzialità dal punto di vista produttivo che però vanno inquadrate in scelte di politica economica nazionale” dice. Il monito è lanciato al governo ma anche agli amministratori locali, “posti con le nuove norme alla guida di vere e proprie aziende in cui il bene principale da salvaguardare non è più quello della cittadinanza ma quello dei dipendenti”. Che la sfida non sia semplice lo ammette anche l’assessore regionale alle Attività Produttive Amedeo Lepore che però guarda avanti con ottimismo. “Punto cruciale è far ripartire gli investimenti – dice l’assessore – Stiamo cercando di farlo invertendo la tendenza degli ultimi anni, evitando cioè interventi frammentari e puntando alla realizzazione di una vera e propria politica industriale”. A tal proposito Lepore ricorda la realizzazione di un ufficio per l’internazionalizzazione e rivela che “a breve ci sarà l’approvazione delle nuove norme in tema di semplificazione nonché la riforma dei consorzi Asi”. Napoli, conclude, è “una città difficile ma anche una città che cambia, dobbiamo sapere guardare a questo cambiamento”. Di qui l’impegno è a istituire un tavolo di discussione permanente sul futuro del capoluogo.

La parola passa dunque ai rappresentanti della stampa estera. Per Tobias Piller Napoli dovrebbe imparare ad usare il sistema del benchmarking (del confronto) in modo sistemico, dovrebbe cioè analizzare con più attenzione realtà simili di maggior successo per capire dove qui si è fallito. “Se Torino, per esempio, ha raddoppiato il numero di visitatori da 1 milione e mezzo di notti in albergo a 3 milioni – analizza Piller –è perché ha saputo puntare su leve solide come gli eventi e il buongusto. Cosa che non è riuscita a fare Napoli che oggi, sembra strano, fa la metà dei numeri della città piemontese. La stessa cosa vale per Malta, molto più piccola del capoluogo campano, che di milioni di notti ne fa addirittura 12 milioni solo sfruttando il mare”. Piller invita a guardare con più attenzione allo sviluppo del “seafront”, ossia al fronte mare dove “molti burocratici hanno casa o ufficio”. Per il giornalista tedesco si tratta di una potenzialità finora inespressa o meglio “sprecata”. Una convinzione che lo spinge a dire che “un progetto di rilancio della città non può non partire dallo sfruttamento di questo valore con la creazione di nuovi alberghi fronte mare”.
Il problema delle scelte politiche da compiere non è sottovalutato da Alessandro Barbano, direttore del Mattino, secondo cui “la vera sfida per Napoli è quella di accorciare la forbice tra la cosiddetta borghesia e il mondo della politica cittadina”. Un richiamo fatto soprattutto agli imprenditori e gli intellettuali che dovrebbero essere più vicini alla città e non solo a pochi mesi dalle elezioni: “Sarebbe bello – conclude – se ognuno di loro si candidasse nelle liste della loro circoscrizione”.
Per Zhang Lei, corrispondente del Quotidiano del Popolo, ciò che manca alla città di Napoli è lo “spirito competitivo”. Se qui ci sono “risorse enormi che non riescono ad emergere – dice il giornalista cinese – è perché manca quella cultura dell’impresa che esiste in altre aree del mondo”. Altro fattore determinante per presentarsi a mercati ampi come quello cinese la “collaborazione” tra imprese che non sempre è presente in Italia.
In elezioni in cui si presentano per la prima volta “tre radicalismi diversi, quello di De Magistris, dei grillini e di Renzi”, dice poi, Marco Demarco, editorialista del Corriere della Sera, ciò che serve realmente a Napoli è “un po’ di radicalismo nelle scelte da compiere”. Riprendendo le proposte di Sales e di Piller, l’ex direttore del Corriere del Mezzogiorno invita a seguire almeno una delle strade indicate. “Ho sentito parlare del rilancio del centro storico e della riconversione del seafront – conclude Demarco – Sono due proposte valide: decidiamo”.
Tom Kington, corrispondente del Los Angeles Times, parte simbolicamente dall’elenco di servizi da lui realizzati su Napoli, tutti riguardanti fatti di camorra, per sottolineare quali sono i problemi da affrontare senza mettere la testa sotto la sabbia. Lo fa anche utilizzando un esempio. “A Roma – dice – la città oggi appare nel degrado fisico e morale. La colpa certo è di chi ha governato ma anche dei romani che non hanno voluto vedere lo sfascio evidente già da anni. Ecco dove porta l’ignorare i problemi”.
Al dibattito intervengono anche Paolo Grassi, capo redattore centrale del Corriere del Mezzogiorno, che a fronte dei dati snocciolati sottolinea la presenza di una “economia illegale” per nulla in crisi, Rosalba Impronta, imprenditrice e fondatrice di Made in cloister, che parla della vivacità delle attività nel centro storico di Napoli. Prendono poi la parola Antonio Ricciardi, economista dell’Ipe, per illustrare le iniziative messe in campo dall’ente per “creare un freno alla fuga dei cervelli”, Francesca Zardini, responsabile della Comunicazione del San Carlo, per rimarcare quanto Napoli sia “eccellente in termini di proposta artistica da parte dei teatri del centro storico” e Nicola Mozzillo, medico, per sottolineare l’importanza della Sanità come “leva di sviluppo”. 

Quindi tocca al costruttore Domenico Giustino ricordare il più volte citato padre Enzo che fu tra i promotori del Regno del Possibile, mentre Pierpaolo Forte, presidente del Museo Madre, evidenzia, ancora una volta, come l’arte possa diventare per il territorio un motore aggiunto “non solo in chiave turistica”. Il giovane sindaco di Ercolano Ciro Buonajuto invita la classe dirigente della regione a lavorare per far crescere la cultura del lavoro. “Se all’estero si parla di Napoli solo per fatti di camorra è anche colpa nostra – dice – Dobbiamo essere tutti più ambiziosi e metter in campo più coraggio”. E Ottavio Ragone, caporedattore di Repubblica Napoli, conclude invitando la città a “lasciarsi alle spalle le sindromi del complotto e dell’accerchiamento”.

 

Napoli 2020