Napoli capitale. O il paese dei balocchi

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Come sempre in campagna elettorale torna ad affacciarsi l’interrogativo sulla possibilità-capacità dei napoletani di dare alla loro città una credibile forma di governo che la sottragga al destino declinante che sembra doverle toccare nonostante qualche nota incoraggiante che si distingue come la rondine che non fa primavera.
Non è solo una questione di uomini quanto, e forse soprattutto, d’immaginare un sistema istituzionale e poi operativo che sappia dare forza e valore alla particolarità del luogo, alla sua unicità, all’incredibile intreccio di bene e male che sempre la contraddistingue e che la rende così poco ordinaria e quindi straordinaria.
Napoli è un luogo non luogo. Un territorio e ancor più un’anima religiosissima e laica come dimostra il rapporto viscerale e diretto col Santo Patrono, Gennaro, che accettando di sciogliere il proprio sangue coagulato in giorni stabiliti dalla tradizione vive e lotta in mezzo a una popolazione nobile e lazzarona. Dunque, Napoli non è e non può essere un municipio come un altro.
E non può essere gestita come una città comune perché comune non è.
Ex capitale di un Regno durato tra una storia e l’altra mille anni non può rassegnarsi ad accettare un rango inferiore e infatti lo rifiuta mettendosi in mostra con il suo irripetibile repertorio di buone e cattive azioni. Da qui le proposte più o meno timide di garantirle uno stato speciale: Napoli – la sua area metropolitana, quasi l’intera regione con i suoi scarsi 6 milioni di abitanti – potrebbe ben aspirare al riconoscimento di Città-Stato con tutto quello che consegue in termini di organizzazione e lustro.
Padrona di se stessa, finalmente libera dal giogo nazionale. Il più recente e illustre esempio di trasformazioni clamorose, impensabile prima di averne avuto esperienza, riguarda l’ex villaggio di pescatori stretto tra la grande Cina e la caotica Malesia conosciuto come Singapore e passato in trent’anni dalla più assoluta povertà alla più elevata ricchezza in termini di prodotto per abitante. Quando il padre fondatore della presente piccola repubblica indipendente decise d’impegnarsi in quella che appariva come la tredicesima fatica di Ercole aveva ben chiaro che l’obiettivo si poteva raggiungere tanto prima e tanto meglio quanto meno improvvisazione mediocrità e criminalità sarebbero state tollerate.
Dunque, con pugno di ferro in guanto d’acciaio si è proceduto a incarcerare e punire anche con la fustigazione chiunque si fosse macchiato di un delitto a partire dall’abbandono in strada di una cicca di gomma masticante. La tolleranza zero inaugurata poi a New York da Rudolph Giuliani sarebbe stata una pallida imitazione. Si è poi investito massicciamente nel sistema scolastico relegando la lingua locale, il tamil, a nostalgico dialetto per imporre lo studio collettivo d’inglese e cinese. La ricerca dell’eccellenza ha contagiato ogni attività. Il segreto del successo, perseguito con furia e costanza, è nella formula magica Merito-Merito- Merito. Solo così – assicurando l’esplicazione dei diritti e pretendendo il rispetto dei doveri con la garanzia di poter contare su efficienza e certezza in ogni campo d’azione (nell’investimento privato, nell’amministrazione della cosa pubblica, nella gestione della giustizia) – è stato possibile attirare centinaia di multinazionali e i loro soldi. Ecco. Se si ricerca l’indipendenza e con essa un più elevato benessere per il maggior numero possibile di persone occorre essere all’altezza della sfida accettando i rischi e i costi dell’emancipazione.
Mai come in questo caso Libertà fa rima con Responsabilità. Non si può fare festa a spesa degli altri.
Non c’è futuro per il paese dei balocchi.