Napoli ha bisogno di Warhol, ma Warhol per farsi conoscere ha bisogno dell’interpretazione

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Di nuovo Warhol a Napoli. Bene. La cadenza temporale delle mostre a Napoli delle sue opere è davvero notevole, forse, pari solo alle infinite mostre su Caravaggio che continuano a susseguirsi in città. Poco male, anzi. Una città che sta aprendosi all’arte contemporanea ha bisogno di questi personaggi che hanno legato ad essa vita ed opere, per farsi affascinare e magari condurre alla scoperta di atri autori. La serie di mostre dedicate a Warhol comincia nel 2010, quando alla Domus Artis Gallery fu organizzata: ”Omaggio a Drella”. Drella, fusione delle figure di Dracula e Cinderella in cui Warhol era spesso identificato. La luna bianca e la luna nera. La Domus Artis si trovava via Cuoco vicinissima a Piazza dei Martiri dove Lucio Amelio aveva la sua galleria. Esporre Warhol in quella zona significava proprio rimarcare il suo legame con Amelio e la città. Si ammirarono dai Flowers dei primi anni Sessanta ai ritratti di Marylin Monroe e Mao Tse-Tung, dalla celeberrima Campbell’s soup can a Vesuvius, dall’ironica Declaration of independence alla suggestiva Detail of Reinassence painting, passando per le cover degli album dei Velvet. Ingresso gratuito.
Fu poi la volta, nel 2014 di “Vetrine”. 180 opere che mostravano il legame dell’artista con la città di Napoli, oh che novità, provenienti da collezioni private italiane, alle quali si aggiunse il prestito di due opere-cardine del rapporto intrattenuto dall’artista con la città di Napoli, conservate alla Reggia di Caserta e al Museo di Capodimonte: Terrae Motus e Fate Presto. Il nucleo principale delle opere erano le vedute Napoliroid, la storica serie Marilyn del 1967 e quella firmata nel 1985 da Warhol con la scritta «questa non è mia». Mostra a pagamento, costo del biglietto 8 euro.
Ancora nel 2017, ieri praticamente, a palazzo Zevallos una nuova mostra dell’“americano a Napoli” dove si poterono ammirare le due serigrafie dei Vesuvius Rosso e Vesuvius Nero biglietto unico per la mostra e le collezioni permanenti: 5 €.
Qualche giorno fa, il 26 settembre, nella Basilica della Pietrasanta una nuova Mostra: la Vera Essenza di Warhol. Tutti in piedi e battete le mani gracchiava nel microfono un rocker partenopeo. Certo, applausi. Warhol vale 1000 mostre.
Il pubblico potrà scoprire nuovi aspetti di una produzione grazie alla quale la geniale personalità di Castelli fornì all’America il modo per ristabilire quell’ordine tra buoni e cattivi, a lei tanto caro. Nel momento in cui De Gaulle nel 1958 fece uscire la Francia dalla Nato, l’Italia nel 1962 proclamò la nascita del centrosinistra, e in Germania ci fu una grande serie di scioperi, l’ ordine rassicurante su cui fondavano le certezze dell’America cominciò a vacillare. Ecco la trovata geniale di Castelli: l’invasione del mercato italiano ed europeo di nuove immagini completamente diverse che relegarono l‘arte italiana ed europea in periferia. Fu il momento della pop art. Fu il momento di Andy Warhol e di quelle immagini che rappresentavano ciò che in un lontano futuro sarebbe stato ricordato del 20 secolo. Cosa resterà di questi anni. Il mondo dell’arte non sarebbe stato più lo stesso Ecco Marilyn, ecco il Vesuvio nelle infinite versioni, ecco il terremoto. Oltre 20000 lavori, tra dipinti, serigrafie, disegni, stampe e fotografie. Un genio prolifico, anche grazie alla tecnologia.
In questa ultima mostra napoletana le 200 opere in mostra sono per lo più quelle che abbiamo potuto ammirare nelle precedenti esposizioni. Poca novità. Quadri e istallazioni esposti nella solita maniera, magari con un guizzo di diversità nella scelta delle sequenze, opera più, opera meno. Marilyn, Mao, Il Vesuvio, le Napoliroid…pescate a caso dai cataloghi delle mostre precedenti in città e le ritroverete tutte, magari con un ordine espositivo diverso. Le mostre a volte sono a pagamento, a volte no. Un buon livello di interesse. Quello di chi può riconoscere le cose che Warhol prendeva dalla strada, dal cinema, dai rotocalchi e le portava nei musei. I visitatori sebbene affascinati dai nuovi modi dell’arte non se ne fanno pervadere. Il coinvolgimento è una meta abbastanza lontana, l’emozione poco frequentata. Grazie alla ripetizione delle opere esposte c’è anche chi può vestire i panni del’intenditore. “Ahilvesuviomarilynmao” oppure “mi piace quella rosa, quella blu, il Vesuvio di tanti colori” . Un po’ di sufficienza, un pizzico di noia. E’ Warhol pero’, non si può mancare. Così non va. Un artista da 20000 opere non può essere rappresentato sempre dalle solite 200. Magari potrebbe anche, se ogni esposizione fosse davvero mirata a sottolineare un aspetto di quela produzione: una volta la tecnica, una volta il colore, una volta i soggetti. L’intento di Warhol era quello di penetrare negli occhi e nella mente dell’osservatore e trasformare per sempre il suo modo di vedere le cose. Esporre per esempio la serie di car trash, gli incidenti d’auto, che innegabilmente hanno segnato tutto il mondo occidentale avrebbe sicuramente suscitato curiosità e anche voglia d’approfondimento. I riferimenti a James Dean, a Kennedy e a tutti i vip che ebbero incidenti d’auto avrebbe avuto l’intento di far riflettere sul fenomeno, peraltro drammaticamente attuale, e avrebbe provocato autoidentificazione, emozione. Certo anche Terrae Motus ricorda qualcosa che tutti a Napoli hanno vissuto. E allora un rombo lontano, un po’ di tremolio di luci avrebbero potuto allontanare l’indifferenza di chi, pur non conoscendo, constata semplicemente di aver già vista, sentendosi per questo profondamente conoscitore. Napoli ha bisogno dell’arte contemporanea ma senza interpretazione anche un genio come Warhol non è valorizzato a dovere.