di Fiorella Franchini
Ci sono molti modi di raccontare una città e descrivere Napoli è ancora più difficile, perché ci si scontra con i luoghi comuni, con una cronaca assordante, con una storia complessa. Sono tanti i punti di vista da cui osservarla e ben lo sa un cronista esperto come Vittorio Del Tufo che ha scelto di guardarla attraverso quel complesso di credenze, racconti, miti, frammenti, di accadimenti che costituiscono una sorta di coscienza profonda e che ha raccolto in “Napoli Magica” edito da Neri Pozza. Prima di lui ci hanno già provato nel 1881 Matilde Serao con Leggende napoletane che, mentre raccontava il fantastico di Napoli, spingeva ad abbandonare questo genere verso una scrittura più realistica di utilità sociale e, sicuramente, Del Tufo pur recuperando la meraviglia, non tralascia l’elemento doloroso e tragico, quello che conduce allo studio sociale.
Con Storie e leggende napoletane, libro nato per ricordare Bartolomeo Capasso, grande storico partenopeo, Benedetto Croce, nel 1919, con benevolenza e studio, ha evocato i racconti che ancora impregnano l’aria dei luoghi. Un insieme di vicende cui il filosofo si dichiarava legato da una profonda partecipazione. “Il legame sentimentale col passato prepara e aiuta l’intelligenza storica, condizione di ogni vero avanzamento civile, e soprattutto assai ingentilisce gli animi” dichiarava, e Del Tufo prosegue con lo stesso fervore questa passeggiata attraverso i secoli, le cronache, le passioni.
Alcuni luoghi parlano con voce chiara, certi palazzi superbi vogliono a tutti i costi un delitto; certe vecchie stanze esigono di essere popolate da fantasmi, i cunicoli reclamano i propri demoni, altri angoli sembrano ancora in attesa della leggenda giusta. I passi hanno un rumore particolare quando calpestano il selciato del centro storico, i vicoli e i decumani che uniscono la chiesa di San Domenico Maggiore, la Cappella Sansevero e Piazzetta Nilo, la Chiesa della Pietrasanta, Palazzo Penne.
La narrazione rievoca sacerdoti egizi diretti al Tempio di Iside, processioni di Menadi, il principe di Sansevero, Maria D’Avalos e Fabrizio Carafa e, verso il mare, Virgilio, Parthenope e Vedio Pollione. “La leggenda è il rumore che sta sotto alla storia. A volte è un canto. A volte un grido. A volte un suono stridente” scrive Andrea Carandini e la magia raccontata da Vittorio Del Tufo combina in maniera così straordinaria gli elementi storici, i simboli, i suoni, i colori, le danze, i gesti, le parole che il valore antropologico diventa una percezione spirituale.
E’ come se la città stessa si raccontasse incessantemente, in una perenne rappresentazione teatrale, quello che Jean Noel Schifanò definisce barocco esistenziale in cui tutto si muove, muta, si trasfigura, si clona fino alle estreme sensazioni. Avverte Vittorio Del Tufo nell’introduzione: – Le città non sono solo opera degli urbanisti e degli architetti, oppure del caso, ma prendono forma grazie agli sguardi degli uomini che le attraversano. Sono paesaggi dell’animo, come sostenne Calvino. «Alveare di pietra», Napoli conserva ogni segno della propria complessità. Perciò non esiste una Napoli immota. Lascia davanti al viandante, sotto i suoi stessi piedi, pezzi di passato, ricchi di fascino perfino quando sono fatiscenti. – In questo intrecciarsi di spazio e tempo, l’autore evita con cura le lenti deformanti della nostalgia e del folclore, senza rinunciare alla denuncia delle ambiguità perché il giornalista regge sempre il timone, in Napoli Magica, in Trentaremi, come nella rubrica domenicale L’Uovo di Virgilio sul Mattino. La storia ha le sue verità, e così la leggenda, entrambe hanno la stessa finalità: “Tratteggiare l’uomo eterno attraverso gli uomini caduchi” e, in quest’ottica, il percorso dentro la città appare come un viaggio iniziatico alla ricerca di una verità ancora celata.
D’altra parte Napoli è la culla della storia esoterica del Mediterraneo, dove l’esoterismo e la magia sono di casa. Il racconto di Vittorio Del Tufo si trasforma in una sorta di meditazione sull’energia dei luoghi, quasi un nuovo concetto di vivere la realtà storica per rintracciare la natura interna della città. Difficile comprendere di cosa si tratti: una sintesi di tutte le filosofie, di tutte le religioni, capace di svelare gli arcani dell’Universo e dell’Assoluto, una “scienza spirituale”, un’investigazione dei mondi soprasensibili o una dottrina iniziatica in grado di trasformare i nostri desideri inferiori e di entrare in comunicazione con il mondo divino per perfezionarci e aiutare tutta l’umanità.
Secondo Omraam Mikhaël Aïvanhov tutte quelle pratiche che noi definiamo esoteriche sono nel nostro quotidiano; nel cibo troviamo l’alchimia, nella respirazione l’astrologia, nella parola e nel gesto la magia e nel pensiero la cabala. Lo studio dell’esoterismo non può quindi essere separato dalla vita quotidiana. Tutte le manifestazioni della vita sono solo forme di una verità assoluta cui giungere, una connessione tra tutte le cose, tra visibile e invisibile, cui oggi proviamo anche a dare una spiegazione scientifica invocando il lume della fisica quantistica.
A Napoli, dunque, a dispetto dell’omologazione mondiale che dilaga, persiste una filosofia di vita atavica, greca, epicurea, orientale anche italica, che impregna l’aria e le pietre, contrappone, in un duello incessante, concretezza e fantasticheria, luci e ombre, dolore e meraviglia. Napoli Magica coniuga con uno stile agile e accattivante il valore della memoria e del trascendente in una sintesi di bellezza e sofferenza che arriva all’anima del lettore. Ricordava Chesterton: “È il valore principale della leggenda quello di mescolare i secoli conservando il sentimento”.