Napoli, mia madre: il viaggio sentimentale di Federica Flocco

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di Fiorella Franchini

“Napoli non è una città, è un sentimento! – ha affermato Massimiliano Gallo – I sentimenti non hanno confini. È in tutto il mondo e tutto il mondo è a Napoli”, e dai sentimenti nasce questo viaggio di affetti di Federica Flocco, giornalista e scrittrice, che con “Napoli, mia madre”, edito da Marlin, ripercorre le mille anime di una città indefinibile seguendo il filo della sua storia familiare e personale.
Accompagnatrice ideale è la madre dell’autrice, partorita durante i bombardamenti della Seconda guerra mondiale in via Santa Lucia, dentro il tunnel Borbonico, vissuta dove Partenope è nata, ai piedi del monte Echia, davanti a Castel dell’Ovo, vicino a piazza del Plebiscito e al Teatro San Carlo.
L’identificazione è duplice: dalla madre biologica l’autrice riceve la vita, da quella adottiva succhia gli umori. La vicenda intima si fonde, grazie alla dovizia di particolari e alle fonti attendibili, con la memoria della città, con i suoi innumerevoli volti sfuggenti che in tanti hanno provato a descrivere, a catalogare, a decifrare.
Non è facile per un napoletano, calarsi nei suoi vari racconti cercando di togliersi di dosso tutta una serie di orpelli e apparenze di questa città, senza dimenticarne le contraddizioni e le manie. Federica Flocco conduce il lettore in un percorso noto eppure sempre sorprendente, perché basta guardarlo da prospettive differenti e quel prisma fantasmagorico si arricchisce di sfumature e riflessi singolari.
Un racconto di vita, memoria e ricordo, tre elementi imprescindibili e intrecciati che non possono esistere l’uno senza l’altro. I ricordi dell’autrice sono selettivi, sono composti da tutte le immagini che ha archiviato personalmente. Sono impronte di vicende conservate nella coscienza di sua madre e rievocate alla mente, con partecipazione affettiva. Le ritroviamo qua e là come riproduzioni di momenti legati a esperienze emotive, talvolta ancora da interpretare.
Traspare il bisogno impellente di Federica Flocco di ricordare, che è un’esigenza profondamente radicata nell’uomo. Tutti noi vogliamo essere ricordati e vogliamo ricordare per sentirci parte della nostra storia, che è la nostra identità, per lasciare agli altri parti di noi stessi.
Tuttavia, le vicende di Federica e di sua madre sono sempre frutto di una storia collettiva e sociale più ampia, di quel temperamento neapolitano che nutre e modifica gli avvenimenti soggettivi. In tal senso anche i ricordi della città, i monumenti, le strade, gli edifici, le opere artistiche sono tracce del suo carattere millenario, hanno valore pubblico e intimo, diventano punto di riferimento nel passato e, al tempo stesso, di conoscenza di noi stessi e del mondo che gradualmente si costruisce intorno. Ricordare è conoscere e, dunque, il viaggio sentimentale dell’autrice, la sua memoria e quella di Napoli si trasformano in spazio dei sentimenti. Non a caso gli antichi credevano che la memoria avesse sede nel cuore. Pagine accurate ed eleganti che rimandano a quella connessione con la condizione umana che Giacomo Leopardi definiva rimembranza, ricordi rivissuti nel presente che creano un forte collegamento con il passato tanto da farlo sentire ancora vivo. Insieme a Federica Flocco attraversiamo Napoli con le emozioni di uno stupore antico e sempre attuale che sostenta la mente e l’anima. La narrazione non è solo cronaca storica o intima e neppure una raffinata guida cittadina bensì una lunga riflessione che rivitalizza eventi personali e sociali. Un libro che “fa memoria” perché conoscendo le storie del passato queste diventano nostre, producono empatia. Se ricordare è un atto lento perché c’entra solo con noi stessi, con quel che ci riguarda, fare memoria è un’azione dinamica, ci mette in moto, ci spinge a ritrovare la storia di altri, che sia quella della propria madre o quella di una comunità. La scrittura fluente aggiunge al raccoglimento la vivacità del divenire, lo tramuta in un grande senso di responsabilità, diviene atto civile. La Napoli di Federica Flocco si guarda indietro per rinnovare i propri occhi, per risanarli e guardare avanti.