Nelle costruzioni persi 539mila posti di lavoro in 10 anni

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Genova, 25 feb. (Labitalia) – Dal 2008 al 2017 sono oltre 3,4 milioni i posti di lavoro persi nel settore delle costruzioni a livello europeo, di cui 539 mila solo in Italia. E mentre gli altri Paesi dell’area euro hanno visto, dopo la crisi, un aumento degli occupati nel settore edile, il Belpaese ha continuato a perdere posti di lavoro registrando un esiguo aumento di 5 mila unità nel 2017. E’ la fotografia scattata dall’osservatorio statistico dei consulenti del lavoro, nel report ‘Edilizia, una crisi inarrestabile’, sugli effetti della crisi nel settore edile negli anni 2008-2018, e che sarà presentato domani a Genova in occasione di ‘Verso il Festival del lavoro’, l’evento di anteprima della decima edizione del Festival del Lavoro, che si terrà a Milano dal 20 al 22 giugno 2019. L’evento nel capoluogo ligure, organizzato dal Consiglio nazionale dell’Ordine e dalla Fondazione Studi, oltre a manifestare la vicinanza della categoria alla città dopo il crollo del Ponte Morandi, vuole tenere alta, spiegano i professionisti, l’attenzione sull’urgenza di un piano per ritornare a investire in infrastrutture per far ripartire economia e lavoro.

La flessione di mezzo milioni di occupati, spiega l’indagine, ha coinvolto principalmente i lavoratori italiani (-498 mila), specie i più giovani, mentre è nettamente inferiore tra gli stranieri extra-comunitari (-41 mila) e soprattutto tra gli stranieri comunitari, in gran parte romeni, che registrano una flessione di sole mille unità (-0,8%). Secondo la ricerca dell’osservatorio dei consulenti del lavoro, i giovani sono stati i più colpiti dalla crisi delle costruzioni, poiché in nove anni hanno perso oltre la metà dei posti di lavoro.

E dall’indagine emerge anche la differenziazione territoriale: dell’oltre mezzo milione di posti di lavoro persi, il 44% è nel Nord, il 40% nel Mezzogiorno e il 16% nel Centro. Ma ci sono forti differenze regionali: in Sicilia si è persa quasi la metà dei posti di lavoro, in Liguria solo il 4%. E la flessione di 539 mila occupati ha coinvolto maggiormente i lavoratori dipendenti, ridotti di 382 mila unità. Il calo è stato minore tra gli autonomi (-153 mila) e i collaboratori (-5 mila). La grande maggioranza degli occupati nel settore delle costruzioni è costituita da operai (48,9%), lavoratori in proprio (33,1%) e impiegati (10,1%), mentre quote marginali si registrano nelle altre posizioni.

Secondo la ricerca, nel Mezzogiorno quasi un edile su quattro lavora in nero. Quello delle costruzioni è il settore economico con il più alto tasso d’irregolarità, dopo l’agricoltura: la quota di occupati in nero è aumentata di 4,5 punti percentuali, salendo dall’11,4% del 2008 al 15,8% del 2016. Nel Mezzogiorno quasi un edile su quattro lavora in nero (23,7%), quota che scende al 17,9% nelle regioni del Centro e al 10,4% in quelle del Nord. Secondo l’indagine una spinta al settore delle costruzioni, anche a livello occupazionale, giunge dagli interventi di manutenzione ordinaria e straordinaria delle infrastrutture esistenti (+74%). Ad incentivare tali interventi per la riqualificazione del patrimonio edilizio gli incentivi fiscali, che hanno svolto un’azione anticiclica, anche se non risolutiva, rispetto alla recessione registrata nel settore. Su 701 miliardi di euro investiti dal 2007 al 2017 in manutenzione straordinaria, 218 miliardi sono stati mossi dagli incentivi fiscali – pari al 31,1% del totale – che per ciascun anno hanno attivato circa 300.000 posti di lavoro.

Si conferma quindi l’importante ruolo di rilancio del settore giocato dagli sgravi. Aumentare di circa 1 miliardo di euro gli sgravi fiscali – si evidenzia nel rapporto – permetterebbe di ridurre il costo del lavoro e di creare una domanda aggiuntiva diretta e indiretta di circa 2 miliardi e 292 milioni di euro, con una ricaduta complessiva sul sistema economico di 3 miliardi e 513 milioni di euro. Questo produrrebbe, inoltre, sottolineano i consulenti del lavoro, un incremento di circa 15-18 mila unità nette di lavoro, di cui 10-12 mila direttamente nel settore delle costruzioni e il restante nei comparti collegati.

Per la ricerca dei consulenti del lavoro “la ripresa incompiuta dell’Italia può essere attribuita principalmente a investimenti insufficienti: la quota di Pil persa durante i nove anni di recessione economica è pari complessivamente a 8,1 punti percentuali e avrebbe incentivato la creazione di 1,2 milioni di posti di lavoro, con il conseguente abbattimento del tasso di disoccupazione. E a subire la contrazione più pesante, pari al 51,3%, sono gli investimenti per la realizzazione di nuove costruzioni, di opere pubbliche e di edilizia non residenziale privata”.

In particolare, secondo la ricerca, dal 2008 al 2017 la flessione degli investimenti (poco più di 71 miliardi di euro) è stata in gran parte causata da una riduzione di oltre 65 miliardi degli investimenti nel comparto costruzioni, che nel 2008 rappresentavano il 54,5% del totale e nel 2017 il 45,3%. A subire una severa flessione soprattutto i comparti delle nuove abitazioni, delle opere pubbliche e dell’edilizia non residenziale privata, mentre cresce la manutenzione straordinaria delle abitazioni.

È assai probabile, spiegano i professionisti, che il crollo dell’occupazione nell’edilizia sia stato almeno in parte determinato dall’analoga flessione degli investimenti in questo comparto. Secondo l’indagine, inoltre, gran parte della riduzione degli investimenti pubblici verificatasi tra il 2008 e il 2017 (-12,9 miliardi di euro) è stata determinata dalle costruzioni (-10,7 miliardi), in particolare dai fabbricati non residenziali e da altre opere pubbliche. Le flessioni maggiori si sono registrate nel Mezzogiorno, nei settori dell’ambiente, degli immobili e dei trasporti. La contrazione degli investimenti pubblici è riconducibile principalmente ai Comuni ai quali fa capo circa l’80% delle decisioni d’investimento. Sul significativo calo registrato nel 2016 potrebbero aver influito le difficoltà di adattamento al nuovo Codice degli appalti.

E per presidente della Fondazione Studi dei consulenti del lavoro, Rosario De Luca “investire in infrastrutture e ridurre il costo del lavoro sono le direttrici principali con cui fare ripartire l’economia italiana creando occupazione”. “L’esempio del Ponte Morandi ha drammaticamente sottolineato come il sistema delle infrastrutture viarie in Italia sia fermo da oltre 50 anni”, ha rimarcato De Luca.

“Sono rari gli esempi -ha continuato- sia di realizzazione di nuove costruzioni, sia di manutenzione ordinaria e straordinaria delle opere pubbliche esistenti. Riprendere ad investire in questo settore significherà far ripartire l’economia, fare il bene delle aziende, dei lavoratori e dei cittadini italiani, che finalmente potranno godere di un Paese più moderno e sicuro”.