Nello stile diplomatico si chiama reciprocità

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In foto Giorgio Starace

In stile diplomatico si chiama “reciprocità”: se tu fai qualcosa a me, io farò lo stesso con te. Paolo Brera su La Repubblica lo ha sottolineato con molta edificato sapendo delineare anche quellle che sono tratto e mire del nostro Ambasciatore Dunque sarebbe questo, il senso della convocazione del nostro ambasciatore a Mosca, Giorgio Starace, da parte del ministero degli Esteri russo avvenuta a fine Giugno : una solenne tirata d’orecchi a quindici giorni esatti dalla analoga convocazione alla Farnesina dell’ambasciatore russo a Roma, Sergej Razov. Eppure no, non è solo questo: il viceministro degli Esteri russo, Alexander Grushko, ha protestato formalmente per quella che considera una “violazione gravissima” del protocollo diplomatico da parte del governo italiano: avere “reso pubblico il contenuto del colloquio riservato alla Farnesina”. E confondendo lo stile russo con le più basilari regole democratiche, ha intimato al governo di mettere la mordacchia alla stampa italiana perché, dice, “è manovrata dagli Usa”.

L’incontro è durato “una ventina di minuti”: Grushko ha contestato all’ambasciatore Starace la “campagna diffamatoria” che, secondo Mosca, i giornali italiani hanno riservato all’ambasciatore Razov. Gli ha elencato “gli attacchi personali” al diplomatico russo che da quando è iniziata l’invasione in Ucraina ha cambiato passo e stile, uniformandosi alle nuove regole imposte dal ministero degli Esteri russo: addio prudenza, e sotto con le minacce al governo e con le accuse di faziosità alla stampa. Un’escalation iniziata con la querela a Domenico Quirico, firma della Stampa e decano degli inviati di guerra, annunciata in un’inedita conferenza stampa convocata da Razov davanti ai cancelli della procura romana. Con i giornalisti l’ambasciatore si lamentò di come veniva raccontata “l’operazione speciale” con cui il Cremlino stava demolendo le città ucraine, ma non gli piacque nemmeno il modo in cui raccontarono il suo “sfogo”. E non gli piacque soprattutto il modo in cui raccontarono cosa accadde alla Farnesina il 6 giugno, quando il segretario generale Ettore Sequi lo convocò protestando formalmente per le sue accuse sulla “moralità dei politici” e sulla “russofobia dei media”, con una richiesta di spiegazioni che non arrivarono. Beh, Razov contestò pure gli articoli che raccontavano l’esito di quel colloquio, definendoli “ingiusti e imparziali”. Pochi giorni dopo toccò al “caso Salvini”, esploso per il viaggio pagato in rubli dall’ambasciata russa e poi rimborsato dal leader leghista quando, tra le polemiche per l’inopportunità della missione, decise di rinunciare. Sui social fu proprio l’Ambasciata russa in Italia a puntualizzare le modalità del pagamento, una mossa che i giornali italiani lessero come un tentativo di spaccare ulteriormente il fronte governativo. E al Cremlino non è piaciuto neppure come venne raccontata l’ultima esternazione del suo rappresentante in Italia, quando pochi giorni fa in un’intervista proclamò che mandare armi italiane a Kiev “alimenterà la guerra in Ucraina” e “moltiplicherà vittime e distruzioni”, introducendo “un altro elemento negativo” nelle relazioni tra l’Italia e la Russia. Sono questi gli “attacchi personali” che la stampa italiana, secondo Grushko, ha rivolto a Razov. Ed è per questo elenco di doglianze che Grushko ha intimato a Starace di “farli cessare”. Il compito di un ambasciatore, quando viene convocato ufficialmente, è ascoltare e riferire al suo governo. Ma, secondo fonti governative a Roma, Starace ha subito replicato che “controllare la stampa non è nei poteri del governo italiano, a differenza di quello che succede in Russia”. Grushko ha risposto che “la stampa italiana è pilotata dagli Stati Uniti” e quindi “il governo può intervenire”. Un dialogo surreale sulla libertà di stampa, chiuso con la stoccata finale al governo italiano che avrebbe violato la riservatezza sui contenuti della convocazione di Razov alla Farnesina. Era un “colloquio riservato”, Razov protestò dicendo che le cose erano andate diversamente da come i giornali avevano uniformemente raccontato: aveva fatto scena muta, ma secondo lui – e secondo il Cremlino – i giornali si sarebbero dovuti limitare ai resoconti ufficiali.