La schizofrenia è uno dei più gravi disturbi psichiatrici, e molte sono ancora le lacune nelle conoscenze sui meccanismi che ne sono alla base. Una ricerca del Dipartimento di Patologia Molecolare dell’Istituto I.R.C.C.S. Neuromed di Pozzilli (IS), condotta in collaborazione con l’Unità di Diagnostica Molecolare Avanzata e il Dipartimento NEMOS dell’Ospedale S. Andrea, Università Sapienza di Roma, evidenzia ora come il livello di acido xanturenico (XA) nel sangue potrebbe rappresentare un marcatore della malattia. Questo studio, pubblicato sul giornale Scientific Reports, apre la porta a possibili sviluppi nel campo della diagnosi, oltre che all’ipotesi di nuove terapie che andrebbero ad aggiungersi a quelle oggi disponibili.
L’acido xanturenico è un metabolita dell’aminoacido triptofano e si forma nel quadro di una serie di reazioni chimiche denominate “via delle chinurenine”. Un collegamento tra le molecole caratteristiche di questa serie di processi e alcuni disturbi psichiatrici, inclusa la schizofrenia, era già stato avanzato molti anni fa. Ciò che i ricercatori Neuromed hanno ora dimostrato è che nel sangue dei pazienti schizofrenici si riscontra un tasso di acido xanturenico molto più basso della media, questo indipendentemente dal fatto che siano al primo episodio oppure che siano già in terapia da tempo. La stessa situazione si osserva anche nei loro familiari, pur se non affetti dalla malattia.
“Questi dati – dice Ferdinando Nicoletti, Professore Ordinario di Farmacologia, Università Sapienza, Roma e Responsabile del Laboratorio di Neurofarmacologia dell’Istituto Neuromed – ci spingono a pensare che il livello di acido xanturenico nel sangue possa essere un marcatore di alcuni processi biologici alla base di situazioni che possono predisporre alla patologia. Ciò suggerisce che la misurazione di questo metabolita potrebbe rappresentare un elemento da tenere in considerazione quando si esaminano i pazienti o le famiglie a rischio di schizofrenia, in particolare nella fase di diagnosi”.
Nello stesso studio i ricercatori hanno anche stabilito, su modelli animali, uno dei possibili meccanismi di azione dell’acido xanturenico, che influenzerebbe il comportamento di alcuni recettori metabotropici per il glutammato (mGlu), in particolare i recettori mGlu2. Il glutammato è il principale neurotrasmettitore, cioè una sostanza che consente la comunicazione tra una cellula nervosa e l’altra. La ricezione di questa comunicazione è affidata a proteine presenti sulla membrana cellulare, i recettori, capaci di “catturare” la particolare molecola e “trasmettere” il suo messaggio modificando il comportamento della cellula a cui appartengono.
In particolare, nei modelli animali di schizofrenia usati in questa ricerca, la somministrazione di acido xanturenico ha avuto un effetto antipsicotico, che però non si verificava in topi geneticamente privi dei recettori mGlu2. “Questo – continua il Prof. Nicoletti – ci spinge a ipotizzare che l’acido xanturenico possa comportarsi come un potenziale antipsicotico endogeno proprio attraverso l’attivazione di quei recettori. Il basso livello di XA nel sangue dei pazienti, quindi, potrebbe essere il segno di una minore attivazione”.
Ulteriori ricerche saranno ora necessarie per determinare con precisione i meccanismi in gioco. “Siamo di fronte – conclude il professor Nicoletti – a una strada ancora tutta da percorrere. Esiste già l’ipotesi che la schizofrenia sia legata, tra gli altri fattori, a alterazioni del sistema di neurotrasmissione basato sul glutammato. Alterazioni riguardanti altri neurotrasmettitori, come dopamina e serotonina, sono ben note e su di esse agisce la maggior parte dei farmaci oggi disponibili. Adesso possiamo pensare che anche farmaci capaci di elevare i livelli di acido xanturenico potrebbero essere utili per il trattamento dei pazienti schizofrenici, soprattutto nelle prime fasi della malattia”.