Nipote e donna d’arte
un Nobel per Bracco

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A cura di Ermanno Corsi Un premio Nobel postumo per il grande Roberto Bracco. Al progetto lavora, con dedizione, Aurelia del Vecchio, nipote del drammaturgo A cura di Ermanno Corsi Un premio Nobel postumo per il grande Roberto Bracco. Al progetto lavora, con dedizione, Aurelia del Vecchio, nipote del drammaturgo napoletano Cento anni fa la prima “grande” guerra: “grande” per la dimensione della tragedia mondiale che ne seguì. il papa Benedetto Xv la bollò come una “inutile strage”. Proprio nel 1915 il drammaturgo napoletano Roberto Bracco rappresentava “L’internazionale”, opera con cui prendeva le distanze dagli intellettuali del tempo ( tommaso Marinetti , Gabriele d’annunzio) convinti che la guerra fosse necessaria perché unica forma di igiene dei popoli. Nell’ottobre scorso, un secolo dopo, la Galleria toledo di napoli ha rimesso in scena quel lavoro che, a suo tempo, fu molto apprezzato non solo in italia. un avvio, molto meritorio, per rimettere al centro della vita culturale una figura come Roberto Bracco che, nato a napoli nel 1861 e morto a Sorrento nel 1943, ha avuto grande fortuna per la versatilità della sua ispirazione fino a quando il fascismo non ne decretò la “scomparsa” impedendone la presenza nei teatri e nei circuiti della letteratura. Anno orribile, per lui, il 1926. era così apprezzato, in europa, che un gruppo di intellettuali svedesi lo propose per il premio nobel. Ma da Roma, dal Ministero della Cultura popolare (acronimo Minculpop) arrivò un veto insuperabile. Al posto di Roberto Bracco venne insignita Grazia Deledda che il regime considerava una fiancheggiatrice. Novant’anni dopo,il drammaturgo merita ,o no, un risarcimento morale, un “premio nobel postumo”? Aurelia del Vecchio, sua nipote, è lanciatissima nella convinzione che questa figura di scrittore debba essere riproposta per l’attualità dei suoi libri (più di venti), per le posizioni che esprimono, il rigore morale cui si ispirano, l’intransigente difesa della libertà e l’autonomia delle coscienze. “La sua dimensione etico-morale – dice aurelia – ha influito molto su di me, sul mio lavoro e sulla mia formazione culturale”. Una adesione coerente con un modello di vita che non risparmiava sfide. Roberto Bracco è passato per un vissuto non facile. Come ricorda, con ammirazione, la nipote, a 16 anni lascia lo studio e lavora come commesso in una ditta di spedizioni. La vocazione alla scrittura lo porta verso il giornalismo (dal Corriere di Napoli al Capitan Fracassa) dove presto diventa una presenza autorevole come narratore, critico teatrale e musicale (forte attrazione per ibsen e Wagner). Le sue opere (sperduti nel buio, il piccolo santo, il diritto di vivere, Maschere) lo impongono rapidamente all’attenzione degli ambienti culturali più prestigiosi proprio per la loro carica innovativa e anticipatrice. “ono capaci di resistere al teatro di pirandello”, si scrive. E sulle scene si avvalgono di Eleonora duse, Emma e Irma Gramatica, le attrici più acclamate. Aurelia ammira, di Bracco, anche il coerente antifascismo. Ricorda come divenne deputato, nel 1924, nella lista liberale di Giovanni Amendola e come, l’anno dopo, firmò il manifesto degli intellettuali di Benedetto Croce. Passano pochi mesi e ne paga le conseguenze: viene dichiarato decaduto da parlamentare. L’ostracismo del regime colpisce l’uomo (un agguato, la casa napoletana distrutta) e l’autore (a Roma una squadraccia interrompe i “pazzi”). Ma anche quando le difficoltà economiche diventeranno molto stringenti, Bracco non baratta la sua indipendenza. Emma Gramatica gli va incontro ottenendo, direttamente da Mussolini, un sussidio di 10mila lire, ma lui non accetta (“la mia coscienza di galantuomo mi avverte che quel denaro non mi spetta”). È ancora la sua coscienza ad agire quando rifiuta di entrare nell’accademia d’italia (la cultura asservita al potere) e firma invece la “dichiarazione di indipendenza dello spirito”. Il secondo conflitto mondiale (lui che non sopportò mai l’arroganza e la violenza dei ‘signori della guerra’) lo vede a Sorrento dove muore a 82 anni, il 20 aprile del 1943, poche settimane prima di quel Gran Consiglio che decretò la caduta del duce. per spazzare via il fascismo e arrivare a un paese repubblicano e democratico, fu necessaria una dolorosa transizione. Per riscoprire il valore di Roberto Bracco e apprezzare la modernità che anticipava, basta ora leggere e meditare sui libri e sulla lezione che essi contengono. Occorre, perciò, un “progetto Bracco”. Aurelia Del Vecchio ne ha fatto una ragione di vita, non per appartenenza familiare, ma per affinità elettiva. Il suo legame con il drammaturgo napoletano nasce così dalla sua stessa formazione culturale e dall’attività lavorativa che ha svolto. Un incontro, quindi, di studio e di lavoro. Nata al corso Vittorio Emanuele, Aurelia studia al suor Orsola Benincasa per poi iscriversi all’orientale (“forte era l’interesse per le lingue”). Dal ’71 è, per 25 anni, impiegata amministrativa dell’Italsider insieme col marito Lino D’Antonio che ha, a sua volta, una storia del tutto particolare (“sono stato assunto come manovale per poi passare in ufficio”). Aurelia ha un temperamento intraprendente. Incrocia il lavoro con l’attività politica e sindacale, tra pci e Fiom Cgil (“in nome di una scelta di campo: essere sempre con i lavoratori nonostante le delusioni; obbedire a un sentimento quasi primordiale di giustizia e conquista dei diritti”). La grande fabbrica accresce il senso del dovere, ne allarga prospettiva e ragioni. Aurelia promuove l’archivio dei lavoratori dell’Ilva (“dal basso perché costituito coi documenti forniti dai lavoratori stessi”). È una civiltà che viene ricomposta (“mentre adesso l’archivio generale dell’italsider rischia di essere portato via da Napoli”). Dà il suo contributo al volume “Cent’anni” sul circolo Ilva di Bagnoli e alla mostra “La memoria d’acciaio”, poi trasferita al Maschio angioino. Quando l’acciaio va in crisi in europa, a napoli è un dramma. Aurelia e Lino sono in prima linea nella difesa della classe lavoratrice. Lei pubblica, con l’editore polidoro, il libro “un luogo preciso esistito per davvero”: una cronologia rigorosa, una analisi che denuncia coraggiosamente le responsabilità della classe dirigente, imprenditoriale e politica. I venti anni di Bagnoli-futura hanno scaricato sulla città i guasti di una spartizione territoriale che chiama in causa la nuova società, Città della scienza, l’arenile e il Circolo Ilva. Lino D’Antonio è molto critico: “a napoli non ci sono imprenditori, ma mattonari e palazzinari”. Non si rassegna all’idea che sono stati spesi 1200 miliardi per compiere un “delitto industriale”. Ha scritto al premier Renzi (“ma sono sicuro che non mi risponderà mai”). Lavoro e cultura inseparabili. Aurelia ha riordinato il carteggio di Roberto Bracco e continua a difenderne l’opera con mostre itineranti, libri e pubblicazioni. In uscita il saggio di Francesco Soverina “un vulnus non sanato, il caso Bracco”. Il progetto di Aurelia Del Vecchio va avanti cercando di coinvolgere assessorato alla Cultura, università e premio napoli. sono in gioco il “diritto di tribuna” per un grande drammaturgo e l’orgoglio di una città. Collegandosi con l’accademia di Svezia, Napoli potrebbe dare ora una bella prova del suo respiro culturale europeo.