Parole in libertà non è solo il titolo del Manifesto del Futurismo, il movimento culturale fondato da Filippo Tommaso Marinetti. Con buona probabilità quest’ultimo, in occasione della presentazione dello stesso, nel 1910 a Capri, mai avrà pensato che, a distanza di oltre un secolo, quella espressione si sarebbe prestata, riferita alla situazione attuale del Paese a altro uso.
A definire cioè, con particolare pertinenza, il modo di esprimersi della classe politica italiana, peraltro facendolo con particolare attenzione. Basti un solo episodio per avere un’idea di tale modo di argomentare. Lunedì, all’annuncio ufficiale che la EU aveva dato il via libera all’erogazione della terza rata di finanziamento prevista per il PNRR, una parte dei rappresentanti popolari ha reagito in maniera completamente sconclusionata, comunque in maniera oggettivamente e incontrovertibilmente negativa. Se non fosse che il termine riporta alla mente un termine usato e abusato durante il ventennio fascista, si potrebbe definirlo con buona probabilità di non sbagliare “disfattismo”.
Che non ci sia niente di che stare allegri, per la EU come per l’Italia, era già noto. Quanto preoccupa di più, è che le stime comunicate da Bruxelles a inizio settimana mostrano un peggioramento delle ipotesi di crescita, già di loro modeste, per il Paese in particolare. Una delle situazioni che da tempo sono assurte da semplici intuizioni a constatazioni rilevate statisticamente, è che se tra il o i medici e il o i pazienti si instaura quello che normalmente è definito un rapporto di fiducia. Il decorso della malattia è come se avesse una marcia in più. Volendo far sfoggio di modernità e anglofilia, il feeling, termine a primo acchito più consono alla cronaca rosa, è proprio esso una delle premesse per un esito fausto della malattia in cura. Scherzare con il fuoco non è mai stato prudente e, in determinate condizioni, può diventare addirittura temerario. Soprattutto se, come ora, si discute di soldi, peraltro in quantità superiore a quella che normalmente può rappresentare una manovra di bilancio, interporre considerazioni tra i rapporti che il governo nazionale intrattiene con quello comunitario può causare solo disguidi. In più senza aggiungere o sottrarre dalla realtà effetti pratici superiori a quelli che potrebbe far venire fuori un dialogo tra Carmelitane.
In senso ancora più stretto ciò è la quintessenza del parlarsi addosso. Cicerone, nel mezzo di una difesa in tribunale, soleva talvolta chiedere ai giudici e, retoricamente, a sé stesso: “cui bono” o “cui prodest” per richiamare l’attenzione su chi avrebbe potuto trarre vantaggio dal dibattimento in corso. Riproposta nell’attività italiana, la risposta a quell’interrogativo, nella migliore delle ipotesi è lo scopo elettorale. Il prossimo anno saranno di turno le elezioni europee e tanto giá basta per interpretare il comportamento di certa classe politica nazionale. Ma non esaurisce l’argomento. Se solo volessero considerare l’avversità del momento, in specie per la Casa Comune e in maniera specifica per l’ Italia, maggioranza e minoranza che avessero chiara quale sia la portata dei loro comportamenti per il corretto svolgimento di quanto concerne la Cosa Pubblica, adotterebbero senz’altro un atteggiamento più propositivo. In particolare alla luce di quanto comunicato ieri dalla Commissione Europea per quanto concerne l’ andamento economico nella EU. Senza contare il vento che continua a soffiare forte al suo confine orientale: per Bruxelles tanto va preso almeno come la conferma che Hannibal (sia) ante moenia. Dunque il mitico Korea Express, treno blindato di Kim Yong-Un che fu di suo padre, mezzo di trasporto eletto per la fobia di quella schiatta per il volo, è arrivato in Russia, precisamente a Vladivostok. Li è previsto un incontro di Kim con Putin, che in quella città ha organizzato un Forum Economico Orientale con alleati di indiscussa fedeltà.
Non da voci di corridoio ma ufficialmente, l’Occidente è stato informato che i due indefinibili Capi di Stato si incontreranno per una fornitura di armi particolarmente letali che Mosca ha richiesto a Seul. Da fonti attendibili si apprende che la Corea ha una cospicua disponibilità delle tipologie necessarie alla Russia. Salvo stravolgimenti dell’ultima ora, l’affare andrà a buon fine. Di conseguenza non è difficile immaginare che aspettative di pace in Ucraina in tempi brevi non sono nemmeno da prendere in considerazione. Faranno bene a rimboccarsi le maniche quanti fossero ancora convinti di intravedere uno spiraglio, per quanto piccolo, creatosi nel portone della pace. Si può solo aggiungere, per completezza, parafrasando il titolo di un film interpretato da Alberto Sordi: “Fin che c’è guerra,(non) c’è speranza”. A li meglio posti allora, con l’augurio che tutto ciò che ne conseguirà sia in funzione di un mondo migliore.