“I nostri figli”, orfani anonimi del femminicidio

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Niente più fondi in manovra per gli orfani di femminicidio. Bocciata l’erogazione di dieci milioni di euro proposta dalla vicepresidente alla Camera, Mara Carfagna. La rabbia dei parenti è un pugno dritto allo stomaco. Un appello accorato e commovente, affidato alle colonne de “Il Corriere della Sera” da Renato, padre di una ragazza uccisa dall’uomo che diceva di amarla –ora in carcere con una condanna a 30 anni – e nonno nonché tutore dei nipotini. Nella sua lettera elencava, disperato, tutte le difficoltà anche economiche nell’affrontare la situazione. Nonostante esista una legge che garantisce un mantenimento ai figli rimasti senza un genitore a seguito di un omicidio commesso dall’altro coniuge, senza risorse diventa difficile il sostegno. Un emendamento di pochi giorni fa, ha bocciato l’incremento di 10 milioni di euro per le famiglie affidatarie dei minori orfani di femminicidio, soprattutto nel caso si tratti di zii, nonni o parenti a cui il minore è stato affidato per rispettare la continuità affettiva ma che versano in condizioni economiche disagiate o comunque non prospere. Le risorse erano individuate eliminando spese non produttive, dunque l’emendamento non chiedeva un euro in più ai contribuenti. Sono circa milleseicento i cosiddetti “orfani speciali” in Italia, molti di loro testimoni delle violenze subite dalla madre o addirittura spettatori dell’uccisione da parte del compagno. Orfani speciali che devono riuscire a fronteggiare e convivere con quelle profonde cicatrici che scenari del genere lasciano, ma soprattutto al trauma di una perdita genitoriale devono aggiungere l’incertezza del proprio destino. Il più delle volte sono le “vittime collaterali”: i familiari che rimangano a prendersi cura e che si trovano a fronteggiare problemi sia economici per il mantenimento delle vittime che psicologici. Terrore, tremori, fragilità. Poi lo scontro con la lenta e fredda burocrazia, è questa la vita degli orfani di femminicidio. Un incubo che investe le piccole vittime. Che fine fanno? La cronaca li investe di attenzioni per qualche giorno: il pensiero corre al trauma indelebile di quel che è accaduto, si sprecano commenti ed indignazione. Poi, il buio. Un velo di oblio cala sul loro immenso bisogno di attenzioni e cure, di diritti che le istituzioni oggi gli negano. Si tratta di vittime che non possono contare sul supporto dei servizi. Così ci si scontra con un’Italia di battaglie sul bene superiore dei minori, dove protocolli e percorsi pensati per chi sopravvive all’epidemia dei femminicidi – uno ogni tre giorni- non ne esistono, questi figli vengono dimenticati e l’anno successivo all’evento traumatico, quello decisivo, stando ai manuali di psicologia per evitare scelte estreme da parte loro, ci pensano nella maggioranza dei casi i nonni. Dolore al dolore, trauma su trauma, lutto su lutto. Montagne da scalare: i funerali, i processi, la burocrazia, l’affidamento, le domande insistenti dei piccoli sui loro papà, le difficoltà economiche delle famiglie affidatarie che devono fare i conti col dolore da mascherare e una vita da rimodulare e ridisegnare in funzione di un bambino orfano delle persone più importanti della propria vita, familiari consapevoli che un giorno la realtà andrà raccontata e rivissuta per quanto macabra e dolorosa. Alle vittime collaterali, si è ispirato il film “i nostri figli” andato in onda su Rai 1, lo scorso giovedì. Una grande storia d’amore, responsabilità e coraggio. Un racconto intenso, interpretato da Vanessa Incontrada e Giorgio Pasotti, genitori nel film di due bambini ed un matrimonio solido, mentre in Sicilia un’altra famiglia si sgretola per sempre: la cugina di lui viene uccisa dal marito ed i tre figli Luca, Giovanni e Claudio, vengono affidati a Roberto e Anna (Pasotti e Incontrada). La famiglia si allarga ma è difficile trovare un nuovo equilibrio, non mancano le difficoltà di inserimento, le difficoltà economiche, e i due protagonisti da buoni genitori fanno molti sacrifici, soprattutto quando lui perde la sua azienda. Un tassello alla volta, la tenacia e la responsabilità dei due genitori verso i loro cinque figli diventa una forma di impegno civile e nella quotidianità riescono a superare molti ostacoli pur di offrire un futuro tutto nuovo ai tre orfani. Il film è andato in onda proprio nelle ore in cui veniva bocciata la manovra che prevedeva più fondi agli orfani di femminicidio. Uno schiaffo in pieno volto questa bocciatura, se non altro perché arriva a distanza di poche settimana dal 25 Novembre, giornata mondiale contro la violenza sulle donne, in cui da Nord a Sud, si sono intitolate strade, si sono colorate panchine rosse, si sono susseguite manifestazioni e racconti di cronaca per invocare le donne sotto l’hastag #nonènormalechesianormale a reagire contro la violenza qualsiasi essa sia, ricordando le tante – troppe – donne uccise per mano dell’uomo che aveva professato di amarle. Ricordi che hanno visto il volto e la voce dei tanti figli orfani di femminicidio, che ogni giorno, secondo anche le testimonianze fanno i conti con la vergogna, sentimento quanto naturale e di reazione personale che scatta negli orfani. Piccole vittime che si porteranno dentro un vissuto ed un dolore troppo grande che non possono vivere da soli, è ciò che stanno urlando ad un Stato sino ad ora assente e carente di servizi. Eppure sono nostri figli, figli dello Stato, figli di questo mondo diventato crudele, geloso, beffardo, figli di uno Stato che non ha saputo proteggere e sorreggere in vita le loro mamme – molte di loro- hanno denunciato in vita i loro compagni, spesso invano. Siamo davvero sicuri di voler consegnare a questi ragazzi incertezza, precarietà e ancor più dolore?