Il respiro delle parole: la poesia di Carolina Cigala

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Respiri di Carolina Cigala è una raccolta poetica che ha un suo fascino non comune, ci prende a poco a poco, a volte ci lascia perfino interdetti, ma poi alla fine ci coinvolge anche con quella sottile inquietudine che comunica. L’autrice è un bravo architetto, con un brillante curriculum di studi, che ha una spiccata vocazione per le arti figurative; in passato con le sue “Leggende di mare e di fuoco” ci ha riproposto in termini narrativi e soprattutto figurativi il mondo incantato e favoloso delle antiche leggende napoletane. L’opera di Carolina Cigala, pubblicata da Tullio Pironti, è arricchita da una serie di pregevoli disegni di Marisa Ciardiello e Armando De Stefano, che divengono essi stessi parte integrante e viva del discorso poetico (non un semplice sfondo oppure una cornice), ed inoltre è corredata da un’ampia prefazione di Vittorio Paliotti e da un’interessante nota critica di Tommaso Ottonieri. La grande esperienza alla quale l’autrice sembra ricollegarsi è quella ermetica, ma riesplorata e rivissuta in modo originalissimo: proprio alle prove più tipiche dell’ermetismo sembrano rimandarci il taglio sincopato del verso, l’uso di lemmi desueti, gli improvvisi bagliori che s’accendono in questi versi, il valore simbolico che assumono alcune immagini. Ma l’“ermetismo” di Carolina Cigala non è una semplice modalità espressiva, l’adesione ad un linguaggio poetico bensì la via attraverso la quale l’autrice ricerca il suo linguaggio, una via intrapresa istintivamente; soprattutto ci rimanda ad un sentimento della realtà e della vita, caratterizzato da una sensibilità interrogativa e talvolta dolente, da un’inquietudine che spesso assume toni quasi metafisici. Ed il lettore che si addentra tra questi versi (“non v’è mai nulla di banale in essi”, osserva giustamente Paliotti), viene preso dalla particolare atmosfera che essi evocano e scopre ben presto quanto sia vero l’assunto montaliano per il quale ciò che è importante è proprio quello che la poesia non dice, quel margine d’ombra che essa lascia. D’altronde il mondo di Carolina Cigala sembra prendere forma proprio nel germinare delle tante immagini della sua poesia: “Visiva, ancor più che vocativa – scrive Ottonieri – è la tensione che anima la sua parola”. Non per nulla uno dei componimenti è dedicato alla grande pittrice Frieda Kahlo. Alcune immagini di questa poesia sono sorprendenti e indimenticabili: «Il mio passo non lascia orme./ Forse non so vederle/ forse sono troppe da indossare”. Probabilmente Carl Gustav Jung avrebbe scritto cose mirabili a proposito di questo passo che non lascia orme, ci avrebbe parlato per analogia dell’ombra intesa come sinonimo dell’inconscio nel linguaggio della psicologia analitica. Forse è proprio in questo sforzo di lasciare un’orma, che è anche il segno di un’identità, il senso profondo della poesia di Carolina; solo così è possibile sfuggire al silenzio, all’assenza. Forte ed intensa è anche un’altra immagine, quella del “ghiaccio secco”, rappresentato dagli oggetti che non ci parlano più: “Ordinare oggetti./ Pezzi di vita tra mani/ senza sede nella dimenticanza/ ieri come anni fa./Pagine chiuse su chiodi di strade possibili/ traguardi non perseguiti/ trattenuti./ Ghiaccio secco che non si riesce a toccare”. Qui il simbolismo si fa molto intenso e quasi visionario. E poi v’è quell’altra bellissima descrizione della pioggia che è datrice di vita: “La pioggia scivola/ sulla curva senza fine/ sulla corazza sbarrata/ all’affanno dei perché./ Ma non smette di piangere/ anche quando c’è il sole./ Perché con la sua acqua parla alla vita”. Ecco, la poesia ci dona sempre qualcosa, anche quando sembra che non ci dia nulla, come la pioggia parla sempre alla vita. Ed almeno per ora, devo fermarmi qui, perché tanto altro a proposito di “Respiri” vi sarebbe da dire.