“Pamela era borderline”

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Macerata, 13 mar. (Adnkronos) – “venne da noi con una diagnosi borderline grave e dipendenza da sostanze stupefacenti . E’ arrivata con una situazione clinica molto complessa”. Lo ha affermato Giovanni Di Giovanni, psichiatra e consulente per la comunità Pars di Corridonia, dalla quale si allontanò Pamela Mastropietro, ascoltato nel corso dell’udienza in corso davanti alla Corte di Assise di Macerata che vede imputato Innocent Oseghale per la morte della 18enne romana, poi uccisa e fatta a pezzi a Macerata. Lo psichiatra ha raccontato che intorno “al 7 dicembre 2017 Pamela iniziò ad avere delle note depressive” tanto che gli fu somministrato un altro farmaco. Si iniziò un “progetto, si fece in modo che la ragazza riprendesse gli studi, un programma terapeutico finalizzato ad obiettivi con un significato emozionale. Il problema iniziò a sorgere verso il 26 dicembre quando è stato riferito”, ha continuato il consulente della comunità, che la ragazza “si induceva vomito e si era fatta delle autolesioni”.

Raccontando la personalità di Pamela, lo psichiatra ha affermato che aveva comportamenti devianti: ad esempio idealizzava una vita da escort, come può accadere in età adolescenziale, ma il giorno dopo voleva fare la criminologa, ciò come la promiscuità sessuale, ha spiegato, è un tratto della patologia dalla quale Pamela era affetta ossia quella borderline grave. Da alcuni esami sarebbe emerso che Pamela aveva assunto “oppiacei due mesi prima morte”, ha osservato il legale della famiglia della vittima, sottolineando che in quel periodo la 18enne era già in comunità: lo psichiatra ha escluso in linea di massima che nella comunità possa entrare stupefacente: “I controlli quando qualcuno viene da fuori sono terribili, ci sono perquisizioni”, ha sottolineato lo psichiatra. Il giorno in cui Pamela si allontanò dalla comunità ebbe un “diverbio con un operatore durante il pranzo”.

La giovane, ha spiegato ancora, “manifestava la volontà di andare via” dalla comunità, ma “poi ci ripensava e rimaneva, aveva questo conflitto. Si cercava di trattenerla il più possibile, avviando anche un progetto terapeutico insieme ai famigliari”. Per Di Giovanni, “Pamela aveva un grandissimo affetto per i genitori, soprattutto per la madre, ma mostrava anche grande conflittualità. Con i genitori aveva un rapporto conflittuale, ma allo stesso tempo di grande affetto”, ha detto ancora, spiegando che i “famigliari erano sicuramente vicini alla ragazza e sono stati molto disponibili ad avviare il progetto” terapeutico. In comunità Pamela parlò anche di un “fidanzato” con il quale, raccontava, “erano introdotti nel mondo della tossicodipendenza”.

Pamela, ha riferito lo psichiatra, alternava momenti di rabbia verso i genitori perché diceva che “avevano denunciato il fidanzato”. Per il consulente della comunità rapportandosi con Pamela era possibile accorgersi dei suoi problemi. E anche la promiscuità sessuale è un tratto della patologia dalla quale Pamela era affetta: “Una persona che sta soffrendo si butta in quel comportamento, rientra nella patologia”, ha concluso lo psichiatra rispondendo a una domanda della difesa della famiglia della vittima.

La prossima udienza si terrà il 20 marzo. Verranno sentiti come teste diversi consulenti anche sulle perizie mediche. 

COMPAGNA OSEGHALE NON SI PRESENTA – Michela Pettinari, compagna di Innocent Oseghale, non si è presentata oggi davanti alla Corte di Assise di Macerata dove era chiamata a deporre. “Pettinari non è presente, è stata cercata a casa, ma è irreperibile”, ha detto il procuratore di Macerata Giovanni Giorgio. La compagna di Oseghale non sarà ascoltata neppure nelle prossime udienze. La Corte, come chiesto dalla procura, ha deciso di acquisire i verbali di sommarie informazioni resi dalla donna e dei sequestri eseguiti dalla Guardia di Finanza. 

LEGALE DELLA FAMIGLIA – “Il dato importante emerso oggi è che Pamela non era una tossicodipendente come è stato all’inizio da alcuni” ha detto l’avvocato Marco Valerio Verni, zio e legale della famiglia di Pamela Mastropietro. “Era una persona a doppia diagnosi, affetta da un disturbo della personalità borderline grave che, come effetto secondario, dava la dipendenza da sostanza stupefacente”. Sullo stato in cui era Pamela il giorno in cui si allontanò dalla comunità, l’avvocato ha sottolineato: “Lo psichiatra non vedeva Pamela da 15 giorni e non era presente quando si è allontanata. Mi è sembrato approssimativo su tante situazioni”. “Apprendiamo oggi dallo psichiatra che Pamela idealizzasse di fare la vita da escort o la criminologa: dal diario e cartella non risulta da nessuna parte – ha poi aggiunto il legale -. Anzi quello che risulta è che Pamela parlava con rammarico di alcune sue esperienze del passato”. “Abbiamo appreso che Oseghale non lesina calunnia nei confronti di nessuno, compresi i poliziotti penitenziari che ha accusato di averlo picchiato per fargli scrivere un foglietto – ha aggiunto poi il legale -. Spero che la procura contesti il reato di calunnia”. Durante l’udienza, sono stati ascoltati alcuni agenti della penitenziaria ai quali, come emerso, l’imputato Innocent Oseghale fece anche il nome di Lucky Desmond in un foglietto salvo poi affermare di essere stato costretto a scrivere quel foglio e di essere stato picchiato. “Spero che la procura contesti il reato di calunnia a Oseghale”, ha concluso sottolineando che questo fatto “mina ulteriormente la credibilità” dell’imputato.

LEGALE DI OSEGHALE – “Ritengo che il processo debba ancora entrare nel vivo, i testimoni e i consulenti che contano li dobbiamo ancora sentire – ha detto l’avvocato Simone Matraxia, legale di Innocent Oseghale -. E un processo che dipende, a mio avviso, dagli accertamenti medico legali. Questo è il vero oggetto del processo”. Secondo l’altro legale di Oseghale, l’avvocato Umberto Gramenzi, uno degli agenti della penitenziaria ascoltati ha smentito le dichiarazioni del testimone dell’accusa e collaboratore di giustizia Vincenzo Marino al quale l’imputato avrebbe fatto delle confidenze in carcere. “Un agente della polizia penitenziaria ha riferito che la sorveglianza nella zona filtro e protetti di Ascoli Piceno è h24. E assolutamente impossibile che Marino possa aver conferito per oltre 20 minuti in carcere con Oseghale”, ha concluso il legale.

LA TESTIMONIANZA DEI RIS- Quattro i profili di Dna, trovati nel corso degli accertamenti del Ris sul corpo di Pamela Mastropietro e sulle valigie in cui sono stati ritrovati i resti della ragazza: un Dna è riconducibile a Innocent Oseghale, imputato nel processo  davanti alla Corte di Assise di Macerata. E’ emerso nel corso della deposizione del maggiore del Ris Luca Gasparollo, ascoltato come teste nel corso dell’udienza di oggi. Un secondo Dna è riconducibile al tassista argentino che conobbe Pamela la sera prima del giorno della morte, mentre altri due profili di Dna sono rimasti ignoti. Tuttavia un profilo ignoto è stato rilevato solo “nel tamponamento della lingua e in mistura” con il profilo di Dna dell’imputato e non su altri reperti, l’altro profilo è stato trovato “sul trolley”. Nel corso dell’udienza sono stati ascoltati anche altri carabinieri del Ris sui rilievi dattiloscopici, tossicologici ed effettuati sul corpo della ragazza. L’orrore, lo scempio sul corpo di Pamela Mastropietro è emerso, invece, nel drammatico racconto del maggiore del Ris Luca Gasparollo, ascoltato come teste nel corso dell’udienza. “C’era un fortissimo odore di cloro, verosimilmente riconducibile a varechina o simili” e sul corpo c’è stato un “depezzamento particolare”, ha detto il maggiore del Ris spiegando che si può parlare di scarnificazione e scuoiamento. In particolare sugli “organi sessuali e sul monte di Venere, dove c’è stata l’asportazione dell’organo e anche i seni sono stati rimossi singolarmente”, ha osservato. “Abbiamo lavorato in condizioni difficili sia dal punto di vista tecnico che emotivo”, ha sottolineato il maggiore. Ascoltando la testimonianza del maggiore, chiamato a dare chiarimenti e particolari sulle risultanze del Ris, la mamma ha pianto.

CELLE TELEFONICHE, FORSE ALTRI NIGERIANI IN CASA – I tabulati telefonici di Innocent Oseghale, imputato nel processo per la morte di Pamela Mastropietro avvenuta il 30 gennaio 2017, e i contatti telefonici avuti con gli altri nigeriani, Lucky Awelima, Anthony Anyanwu e Lucky Desmond, inizialmente coinvolti nella vicenda, sono stati al centro della deposizione di due consulenti nel corso dell’udienza in corso davanti alla Corte di Assise di Macerata.  Dalle celle telefoniche agganciate e dai tabulati emerge la possibilità che, in alcuni orari, Lucky Awelima, e Lucky Desmond, per i quali la procura ha chiesto l’archiviazione per il delitto, fossero nella casa di via Spalato dove è morta Pamela. “Dall’analisi fatta il 30 gennaio Lucky Desmond può trovarsi presso la casa di Oseghale  tra le 11.47 e le 11.50 e dalle 14.07 alle 14.09” perché in quegli orari il telefono aggancia le celle tipiche dell’abitazione di Oseghale. Ovviamente si tratta solo di una possibilità, hanno spiegato gli esperti, e in altri orari non ci sono elementi per poterlo affermare né escludere. Nel pomeriggio del 30 gennaio, infine, “Awelima Lucky poteva trovarsi nell’abitazione di Oseghale per una permanenza massima di 20-30 minuti”. Dai tabulati del telefono di Oseghale emergono anche le numerose chiamate e gli sms ricevuti dalla compagna, Michela Pettinari, il pomeriggio del 30 gennaio: “Anche dalle verbalizzazioni emerge la convinzione della Pettinari che Oseghale fosse in compagnia di una donna”, ha spiegato il procuratore di Macerata Giovanni Giorgio. “Nulla di nuovo né di clamoroso” ha detto l’avvocato Simone Matraxia, legale di Innocent Oseghale, in una pausa del processo che vede il nigeriano imputato per l’omicidio di Pamela Mastropietro, riguardo alle testimonianze dei consulenti sulle celle telefoniche. Il fatto che il 30 gennaio nel pomeriggio Oseghale fosse in casa “è un fatto notorio, ammesso anche dall’imputato quindi non è altro che un riscontro al suo racconto”.

IL RACCONTO DEL TASSISTA – Dopo aver dato un passaggio a Innocent Oseghale nella zona di Pollenza in cui lasciò i trolley con i resti di Pamela Mastropietro tornò indietro “perché mi sembrava strano che lasciasse lì dei vestiti. Ho aperto la valigia e mi sono spaventato”. E’ il racconto fatto, nel corso dell’udienza in corso davanti alla Corte di Assise di Macerata, dal ‘tassista’ camerunese che accompagnò il nigeriano con i trolley senza sospettare nulla per poi rendersi conto dell’accaduto e rivolgersi il giorno dopo agli investigatori. Il camerunese ha sottolineato di aver aperto la valigia, senza toccarla direttamente ma usando un pezzo di carta, e di aver visto alcuni resti della ragazza: “Ho pensato: cosa ha combinato questo ragazzo? Sono stato dieci minuti a pensare in auto. Poi sono tornato a casa. Tutta la notte non ho dormito”. Il testimone ha raccontato di non aver denunciato immediatamente il fatto perché la mattina successiva aveva “un impegno presto a Roma” ma che poi è andato dagli investigatori per spiegare cosa aveva visto. Nel corso dell’udienza è stato anche ascoltato un teste, conoscente di Oseghale, che all’epoca dei fatti raccontò di averlo visto il 30 gennaio 2018 ai giardini Diaz di Macerata, seduto con una ragazza che somigliava a Pamela. Ascoltato in aula, tuttavia, il ragazzo ha affermato che la ragazza “era lontana e defilata e non la saprebbe descrivere”. Si è rinunciato poi ad ascoltare il tassista che accompagnò Pamela ai giardini Diaz e aiutò poi gli investigatori perché, con il consenso delle parti, si è deciso di acquisire i verbali delle dichiarazioni che rese. Ascoltati anche alcuni poliziotti della penitenziaria che erano in servizio nel carcere di Innocent Oseghale.