Il Meeting di Rimini è da sempre una fabbrica di consigli e suggestioni al governo in carica in procinto di varare la manovra economica di fine anno. Questa volta a indicare la strada tenendo dentro tutti i temi dello sviluppo ci ha pensato il governatore della Banca d’Italia Fabio Panetta in un lucido intervento arricchito dalle sollecitazioni del presidente della Fondazione per la sussidiarietà Giorgio Vittadini e di un gruppo di giovani professionisti che hanno posto domande.
Una di queste è caduta proprio in coda all’evento ed è stata forse per questo poco valorizzata: l’aumento del peso dell’intervento pubblico nella vita delle imprese e delle famiglie è da considerarsi provvisorio o definitivo? Andiamo incontro a società sempre più regolate dall’alto o torneremo a forme di gestione che lascino più spazio alla libera azione dei cittadini? In un consesso che invita a rimettere le persone al centro dei processi non è un interrogativo di poco conto.
Il banchiere centrale risponde con la saggezza del ruolo: in un mondo caratterizzato da shock inattesi che si moltiplicano – pandemia, guerre, cataclismi climatici – è probabile che le politiche fiscali prendano il sopravvento. Che, insomma, la mano del potere centrale – in qualunque sua forma si presenti – si farà sentire con maggiore forza e frequenza anche perché saranno gli accadimenti a richiederlo com’è provato dalle esperienze che stiamo vivendo.
Ecco. Si tratta allora di attrezzare al meglio possibile le menti che dovranno usare la propria influenza per il bene comune. E sarà anche necessario trovare la giusta via tra pratiche dirigiste e autodeterminazione di uomini e donne che cercano di forgiare al meglio le proprie esistenze. Se fossimo alla guida di un’auto vecchia maniera, dovremmo saper usare con abilità l’acceleratore e il freno e ancor di più la frizione che diventa fondamentale per la conduzione.
Dalla riuscita combinazione di questi fattori dovrà scaturire la soluzione al dilemma centrale dei nostri tempi: come generare una crescita che sia, parole di Panetta, robusta equilibrata e sostenibile. Perché questo è il punto centrale, il nodo che tiene unite le generazioni, l’obiettivo che dovranno raggiungere insieme Italia ed Europa le cui finalità corrispondono dovendo entrambe provvedere a costruire “interessi e intenti” per la pace e la prosperità.
Il resto è strumentazione. La più sofisticata delle quali è quella umana, definita come risorsa, su cui occorre e conviene investire molto se si vuole creare un ceto dirigente all’altezza delle sfide che si troverà ad affrontare in un futuro dominato dall’incertezza come costante, da passaggi epocali in termini di tecnologie (transizioni verde e digitale, Intelligenza Artificiale), dal calo demografico nelle civiltà mature (tra cui la nostra) con impatto sul grado di benessere.
Qui arriva ben assestato il colpo del banchiere centrale che invita a tenere d’occhio e ridurre il debito pubblico non perché ce lo chiede Bruxelles ma perché utile e necessario per liberare soldi da sottrarre al pagamento degli interessi e dirottare sulla formazione dei giovani dal momento che, nonostante i passi in avanti che sono stati fatti, su questo fronte restiamo arretrati rispetto ai nostri partner dell’Unione. Una distanza da colmare il prima possibile.
Bisogna insomma intervenire sull’architettura generale delle regole – il Piano nazionale di ripresa e resilienza (Pnrr) è fatto di opere e riforme – perché il Paese possa trovare il suo assetto più convincente e realizzare le tante cose che aspira a fare occupando la scena con una politica industriale che indirizzi ma non ingessi, intervenga ma non mortifichi la libertà d’impresa, scelga ma non compia favoritismi. Se volere è potere occorre cominciare a volere fortissimamente.