Parole dell’innovazione, il valore del fare le cose

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Homo Faber, Homo Laborans
L’Home Faber s’interroga sul ‘perché’ le cose accadono; l’Homo Laborans sul ‘come’ accadono. Per quest’ultimo il ‘fare cose’ è un fine in se stesso, ed è dettato dalle necessità imposte dalla tecnologia. Sottomesso alla tecnologia o da essa piacevolmente attratto, egli è schiavo (Animal Laborans è la definizione data da Hannah Arendt nel suo saggio La vita activa, Bompiani, 1964; ed. orig: The Human Condition, University of Chicago Press, 1958) dei compiti da cui è assorbito per volere della tecnologia. Il suo fare è equiparabile al lavoro manuale delle passate rivoluzioni industriali. Basti pensare, ad esempio, alle macchine intelligenti che allertano i loro operatori quando avranno bisogno di manutenzione, al cyborg (persona dotata di protesi artificiali), alla bionica e alla protesi computerizzata, che conferiscono al corpo umano le caratteristiche della macchina.
Homo Oeconomicus, Homo Socialis
L’Homo Oeconomicus è l’individualista egoista che tende a massimizzare la propria utilità. Nel tradizionale teatro dell’economia imprenditoriale, egli è l’innovatore incrementale, un calcolatore meticoloso che persegue sempre più alte ricompense pecuniarie, in aggiunta al prestigio sociale, rafforzando la posizione competitiva nel tempo tramite miglioramenti e aggiornamenti apportati al prodotto, a una linea di prodotti, ad uno o più servizi caratterizzanti la sua impresa.
L’angusto interesse personale non riesce a spiegare in tutto e per tutto il comportamento umano. Nel nuovo teatro dell’economia del rispetto, fa irruzione sulla scena l’Homo Socialis la cui propensione all’altruismo e alla socializzazione spontanea è un valore aggiunto decisivo per il bene comune della società.
L’Homo Socialis inaugura l’età di una rinnovata civiltà della conversazione.