Parthenope per non napoletani

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di Giuseppe Coco

Si moltiplicano le recensioni negative per Parthenope. In gran parte sono basate sulla lettura ‘napoletana’ del film. È evidente che è difficile ignorare questa lettura secondo la quale Parthenope sarebbe una biografia di Napoli nella seconda metà del novecento, e forse è vero che da questo punto di vista il film non racconta molto di nuovo. Ma non proprio tutto è così scontato a dire il vero. La Napoli della miseria abietta del 1975 ad esempio contrasta con la narrativa secondo la quale il Mezzogiorno sarebbe regredito dal punto di vista civile negli ultimi decenni che sociologi, economisti, letterati etc. ci propinano giornalmente. Anche la diseguaglianza e la povertà, continuamente in aumento secondo i titoli di giornale, sembrano un tantinello maggiori di oggi nel film. In realtà basta vedere alcuni documentari della Rai comprese le inchieste del grande Marrazzo per sapere quanto fosse peggiore la situazione dei poveri, e tuttavia la narrativa opposta è su tutti i giornali tutti i giorni. Serviva un grande regista per ricordarci delle ovvietà.

In più però il film ha tutti i difetti dei film di Sorrentino. Eccessivo e ridondante, è infarcito di centinaia di dettagli privi di significato, che però all’occorrenza possono rimandare a finte spiegazioni. I dialoghi come al solito sono troppo intelligenti a metà, una straordinaria espressione inglese che designa chi vuole essere eccessivamente furbo e finisce per risultare alla lunga saccente. Tutti, anche i ragazzi di 15 anni, hanno sempre una risposta pronta e soprattutto fulminante a qualunque questione gli venga posta. Al punto di diventare davvero irritanti.

E tuttavia va detto che come ogni opera davvero artistica ridurla alla dimensione ‘napoletana’ è appunto riduttivo. In Parthenope sono sicuro che ognuno ci ha visto cose diverse. Io credo che Parthenope si capisca anche con la scelta della straordinaria canzone di Riccardo Cocciante. Un capolavoro dimenticato che, come sempre, Sorrentino riscopre e cui conferisce una nuova vita. È una canzone che racconta di una delusione amorosa al maschile e decisamente giovanile. Nessuno sente il dolore, anche un po’ ingenuo, raccontato dalla canzone a 50 anni, può solo essere una cosa giovanile. Ed è qui che sorge il problema dell’uso della canzone che connota non solo la fase del suicidio del fratello della protagonista disperatamente innamorato della sorella, come da canzone, ma anche il finale. E allora ‘era già tutto previsto’ diventa una canzone per cinquantenni (e più) come Sorrentino, ma perché? Perché è proprio l’eco di quel dolore, che certamente non proveremo più, a ricordarci come eravamo. È stato meraviglioso essere ragazzi, straordinariamente infelici, …. è durato troppo poco. E anche questo film, apparentemente dedicato alla gioventù, in realtà è un film sulla nostalgia della gioventù. Proprio di quell’immenso dolore, tanto grande che qualcuno è morto, che dopo tanto ci siamo resi conto essere in qualche modo il senso della nostra vita. 

Sono sicuro che questa lettura, per certi versi scontata, non è l’unica. Altri avranno visto altre cose. Ma una cosa è certa: ridurre Parthenope a un film su Napoli è applicare il teorema di Paolo Guzzanti secondo il quale ‘La grande bellezza’ era un film sui napoletani a Roma. 

Vorrei concludere con alcune osservazioni sulla trama come sempre labile. Sorrentino si dimostra straordinariamente, troppo, furbo in varie occasioni. Questa ragazza che sceglie cose così difficili non è per niente rappresentativa per definizione. Il professore più difficile e scorbutico, la professione meno scontata, l’autore più oscuro (che poi miracolosamente incontra). Questi non sono i ‘giovani’, nemmeno quelli oggi più vecchi. Ma almeno una volta abbiamo tutti esultato per questa originalità. Quando Parthenope si nega a ‘lui’, il ricchissimo rampollo che la corteggia strenuamente, per poi dimostrarsi un cafone, appena viene rifiutato (apparentemente il ritratto di Gianni Agnelli). In quel momento sono sicuro che almeno l’universo maschile ha esultato in massa. Una volta tanto, non ‘era già tutto previsto’.

Un’ultima notazione sul Professore straordinariamente recitato da Silvio Orlando, e rovinato da una folle esagerazione incomprensibile di Sorrentino nella scena del figlio-pallone di acqua e sale. Una grande figura a mio parere, come la maestra della Amica Geniale. Quel professore che dice a uno studente che ‘all’Università si viene cacati e pisciati’ e che decide che Parthenope è l’unica dei suoi allievi degna di diventare Professore Ordinario, mandandola addirittura certa di vincere concorso a destra e manca, oggi sarebbe in galera. C’è da chiedersi perché in teoria amiamo tanto queste figure austere e poi all’atto pratico agli insegnanti non richiediamo preparazione, rigore e severità ma l’opposto. Se vi è piaciuto, ricordatevelo.

Con tutti i difetti, Parthenope è sicuramente l’opera di un grande regista su una base semplice. È emozionante, almeno per me lo è stato nei termini che ho descritto di sopra ed è questo alla fine che connota un’opera d’arte. C’è da chiedersi cosa rimarrebbe se Sorrentino fosse in grado di e volesse sottrarre l’enorme sovrastruttura di barocca di episodi e dialoghi.